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Debito pubblico. La triste storia di un paese che divorò se stesso

Su il Sole 24 Ore, un rassicurante articolo (a firma I.B.) sulla sostenibilità del debito pubblico italiano, e sul fatto che la sua traiettoria resterebbe “virtuosa”, con virgolette d’obbligo, anche in caso di aumento del costo del nostro debito, sotto date condizioni. Prendendo le mosse da considerazioni puramente contabili contenute in simulazioni effettuate in questi giorni dalle maggiori banche d’affari, se ne ricaverebbe che tutto va bene, Madama la Marchesa, e che non siano ancora in modalità allarme rosso. Fosse vero.

Si parte con una frase incomprensibile:

«La crescita italiana è cronicamente debole ma quando abbinata a un forte e permanente aumento del costo del debito dell’1-1,5%, dopo l’impennata dei rendimenti, il debito/Pil può comunque inforcare una traiettoria virtuosa e calare»

Deve essere un mondo di antimateria, quello in cui una crescita debole, sommata ad un “forte e permanente aumento del costo del debito” produce una “traiettoria virtuosa“, ma nel magico mondo del Sole può accadere questo ed altro. Si prosegue con l’abituale peana ai nostri eroici risparmiatori domestici:

«Il 50% dei titoli di stato italiani è detenuto dai residenti, e quindi al riparo da ondate speculative estreme»

Perché ovviamente sappiamo che, se le cose dovessero andare a pallino, i residenti italiani non si priveranno dei loro titoli di stato neppure di fronte a strattoni violenti del mercato, come la vecchietta che tenta disperatamente di resistere ad uno scippo per strada e ci rimette la vita. Oppure che quei titoli non verranno venduti, cascasse nuovamente un meteorite su Tunguska, anche in caso il reddito personale e familiare fosse insufficiente a tirare a campare, e si dovesse prendere in considerazione l’ipotesi di attingere ai risparmi e liquidare gli investimenti per pagare le bollette. E peraltro, il grosso dei titoli di stato è detenuto dai fondi comuni, e non direttamente dai privati. Vedete un po’ voi. E ancora, a che serve sapere che il 45 per cento circa dello stock di debito italiano è in mano a residenti? Per mandare a gambe all’aria il paese, il 55 per cento restante in mano a non residenti basta e avanza.

Si passa poi alle simulazioni delle banche d’investimento, e si scopre che “storicamente” abbiamo retto a shock peggiori. Secondi i calcoli di Deutsche Bank,

«(…) l’Italia ha sostenuto oneri sul debito molto più alti in percentuale del Pil e delle entrate: il debito/Pil è calato dal 124,8% del 1994 al 103,6% del 2003 quando la crescita nominale del Pil era del 4,78%, gli interessi sul debito del 7,05% e un avanzo primario in media del 4,3% con misure una tantum per 25 miliardi»

Eh. E quindi,

«(…) con un Pil nominale al 3,3% per i prossimi 20 anni, un interesse sul debito del 5,2% e un avanzo primario del 2,6% il debito/Pil italiano dovrebbe tornare al 110% per il 2030»

Giusto. Sommate alla crescita nominale del Pil l’avanzo primario, raffrontatelo al costo del debito e, se la prima grandezza eccede la seconda, siamo a cavallo della traiettoria virtuosa. Il problema è sempre quello, però: un paese che cresce meno del suo già striminzito potenziale tende a produrre buchi di bilancio pubblico “spontanei”, che devono essere colmati con nuove misure, anche una semper. Se oggi abbiamo (forse) un avanzo primario pari a pochi decimi di punto percentuale di Pil, ed un Pil nominale che cresce pochissimo e nulla, (diciamo intorno al 3-3,5 per cento), immaginate quali e quante strette fiscali dovremo produrre per arrivare ad un avanzo primario del 2,5-3 per cento di Pil, se il paese non si mette a crescere almeno al 2 per cento reale. Strette che peraltro hanno lo spiacevole effetto collaterale di rallentare la crescita e ridurre il gettito, eccetera eccetera. Infatti, perGoldman Sachs,

«(…) una crescita nominale potenzialmente debole ha accresciuto le preoccupazioni del mercato sul cosiddetto “effetto denominatore negativo” come è accaduto per Portogallo e Irlanda»

Appunto. Forse la soluzione, per l’articolista del Sole, consiste nell’imporre patrimoniali crescenti nel corso del tempo? Certo, se ognuno di noi donasse 30.000 euro alla patria finiremmo fuori dai guai per un bel po’ di tempo, e leggeremmo sui giornali che “traiettoria del nostro debito è virtuosa”. Il problema (e la realtà, che di solito sfugge ai media) è che serve crescita, e crescita vera (cioè reale), del Pil. A meno di non ritenere, fortisianamente, che poiché ciò che conta per la sostenibilità del debito è la crescita del Pil nominale senza ulteriori specificazioni, se creiamo inflazione il problema si risolve comunque. Certo, si risolve riducendo l’onere reale del debito, come insegnano i libri di testo, ma la realtà è che non è così, perché poi avremmo perdita secca di competitività esterna in un mondo a cambio irrevocabilmente fisso, e le aste dei nostri titoli di stato dovrebbero incorporare un premio al rischio crescente che accelererebbe la fine.

Ecco perché, senza crescita, ed un Pil nominale frutto di elevata crescita reale, il paese è condannato a divorare se stesso.

P.S. Su noiseFromAmerika, le considerazioni di Lodovico Pizzati.

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