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Crisi e stato sociale: grande confusione sotto il cielo d’Italia

Leggo da più parti che l’attuale crisi finanziaria dovrebbe essere la conferma del fallimento del modello “liberal-social-democratico”. Quest’affermazione non solo è falsa, ma stravolge completamente la realtà.

E’ proprio nei paesi che si sono allontanati da questo modello, o che semplicemente, non l’hanno mai adottato, che la crisi si è originata e sono questi paesi ad essere quelli più colpiti.

E’ questa, a livello globale, la crisi finale del reaganismo-tatcherismo: un modello di sviluppo fondato sul laissez faire, sulla convinzione vecchia quanto Adam Smith che i mercati lasciati completamente liberi sappiano allocare al meglio le risorse. Una posizione del tutto ideologica che ignora la natura stessa dei mercati e delle forze che li muovono.

Non esiste una mano invisibile, una specie di provvidenza finanziaria, che distribuisce con fredda intelligenza i capitali a questo o quell’investimento. Esistono, da sempre, greed and fear, avidità e timore, che inducono gli uomini a scelte sbagliate, ad iper-reagire all’eccessivo ottimismo o al tragico pessimismo del momento.

E’ questa la crisi della società di consumatori “puri”, scollegati da qualunque attività produttiva, che il reaganismo ha prodotto; le industrie e i capitali si sono mossi liberamente verso gli ultimi mercati vergini, per completare la multi-secolare espansione globale del capitalismo, lasciando nei paesi di vecchia industrializzazione solo i servizi non trasferibili.

E’ un’economia fatta di rivoltatori di hamburger, non importa se con una giacca di Armani addosso e una scrivania negli uffici della Lehman Brothers, quella che sta mostrando i propri limiti. Un’economia tanto intelligente quanto quella descritta in una celebre scena di un film del vecchio Totò: ve la ricordate la “centomila” che cambiando vorticosamente di mano sembrava risolvere i problemi economici di un intero rione? Cosa c’entri questo con la “liberal-social-democrazia” qualcuno me lo spiegherà.

La stessa crisi del debito americano è stata, in prima battuta, generata da Ronald Reagan, che riuscì nell’impresa di raddoppiar tale debito in otto anni; ancora, che cosa c’entra abbassare le tasse ai ceti più alti e aumentare le spese militari con il liberalesimo o con il socialismo?

I paesi del Nord Europa che più sono vicini ad essere delle socialdemocrazie ideali, sono invece quelli che alla crisi meglio stanno resistendo e se le loro politiche fiscali fossero state adottate in tutto l’occidente, la crisi non sarebbe mai neppure sorta.

L’italia, paese che è in un una sorta di tripla crisi addirittura, vittima come tutti di quella mondiale, con una propria crisi del debito, mentre era già in stasi economica da oltre un ventennio, non è certo né liberale né socialista ed è per certo il paese meno democratico dell’occidente.

Ci sono due grossi malintesi quando si analizza la situazione italiana.

Il primo è che l’Italia abbia vissuto negli ultimi decenni al di sopra dei propri mezzi: è assolutamente falso. E’ vero il contrario; messa con le spalle al muro dai debiti contratti durante gli anni ’80, l’Italia dell’ultimo ventennio è vissuta rinunciando ad una parte delle proprie risorse: quelle destinate a pagare gli interessi su quei debiti.

Il secondo malinteso italiano è quello che afferma che il nostro stato sociale sia troppo costoso. Non abbiamo, quasi, uno stato sociale: questa è la verità. Il diritto allo studio da noi non esiste (in altri paesi, non solo l’università e pressoché gratuita, ma è facilissimo avere un pre-salario) e non esistono veri aiuti alle famiglie o ai giovani; l’edilizia popolare costruisce pochissimo e la cultura riceve briciole del bilancio statale. Lo stato sociale italiano è una realtà solo nella mente di chi non deve aver mai vissuto un giorno in un paese dove quel termine abbia un significato.

Le pensioni d’invalidità distribuite a pioggia, il mezzo milione di pensionati che hanno lasciato il mondo del lavoro dopo 14 anni sei mesi ed un giorno di servizio, le legioni di dipendenti pubblici poco o per nulla produttivi, sono esempi di clientelismo che con un vero stato sociale non hanno nulla a che vedere. Sono, in ultima analisi, il costo pagato dal nostro paese alla sua imperfetta democrazia.

Non dobbiamo inventare chissà quali nuove società per farcela; dobbiamo semplicemente cercare d’imitare, per quanto possibile, gli esempi di chi ce la sta già facendo.

Dobbiamo imparare a pagare le tasse, e su questo a sinistra sono tutti d’accordo, e dobbiamo far rendere la nostra spesa pubblica, e su questo tutti tacciono: un cugino imboscato in regione o al ministero lo abbiamo proprio tutti.

Dobbiamo investire quel poco che c’è sui giovani e sul futuro e cercare, nel modo più indolore possibile, ma non sarà possibile che sia in modo del tutto indolore, andare a toccare i diritti acquisiti di chi, in fondo, non ha, per merito proprio, acquisito un bel niente.

Dobbiamo, prima di proclamare fallita la liberal-social-democrazia cercare di costruirne una. Guardatevi meglio attorno: al momento è l’unico sistema che funziona.

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