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Dai Ragazzi di Barbiana alla Riforma Gelmini

 
Dai Ragazzi di Barbiana alla Riforma Gelmini
Nell’Italia degli anni ’50, un prete sconosciuto ai più, fu inviato “per punizione” ad ottemperare la sua missione in un piccolissimo borgo in provincia di Firenze. La motivazione di questo trasferimento era da ricercare in alcuni dissapori intercorsi fra il prete e l’allora Cardinale di Firenze.
 
Il prete in questione si chiamava Don Milani, e fino ad allora oltre ai dissapori con il cardinale, nulla faceva presagire che, questo prete avrebbe riscosso un giorno, l’attenzione dell’intera nazione e della stessa Chiesa. Nel bene e nel male.
 
Don Milani, proprio in questo borgo lontano dai fasti cittadini e dalla ricchezza, compì un grande miracolo, ma nulla a che vedere coi miracoli celesti. No: Don Dilani compì un miracolo umano, come pochi ad oggi sono riusciti a compiere.
 
Don Milani, una volta trasferito a Barbiana – frazione di Vicchio – il borgo in questione, comprese in maniera chiarissima come la società ed il Sistema agevolassero già allora molto più i benestanti che i meno abbienti. Sollevando peraltro una grande criticità proprio nelle fondamenta sociali: la formazione.
 
Don Milani lavorò molto, affinché venisse del tutto smontata la convinzione per cui, chi è ricco ha maggiori e migliori possibilità in ogni ambito della vita, persino in quello della formazione scolastica, in cui appariva in maniera lampante come, ragazzi di famiglie meno abbienti, fossero comunque scolari di serie C rispetto ai loro coetanei ricchi.
 
L’accesso allo studio, appariva addirittura negato o comunque, gli scolari di ceto basso non venivano in alcun modo aiutati ad emergere in un mondo che da sempre agevola chi sat meglio. Anche e sopratutto in ambito sociale. E’ così che nacque la scuola di Barbiana, il cui motto (in Inglese) fu “I Care” che tradotto significa “mi sta a cuore”.
 
Don Milani istituì una scuola unica nel suo genere: totalmente aperta ai ragazzi del borgo che, peraltro, durante il giorno erano occupati nei lavori dei campi. Don Milani dette a tutti loro la possibilità di imparare, aprendo le porte della scuola in orari impensabili per le scuole così come sono conosciute, lasciando però in questo modo gli scolari in grado di poter partecipare alle lezioni, pur seguendo le normali attività che la vita di un borgo di contadini presuppone anche per i giovanissimi.
 
Oltre questo, l’innovazione portata da Don Milani, faceva sì che lo stesso programma scolastico venisse deciso e condiviso anche dai ragazzi, che in questo modo erano chiamati ad agire in maniera proattiva allo studio e non solo in maniera passiva. Una rivoluzione.
 
Mal vista a trecentosessanta gradi. A cominciare dalla Chiesa. Le critiche – pesantissime – contro Don Milani e la sua scuola, pervasero come una scossa tutto il Paese, lasciando completamente solo il prelato. Ma egli non si dette per vinto: continuò la sua opera formativa ed anzi, rispose alle critiche che giungevano sia dal mondo laico che da quello clericale con un libro: “Lettera ad una Professoressa” di cui ancora oggi suggerisco la lettura, ed all’interno del quale, gli stessi ragazzi diedero risposta agli attacchi ed alle critiche.
 
Fra i vari passaggi del libro, ne ripropongo uno, a mio parere fondamentale: «Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori… »
 
Era l’Italia in cui oltre il 50% dei cittadini erano analfabeti…
 
L’innovazione seppur nella genialità dell’idea fondamentale, non era però coordinata con il tempo in cui si viveva. E come tante ingegnose riforme, rimase assolutamente collocata nel tempo e nel luogo.
 
Molte furono le discussioni e le riflessioni che scaturì a livello nazionale e non solo, fino agli anni ’60. Poi, nessuno più ne parlò.
 
Oggi. Dopo le evoluzioni, le tendenze, i nuovi metodi formativi, la scuola riformata: si torna indietro a grandi passi e di molti anni. Se un tempo si è tentato di livellare alquanto il Diritto allo Studio, portando l’Italia ad un Paese non più fondamentalmente analfabeta, ecco che si opera nuovamente affinché il ricco possa studiare, scegliere ed avere le maggiori agevolazioni allo studio, ed il povero debba invece barcamenarsi fra i tagli al comparto della scuola pubblica, i tagli all’organico, sedi scolastiche spesso non a norma di sicurezza e nemmeno l’ombra di insegnanti di sostegno.
 
Come e quando è accaduto? Non esattamente di recente, in quanto già da alcuni anni il comparto dell’istruzione subisce ogni anno tagli prepotenti ai finanziamenti. Ma certo, è da segnalare l’assoluta e chiara volontà, da parte dell’attuale governo in carica di togliere ai meno abbienti e donare invece alle classi già ricche di loro.
 
E’ dello scorso anno uno “spostamento” strategico di ben otto miliardi di euro dalla scuola pubblica a quella paritaria – spesso istituti religiosi – spiegato con una “più ampia scelta per le famiglie ad accedere agli istituti per i propri figli…”. Quale ampia scelta? Una famiglia media, non può certo sobbarcarsi le spese – altissime – di certi istituti paritari, e c’è anche da rifletter su un fatto molto importante: se la scuola è “dell’obbligo” e quindi non si può decidere se mandare o meno i propri figli a scuola, è pressoché inaccettabile che poi si agevoli il comparto della scuola paritaria.
 
Ecco quindi che si torna indietro di decenni, come a voler decretare ancora la differenza – illimitata – fra chi può e chi non può. Si toglie linfa vitale al Paese, sbarrando l’accesso alla cultura. Si getta nella spazzatura il Diritto allo studio che dovrebbe essere non solo garantito ma anche sostenuto in ogni suo parametro.
 
La realtà che stiamo vivendo, parla chiaramente di classi sociali sempre più distanti e l’esasperazione di questo enorme divario non viene in alcun modo “curata”: anzi. Abbiamo tutti gli elementi per credere che si sia solo all’inizio di un processo in cui l’orizzonte vede una casta – quella dei cittadini ricchi – sempre più lontana e discostata dalla Massa, dalla Comunità, dalla stessa nazione.
 
Un Paese che agevola i ricchi in ogni ambito, è già una falla imbarazzante.
 
Un Paese che toglie il Diritto allo studio, è l’emblema di un Regime che si fonda su sistemi non aggirabili ne gestibile dalle Masse, e lavora – come ogni Regime – sull’analfabetismo della Popolazione.
 
Riflettere, anche questa volta, è d’obbligo.

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Autore

Emilia Urso Anfuso

Emilia Urso Anfuso

Giornalista, conduttrice radiofonica, scrittrice. E' sociologa e membro dell'ASI - Associazione Sociologi Italiani Docente di alta formazione professionale: giornalismo, public speaking, tecniche di comunicazione, evisceramento delle potenzialità, diritti civili Fondatrice e direttore responsabile del quotidiano nazionale online (indipendente) www.gliscomunicati.it che ha (...)

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