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Da Sant’Ignazio a Benedetto XVI: Mario Draghi e la dottrina sociale della Chiesa

La “tecnica” e i “tecnocrati” non sono mai veramente ideologicamente neutrali, e indipendentemente da ogni opinione che si può avere a riguardo della sua figura Mario Draghi nel suo percorso istituzionale e professionale non ha mai dato adito ad alcuna ambiguità da questo punto di vista.

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 Il presidente del Consiglio incaricato ed ex governatore della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea ha più volte segnalato la sua visione personale del mondo in discorsi, scritti e interventi pubblici che rendono difficile l’appiattimento della sua figura su un singolo campo ideologico e ancor più associarlo all’idealtipo dell’establishment tecno-finanziario dell’era neoliberista.

Avendo lavorato con sette ministri dell’Economia diversi, da Giulio Tremonti a Carlo Azeglio Ciampi e Vincenzo Visco, oltre a governi che andavano dalla Dc di Giulio Andreotti a centrosinistra e centrodestra durante il suo mandato da Direttore generale del Tesoro e da governatore della Banca d’Italia Draghi ha sempre beneficiato di una certa capacità di muoversi in maniera trasversale. Definitosi in passato “socialista liberale”, Draghi ha però mostrato, nel silenzio degli studi e nella solennità degli interventi pubblici, interesse e curiosità per il mondo della dottrina sociale cattolica, nelle sue declinazioni contemporanee. Un fatto, questo, che rappresenta la parte meno conosciuta e narrata della sua biografia personale ma che andrà tenuta d’occhio mano a mano che Draghi procederà nella sua opera politico-istituzionale.

Il giovane alunno dei gesuiti

Il legame di Draghi col mondo cattolico viene da lontano, dalla sua gioventù da studente all’Istituto Massimo di Roma, gestito dall’ordine dei Gesuiti. Un percorso di cui si tende a sottolineare il lato “di colore” (prima fra tutti la presenza al suo fianco nei banchi di Giancarlo Magalli), meno quello pedagogico: i principi di Sant’Ignazio di Loyola fatti propri dalla tradizione educativa del Massimo, secondo Sabina Pavone, docente di storia moderna dell’Università di Macerata, si sostanziano nell’approccio allo studio compiuto “attraverso l’esercizio del pensiero critico, un richiamo al principio del “dovere dell’intelligenza”, elemento chiave dell’identità ignaziana”. Draghi ha ricevuto in eredità dall’esperienza scolastica un profondo legame di fede a Sant’Ignazio e il pragmatismo tipico della Compagnia di Gesù nell’approccio ai fenomeni sociali ed economici. Principio condiviso dal più celebre esponente e primo pontefice della Compagnia, Papa Francesco, che nella scorsa estate lo ha voluto nominare membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

Draghi ha ammesso di ricordare con “profonda gratitudine” il misto di insegnamento tradizionale ed educazione religiosa del Massimo. E nel nome degli educatori religiosi che hanno insegnato a Draghi al Massimo spiccano nomi di peso della cultura cattolica odierna, ben ricordati da Avvenire: Alberto Parisi, che benedisse anni dopo il suo matrimonio con la moglie Serena Cappello, il suo antico prof di religione e fisica, oggi ultra90enne, e destinato negli anni a divenire direttore de “La Specola Vaticana”, Sabino Maffeo, e Pietro Millefiorini, famoso per essere stato uno dei più autorevoli studiosi di Eugenio Montale”, a cui si aggiunge “il preside e professore di storia e filosofia padre Franco Rozzi (allievo, tra l’altro, dell’autore del noto vocabolario di Greco, il gesuita Lorenzo Rocci) a cui Draghi nel 2010 in occasione della sua morte (il 7 febbraio di quell’anno) dedicò un commosso ritratto apparso su L’Osservatore Romano”.

Il cristianesimo “laico” di Caffè, maestro di Draghi

Il profondo realismo della dottrina sociale, riletta in forma laica, e l’idea di un’economia al servizio dell’uomo influenzarono anche Federico Caffè, che fu maestro universitario di Draghi alla Sapienza di Roma dopo il suo diploma ottenuto nel 1965. Per Caffè il concetto di efficienza non può essere disgiunto da quello di equità. Gli obiettivi di maggiore efficienza e di maggiore equità sono inseparabili, come da lui sottolineato nel testo In difesa del Welfare State.

Nella sua mentalità pragmatica, Draghi ha sempre portato alla luce le analisi che sottolineavano il lato etico e umano dell’economia. Tanto che i passaggi più controversi della sua biografia politico-istituzionale (le privatizzazioni degli Anni Novanta e la lettera co-firmata con Trichet diretta al governo Berlusconi nel 2011) sono legati a fasi in cui era venuta meno la possibilità per un’analisi dei fenomeni basata su prospettive sociali del’azione economica e la logica dell’assenza di alternative aveva preso il sopravvento, rispettivamente, su un Paese sconvolto dall’ingresso nella globalizzazione e dal tracollo della Prima Repubblica e su un governatore della Bce entrante desideroso di superare il sospetto franco-tedesco nei suoi confronti.

