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Crisi demografica, immigrazione e tasse: come alla fine dell’Impero romano?

Quando si cerca un precedente storico dell’attuale emergenza immigratoria, ci si riferisce all’emigrazione italiana del ‘900.

Ma il paragone non regge, se non altro perché quella fu un’emigrazione, mentre oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno immigratorio di vasta portata, del tutto nuovo nell’Italia moderna e non riscontrabile anche in quella medievale (se non in misura ridotta).

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La distruzione dell’Impero romano, di Thomas Cole

Immigrazione o invasione: l’Impero romano

Per ritrovare un precedente dobbiamo, quindi, riferirci alla storia della Roma imperiale, all’epoca delle invasioni.

Questo perché alcune di quelle che sono passate alla storia come invasioni barbariche furono piuttosto migrazioni di interi popoli, convogliati all’interno dei confini dell’Impero per ripopolare vasti territori. Si fece ricorso ai migranti, precipuamente, per reclutare nuove leve per l'esercito. Per questo motivo, si concesse loro la cittadinanza. Abbiamo così che all'inizio del V secolo, l'esercito romano (che contava quasi mezzo milione di uomini) era per metà formato da immigrati di origine germanica. Ma la barbarizzazione dell’esercito si rivelò un errore fatale, perché, anziché respingere gli invasori etnicamente affini, i soldati di etnia germanica si unirono a loro e, alla fine, marciarono su Roma, ponendo fine all'Impero.

L’hospitalitas fu, secondo un’accreditata tesi storiografica, l’istituto giuridico cui ricorsero i Romani per regolarizzare l’insediamento dei barbari. Esso era un vecchio istituto già in vigore a favore dei soldati che non avevano un luogo in cui alloggiare. I cittadini erano tenuti ad ospitarli temporaneamente, cedendo loro un terzo o due terzi della domus. Pertanto, i Romani cedettero due terzi delle rendite delle terre (o delle tasse) di una data regione in concessione alle popolazioni barbariche, applicando ai foederati germanici, in quanto formalmente soldati romani, le stesse leggi dello ius hospitii. Anzi, a differenza di quanto era avvenuto in precedenza con i soldati romani, le terre e le case furono cedute permanentemente. Gli ospitati s'impegnarono a dichiarare fedeltà all'imperatore e a fornirgli appoggio militare.

Riscontri se ne hanno nel Liber Constitutionum, una raccolta di leggi burgunde (si veda la Chronica Gallica ad annum 452) e nelle leggi visigote (lo attesta Filostorgio), nonché in documenti relativi ai mercenari di Odoacre in Italia (dopo il 476) e agli Ostrogoti di Teodorico.

La denatalità all’epoca della Roma imperiale

Già lo ius trium liberorum (diritto dei tre figli) dell’epoca di Augusto fu un tentativo normativo di contrastare la denatalità incoraggiando le nascite. Esso garantiva ai genitori particolari privilegi quali, ad esempio, per i padri, agevolazioni nella carriera militare.

Ma la denatalità divenne col tempo un fenomeno persistente e duraturo, al punto da configurare nei secoli tardo-imperiali un vero e proprio tracollo demografico. Roma, che aveva all’epoca di Augusto circa un milione di abitanti, ne contava solo qualche decina di migliaia nel V secolo. Né andò meglio nelle campagne, dove molti villaggi furono abbandonati e interi territori restarono incolti.

La denatalità ebbe conseguenze sull’economia, innescando una spirale di tasse insostenibili, statalismo e immigrazione non governata. L’esosa fiscalità finì per vanificare anche i vari provvedimenti incentivanti la natalità (per favorirla si confidò, in un primo tempo, negli schiavi, cui fu fatto divieto di praticare l'aborto e che furono obbligati a fare più figli).

Quali le cause di questo fenomeno?

A causarlo furono non solo le guerre, le carestie e le epidemie, che provocarono molti morti fra la popolazione in età fertile, ma anche una tendenza consolidata a limitare le nascite. Essa fu, a sua volta, conseguenza della corruzione, e del successivo allentamento dei legami familiari tradizionali.

Fu questo, molto probabilmente, ancor prima delle invasioni, il motivo della caduta dell’Impero romano (lo sostiene, in particolare, Michel De Jaeghere in Gli ultimi giorni. La fine dell'Impero romano d'Occidente, saggio del 2014, saggio che ha suscitato in Francia un vivace dibattito, e non solo in ambito storiografico).

Le tasse

Anche la tassazione esosa si legò alla crisi demografica, nel senso che, per certi versi, ne fu una conseguenza, per altri, finì per alimentarla. Nelle campagne, infatti, i piccoli proprietari, non potendo farvi fronte, rifluirono verso le città vivendo di sussidi (e, quindi, di economia improduttiva) o finendo per ingrossare le fila della criminalità.

A ruota seguirono la crisi del commercio e dell’artigianato.

Fu così che gli introiti fiscali, anziché aumentare, diminuirono vertiginosamente (nell’ultimo secolo quasi il 90% in meno!). Un'intera classe di piccoli proprietari, che con il loro lavoro zelante costituivano il nerbo della produttività e sostenevano gran parte del peso fiscale, all'inizio del V secolo non esisteva più.

Contestualmente, vennero meno i presupposti culturali e morali della romanità, quella lealtà alle tradizioni dei padri e quella fedeltà alla parola data e alla patria, che l’avevano fatta grande.

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