Dazione ambientale, nazione infetta
I recenti provvedimenti giudiziari che hanno colpito esponenti del Partito Democratico hanno scatenato l’immancabile ola di alcuni tifosi del centrodestra. Pare che questa sia la maledizione di un paese geneticamente tafazziano come il nostro. Abbiamo ormai acquisito la prova definitiva che la sinistra (o parte di essa, nel caso specifico) non è “diversa”, o meglio non è “superiore” né particolarmente “per bene”. Ottimo, e quindi? Tentiamo un postmortem della cosiddetta democrazia italiana. In primo luogo, narra una leggenda dura a morire che “la responsabilità penale è personale”. E’ vero, o meglio occorre credere strenuamente che sia vero, perché questo è un caposaldo della democrazia. Ma non possiamo nasconderci che esiste un sistema di incentivi (come direbbe chi mastica di economia) oppure una pressione a conformarsi (come direbbe il sociologo), che vincola e sembra necessitare alcuni comportamenti penalmente rilevanti dei pubblici amministratori. Se non accetti di entrare nel giro diventi un deviante e vieni alla fine metabolizzato ed espulso dal sistema medesimo. Quindi il comportamento cleptocrate è al contempo sia frutto di azioni e responsabilità individuali che effetto di pressioni a conformarsi.
La conferma dell’esistenza di questo doppio standard, individuale e di sistema, l’ha fornita lo stesso premier. Dapprima schierandosi risolutamente a difesa dell’ex governatore abruzzese, Ottaviano Del Turco, al momento del suo arresto. Berlusconi parlò di “teorema”, “retata” e di “arresti di massa”, pur dimenticando che i componenti le giunte compiono atti fortemente correlati ed interrelati; in seguito, a distanza di un anno da quel fatto, e con riferimento a vicende del tutto simili per dinamiche ed accuse, ha parlato però di “questione morale” all’interno del Pd, passando cioè dal garantismo della responsabilità individuale all’incolpazione collettiva.
Troppo dietrologico pensare che forse lo scorso anno la “funzione di utilità” del premier era soprattutto centrata sulla necessità di creare alleanze tattiche con l’altro schieramento per depotenziare la magistratura, e oggi invece l’utilità più immediata è quella di dare la spallata definitiva a quella patetica Armata Brancaleone nota col nome di Partito Democratico.
Ai tempi di Mani Pulite esisteva la tristemente efficace espressione “dazione ambientale”, a sottolineare la regola e l’essenza del sistema. Oggi forse si dovrebbe rispolverare ed aggiornare quel concetto. Non è un problema di coalizioni buone o cattive, moralmente superiori o inferiori, come invece si ostinano a credere (non sempre in buona fede) tifosi e burattinai di un sistema che mima il contrasto bipolare solo per accomodarsi meglio a tavola, e che sembra ogni giorno di più essere qualcosa di molto simile ad un duopolio collusivo.
Il problema è il sistema. Un sistema di corruzione diffusa e capillare, che ogni anno sfianca il Pil del paese, sommandosi alle imposte esatte dalla criminalità organizzata. Dismettere i panni da contradaioli ottusi per riconoscere che in questo paese stiamo giocando un gioco a somma fortemente minore di zero non guasterebbe.
Difficile immaginare la via di uscita. Forse servirebbe un “ridisegno dei meccanismi”, per evitare le collusioni ed i conflitti di interesse che pervadono l’azione dell’intera classe dirigente italiana. Servirebbe forse anche un cambiamento culturale, ma quelli non nascono in una notte di plenilunio, e parlare di ribellione morale non fa parte della nostra dotazione retorica.
Forse servirebbe (ma non ridete, visti i tempi) più mercato, per limitare al massimo l’azione di brokeraggio e predazione che la politica esercita sistematicamente e da decenni sulle imprese e sull’economia. Ma siamo dei sognatori: in Italia le imprese sono o troppo piccole o troppo grandi e sussidiate per permettersi di invocare a gran voce quella chimera chiamata mercato.
Escludendo tutte queste opzioni, forse servirebbe l’espatrio.
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