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Dieci piccoli euro-indiani

 

Mentre si attende che i tedeschi cadano per l’ennesima volta dal letto, e si lavori a fare dell’EFSF l’entità che emetterà gli eurobond (come da queste parti si dice da molto tempo), è utile ricordare che questo fondo, che il 21 luglio scorso è stato investito di potenziali super-poteri, come gli acquisti sul secondario di titoli sovrani, poggia su una forma di mutualità che ricorda molto un giallo di Agatha Christie.

Dopo i salvataggi di GreciaPortogallo e Irlanda, i paesi che partecipano al fondo hanno visto aumentare le loro contribuzioni. Ora, però, si pone l’assai concreto rischio che Italia e Spagna cessino di contribuire, o addirittura necessitino di salvataggio. In quel caso, la quota di Germania e Francia all’EFSF salirebbe, rispettivamente, al 43 e 32 per cento. A quel punto, la Francia subirebbe un violento attacco speculativo, e l’intera struttura collasserebbe. Per questo, come qui si dice da tempo, l’unica alternativa al breakup della Ue è la nascita degli eurobond.

Quanto alla Bce, ieri in molti (Berlusconi e Tremonti in primis) pensavano che Trichet avrebbe annunciato il ruolo di supplenza fiscale dell’istituto di Francoforte ai balbettii (ed alla assoluta capacità di incomprensione di quanto sta accadendo) tedeschi, espandendo il Securities Markets Program (SMP). Al più, invece, la Bce offrirà la ripresa dei LTRO, le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (salirà a sei mesi), con tasso fisso e (forse) nessuno scarto di garanzia, per puntellare le banche. Anche in questo caso, si risponde con misure di liquidità a quella che ormai è una crisi di solvibilità, ma ormai non è più il caso di fare gli schizzinosi. Il ciclo restrittivo di politica monetaria europeo è terminato, almeno si spera.

Sull’altra sponda dell’Atlantico, dopo i festeggiamenti Repubblicani per “togliere pressione ai tassi d’interesse” (perché ognuno ha gli analfabeti economici che si merita), i mercati stanno prezzando un double dip, causa stretta fiscale (vedi qui, again), e chiedono ormai a gran voce la terza puntata dell’easing quantitativo, che potrebbe arrivare ancora una volta nella incantevole cornice di Jackson Hole. QUando avverrà, state pronti a leggere molti guru che vi diranno che loro erano ottimisti da sempre.

Questa vicenda insegna alcune cose: in primo luogo che stavamo (stiamo) per ripetere gli stessi identici errori del 1937 in America. Che la crisi è di deleveraging, quindi le strette fiscali immediate sono il miglior modo per cadere in depressione; che non esiste nessuna “contrazione fiscale espansiva” (almeno, non in questo punto spazio-temporale dell’universo); che molti osservatori, anche i più qualificati, hanno per mesi invocato soluzioni, che messe alla prova ora, si dimostrano teribilmente pro-cicliche (nessuna polemica, solo un’osservazione).

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