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Crisi egiziana: correlazioni Pericolose

Come diavolo fa la chiusura della borsa egiziana a far scendere in modo così diretto gli indici degli altri Paesi emergenti e/o di frontiera?

Non si tratta forse di una rivolta contro il governo nazionale egiziano?
Cerchiamo insieme di analizzare le cose, cercando anche di fare qualche ipotesi che abbia - al solito - requisiti di plausibilità.

Cominciamo da continua a leggere...l debito pubblico: l'Egitto, che è la terza più grande economia del mondo arabo, sta rimandando le emissioni obbligazionarie necessarie a pagare le scadenze in arrivo perché al momento - ovviamente - il mercato è poco ricettivo. Fortunatamente l'Egitto può vantare delle riserve (36 miliardi di USD), ma più passa il tempo e più diventa impellente potersi rivolgere di nuovo al mercato perché, viceversa, le riserve si esaurirebbero in circa tre mesi. Questo rende difficile portare avanti il programma di taglio del deficit per 3 punti di PIL entro il 2015, anzi da un deficit/PIL del 6,9% l'Egitto è già scivolato ad un 8,1%.

L'obiettivo dunque è quello di stabilizzare al più presto la situazione.
Non volendosi dimettere, il presidente Oshni Mubarak ha provveduto a fare altri passi: per la prima volta in 30 anni di regime ha nominato un vice (Omar Suleiman, ex capo dei servizi segreti) e ha cambiato il primo ministro, assegnando l'incarico a Ahmed Shafik, comandante in capo dell'aeronautica militare. Il messaggio di stabilità non sta nel curriculum irreprensibile dei due, ma nella loro provenienza: il presidente vuole dimostrare di avere le forze armate dalla sua parte, implicitamente vuole ridurre l'ipotesi di esautorarlo al rango di "non praticabile".

I risultati sono stati che le proteste di piazza sono state sedate nel sangue: la conta delle vittime è già arrivata a 150 persone e la tensione invece di calare, continua a crescere. Se la protesta non si placherà, il presidente Mubarak si dovrà dimettere, oppure verrà deposto in qualche modo, prima delle prossime elezioni presidenziali (settembre 2011).

La famiglia di Mubarak nel frattempo si sparpaglia per l'Europa: la moglie e il figlio sono partiti per Londra, mentre voci - poi smentite - davano la nipote in Brianza.

Ma torniamo al nostro obiettivo: comprendere la correlazione che provoca la discesa delle borse emergenti in seguito alla crisi egiziana: i fondi "emerging markets" hanno raccolto moltissimi capitali negli scorsi mesi, e - per come funzionano - nel momento in cui si forma un drawdown (una discesa secca in linguaggio finanziario) il modello di investimento costringe il gestore a riequilibrare il portafoglio del fondo, facendo cassa sulle altre asset class e dirottandole sull'oggetto del drawdown stesso. Quindi vengono venduti gli altri mercati emergenti per "mediare" le posizioni sulla borsa egiziana. Questo continua per qualche giorno, almeno finché i comitati di investimento non stabiliscono una variazione nella politica di gestione del fondo, attribuendo un minor peso al nord Africa nel modello.

Dunque l'impatto sugli altri mercati dovrebbe essere solo di pochi giorni... e invece no. Per due ragioni: una macroeconomica e l'altra geopolitica.
La ragione macroeconomica sta nelle correlazioni con altri mercati: lo Stato di Dubai - guarda un po' chi si rivede - è il principale investitore nel real estate egiziano e avrà le sue gatte da pelare. Inoltre la "questione mediorentale" è sempre una causa di fiammate nel prezzo del petrolio (ieri il Brent a Londra ha passato i 101$ al barile). E la questione petrolio non è secondaria: l'inflazione in molti Paesi emergenti è già su livelli di attenzione soprattutto a causa dei prezzi dei beni alimentari, al punto che -ad esempio- il Brasile ha dovuto alzare i tassi di mezzo punto percentuale, lo stesso ha fatto l'India, annunciando anche futuri nuovi aumenti. Lo scopo di questi interventi è raffreddare la crescita e l'inflazione, che ha causato la perdita di potere d'acquisto di 2,8 miliardi di persone parlando solo dei BRIC (in quesi Paesi la spesa per generi alimentari vale il 19% del totale, mentre in USA solo il 6%). Raffreddare la crescita, però, è fortemente disincentivante per le borse, soprattutto se fino a poco fa viaggiavano spinte proprio da stime di crescita robusta.

La ragione geopolitica invece è un'altra: in tutta l'area del basso mediterraneo stanno avvenendo delle mutazioni, secondo molti osservatori sarebbero frutto di un lavoro di intelligence iraniano: a partire dal Libano dove recentemente si è insediato un governo filo-iraniano, fino alle rivolte "spontanee" in Tunisia ed Egitto, due autocrazie filo-occidentali, che verrebbero sostituite da governi democratici ed in entrambi i casi la stima è che vinca un partito filo-islamico.
La ragione di questa azione di intelligence sarebbe l'esigenza di allargare l'area di influenza iraniana, che a breve non potrà più nascondere al mondo la propria nuova dotazione di armamenti e dunque necessita di sentirsi meno isolato.
Tutto questo al momento fa gioco agli USA, che finora hanno attuato politiche di Quantitative Easing, stampando denaro per vederlo investire sugli emerging markets: da oggi gli investitori percepiscono una serie di nuovi rischi sugli emergenti e saranno più incentivati verso l'equity "core" Usa e UE in primis. E in fondo un bel +3,2% di PIL a stelle e strisce ed un quadro macro in progressivo miglioramento non sembrano un brutto investire, no?

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