“Così sono guarito da una misteriosa malattia”. Silenzio, meditazione, ascolto
Può apparire pretenzioso il titolo “Insegnaci la quiete” (autore Tim Parks – editore Mondadori) per un libro autobiografico che racconta il percorso di un uomo tormentato da anni da misteriosi dolori, alla fine guariti percorrendo strade al di fuori della medicina ufficiale.
Tim Parks giornalista, scrittore, traduttore (insegna allo Iulm) inglese di nascita italiano di adozione, nel bel mezzo dell’età matura viene colpito da una malattia “immaginaria” senza riscontri analitici precisi nel giudizio degli specialisti che l’hanno in cura da molti anni.
Non esattamente. Non toglie vigore alla realtà. E’ un'altra realtà, mentale, che cerca di ricostruire o rappresentare altri elementi reali, o fisici o mentali. O semplicemente di proporsi. Concentrandosi sempre di più sulla parola, o su un lavorio mentale costruito da parole, uno potrebbe trascurare le sensazioni immediate.
C'è differenza tra "il momento sulla terrazza a Maroggia" (qui l’autore ha seguito un corso di meditazione ndr) e la descrizione (a parole) che si legge nel libro?
La stessa differenza che c’è tra ogni evento e la sua ricostruzione in parole. Per me l’esperienza era immediata e soverchiante. Non potevo sottrarmi alla situazione. La ricostruzione è tutt’altra cosa. Fa appello all’esperienza del lettore invitandolo ad immaginare un simile evento. Ma ogni lettore lo leggerà diversamente secondo il suo passato, il suo rapporto con le singole parole, le circostanze della propria vita. E per quanto si senta forse coinvolto o addirittura commosso, non ci sarà la stessa intensità di coinvolgimento.
C'è forse una contraddizione tra il bisogno di scrivere il libro e quanto ha imparato dalla sua esperienza di meditazione? Una contraddizione tra il suo "io vanitoso" e il bisogno di silenzio?
Un paradosso, senz’altro, come c’è un paradosso nel lavoro di uno scrittore come Beckett che vede ogni testo scritto come qualcosa rubato al silenzio. Dall’altra parte, la lezione di quei ritiri a Maroggia e in Toscana è stata: quanta vanità e ossessività c’era nel mio rapporto con le parole. Questo non vuol dire che uno non può cercare di usare le parole in uno spirito un po’ diverso, magari con meno sfogo dell’ego.
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