C’è molto di Caffé nel discorso programmatio, quasi da “agenda di governo” tenuto da Draghi al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione lo scorso anno. Che, secondo Vita, mostrano tre linee di condotta assimilabili alla dottrina sociale: una forte impronta realista (“Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà trovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche. Ma non dobbiamo rinnegare i nostri principii”), un’attenzione all’equità sociale nella programmazione economica e un sostegno alla solidarietà umana e internazionale.

Non a caso la “dottrina” che Draghi ha espresso per la risposta alla crisi economica da Covid-19 bilancia con attenzione i principi di stampo keynesiano della risposta alla crisi con una forte attenzione all’hic et nunc, al portato della pandemia sull’esperienza quotidiana di vita di cittadini, imprese, governi. E i tre principi del Meeting di Rimini si possono rileggere nel celebre editoriale sul Financial Times del marzo scorso e nelle sue proposte concrete: un rilancio dell’intervento pubblico degli Stati a sostegno delle economie, della produzione industriale, dei redditi; un aumento delle garanzie bancarie a famiglie e imprese; un abbattimento dei tassi di interesse delle banche centrali a zero per favorire il circuito del credito; una riduzione degli oneri burocratici per l’attività delle imprese; la difesa di presidi fondamentali per la tutela del reddito e dell’occupazione nei sistemi di welfare.

Etica ed economia: Draghi legge Ratzinger

Programmazione strategica e visione etica non vanno mai disgiunte nel disegno economico della dottrina sociale e nella costruzione di un sistema al servizio dell’uomo contro le logiche del profitto fine a sé stesso. Ed è interessante sottolineare come anche Draghi abbia espresso in diverse occasioni sostegno per i contenuti del pensiero sociale di impronta cristiana apparentemente più distanti da quella che dovrebbe essere la visione in materia di un banchiere passato, tra le altre cose, per la “palestra” di Goldman Sachs, istituzione in cui la finanza speculativa si è, per anni, riconosciuta.

Ebbene, negli interventi pubblici orali e scritti di Draghi spicca un articolo che commenta un’opera fondamentale per il pensiero economico del XXI secolo e per le rotte contemporanee della dottrina sociale, l’encliclica Caritas in Veritate pubblicata da Papa Benedetto XVI nel 2009, mentre nel mondo infuriava la Grande Recessione che aveva rappresentato la grande epifania dei problemi connessi all’eccesso del capitalismo deregolamentato.

 Convinto assertore del rapporto dialettico necessario tra Fede e Ragione, Benedetto XVI ha indicato sempre nell’uomo il fine dell’azione evangelizzatrice e del ragionamento della dottrina sociale della Chiesa. Da questo punto di vista, attraverso il suo contributo la dottrina sociale si è arricchita sul versante della tutela della centralità dell’essere umano nel processo produttivo, nel rifiuto dell’accumulazione capitalistica a spese dei diritti e degli spazi d’azione dell’uomo, dell’opposizione della logica del dono, della carità e della gratuità alle pulsioni dominanti nell’economia globalizzata, nella difesa della funzione sociale del lavoro.

Mario Draghi, allora governatore della Banca d’Italia, nel 2009 firmò per l’Osservatore Romano un’analisi approfondita sull’enciclica che rappresentava la summa del pensiero ratzingeriano in campo economico.

“Non c’è vero sviluppo senza etica”, è il titolo dell’analisi che parla di un mondo colpito dalla più grave crisi economica dal 1929 in avanti ma pone in essere temi che vale la pena di riscoprire anche alla luce degli effetti della pandemia. Draghi conviene con Ratzinger nell’affermare che “ogni decisione economica ha conseguenze di carattere morale” e scrive che “se l’autonomia della disciplina economica implica l’indifferenza all’etica, si spinge l’uomo ad abusare dello strumento economico; se non è più mezzo per il raggiungimento del fine ultimo – il bene comune – il profitto rischia di generare povertà”. L’allora governatore della Banca d’Italia, l’allievo dei gesuiti divenuto boiardo di Stato e banchiere prima di assurgere ai vertici della finanza internazionale, mostrava in questo senso una convergenza di vedute col Papa tedesco, artefice del “Nuovo umanesimo” e di una visione radicalmente critica del neoliberismo.

Chiamato alla prova dell’azione politica istituzionale Draghi dovrà dimostrare di saper mettere una visione alternativa al servizio delle prospettive di rilancio di un Paese gravosamente colpito da pandemia e recessione. Se la visione della dottrina sociale non si concilia pienamente con le logiche dell’odierna politica monetaria, anche se l’eco della visione di un’economia “umana” ben si sposa con la crociata anti-austerità inaugurata da Draghi col quantitative easing alla Bce, essa può invece fornire utili spunti su una costruzione politico-economica alternativa alle ricette neoliberiste e capace di generare sviluppo in maniera ordinata, sostenibile, inclusiva. L’agenda di Draghi è ancora in via di definizione, e dovrà essere mediata con la visione dei partiti che ne sosterranno l’esecutivo, ma la percezione che il premier incaricato porterà al tavolo negoziale non solo della grigia burocraticità da tecnocrate ma anche una visione dell’economia articolata e complessa è dimostrato dal suo percorso personale.

Foto: Pixabay

 

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