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Crisi: e solo adesso ve ne accorgete?

Adesso ve ne accorgete? C’è la crisi? Ma da quando?

Adesso sono tutti consapevoli che siamo in crisi. C’è voluta la UE che ci ha imposto misure drastiche, per capire che il nostro Paese è in crisi. E’ vero, l’intera Europa è in crisi, crisi resa evidente dalla speculazione finanziaria, dall’economia di carta, ma noi Italiani avevamo da decenni la nostra crisi che è una crisi strutturale, culturale, tecnologica, politica, etica, che si sovrappone ma la precede da molti lustri, e prescinde, dalla crisi europea. Il nostro, è un Paese in coma, non vitale, in affanno, un Paese che tra le tante paure, teme il progresso, teme ogni novità, è abbarbicato alla civiltà contadina, alle superstizioni, al vecchio, non ha alcuna fiducia nella scienza che anzi guarda con sospetto e con timore. L’illustre oncologo Umberto Veronesi ha lanciato l’allarme: “Nel mondo, ma soprattutto in Italia, si registra un movimento antiscientifico, antimodernista”.

Che la popolazione sia stata ignara della situazione, non deve meravigliare, considerato che oltre il settanta per cento degli italiani è semianalfabeta, non legge i giornali, non è informato, anche perché non è in grado di capire nessuna informazione, ma che celebrati politologi, illustri firme del giornalismo, abbiano fatto credere che siamo un Paese di scienziati che forniamo a tutto il mondo, è una menzogna artatamente propalata affinché i suddetti personaggi, politici compresi, potessero continuare a godersi le loro ricche prebende comodamente sdraiati nelle loro sontuose poltrone. La cosiddetta “fuga dei cervelli” è pura fantasia data in pasto al popolo bue e asinello. E’ vero che qualcuno dei pochi laureati nostrani cerca collocamento all’estero in quanto le nostre piccole e piccolissime aziende, sopravvissute ad anni di sindacalismo selvaggio, non se li possono permettere, ma da qui a battezzare come scienziati pochi colletti bianchi, ce ne corre. Da dove dovrebbero uscire i cervelli se oltre il settanta per cento degli Italiani è semianalfabeta, i nostri laureati non superano la soglia della metà dei laureati dei paesi europei, i nostri studenti sono i meno preparati, e le università italiane sono superate anche da alcune università africane? L’Italia deve temere la fuga degli asini non dei cervelli, questi ultimi sono una trascurabile minoranza, mentre un’eventuale fuga di asini lascerebbe il Paese spopolato.

Usciremo dalle crisi nostrane ed europee? Ai posteri l’ardua sentenza.

Come provarci? Andiamoci piano con tagli e tasse, che pure in parte sono necessari per superare l’emergenza, ma poi, senza indugi, aprire la strada a crescita e sviluppo, ossia alla ripresa. Stroncare tutte le pastoie che si oppongono alla nostra competitività: macchina giudiziaria inefficiente, infrastrutture inadeguate e mal gestite da rilanciare, burocrazia e fisco demenziali. Lo Stato onori i debiti con sollecitudine. Sono sempre più frequenti i casi d’imprenditori spinti al suicidio perché portati al fallimento a causa dei lunghissimi ritardi con i quali lo Stato ha onorato i propri impegni con le loro aziende. Soprattutto, basta con la politica della piazza, con le No TAV e simili, con i comitati di cittadini che si oppongono all’edificazione di parcheggi rionali o discariche, strade, porti, aeroporti, quanto mai necessari.

Gli ambientalisti si occupino della pletora di stabili industriali o civili abbandonati al degrado che offendono l’ambiente invece di crearne di nuovi opponendosi stoltamente a ogni progetto d’infrastrutture che essi bloccano sul nascere. Basta con i tanti enti detentori del micidiale potere di impedire o ritardare per decenni le concessioni richieste per dotare il Paese di infrastrutture di vitale importanza. Siamo parte integrante della UE? Allora, uniformiamo il trattamento economico dei docenti della scuola del nostro Paese a quello della media UE e facciamo altrettanto con il trattamento economico dei nostri politici e magistrati. Certo, questi ultimi avranno di che lamentarsi e i professori a gioire, ma soprattutto ne guadagnerà il Paese in efficienza. La scuola con professori più autorevoli e motivati, sfornerà studenti più preparati e più idonei a dare alla società l’apporto che da loro è lecito aspettarsi. Poi, riformare, snellire, potare i rami secchi. Tutto ciò che non è indispensabile, non solamente è costoso ma è anche dannoso. Via il Senato, via le provincie, via gli enti inutili. Gli antichi romani nella loro saggezza e senso pratico, nei momenti di emergenza sospendevano alcune garanzie sociali e nominavano un dittatore pro tempore. Ora, un dittatore comporterebbe troppi rischi, ma certamente dobbiamo sottrarre chi governa ai veti ideologici o demagogici che sono la palla al piede dei sistemi democratici non sostenuti da una popolazione colta e matura.

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