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Cosa c’è dietro il veto di Cina e Russia sulla risoluzione contro la Siria

La rivalità sottesa tra Cina e Russia, da un lato e Occidente, dall'altro, ha conosciuto un nuovo capitolo in sede di Consiglio di Sicurezza Onu, dove i colossi orientali hanno opposto il proprio veto all'inasprimento delle sanzioni contro di regime di Bashar al-Assad in Siria. L'ultima volta che Cina e Russia avevano opposto un veto congiunto risale al 2008, per bloccare una proposta risoluzione contro lo Zimbabwe, e prima ancora nel 2007, in occasione di un analogo provvedimento contro il Myanmar.

La scelta di Mosca e Pechino è stata duramente criticata dall'ambasciatore Usa Susan Rice, secondo la quale “i popoli del Medio Oriente possono ora vedere quali nazioni hanno scelto di ignorare le loro richieste di democrazia per sostenere invece dei dittatori crudeli”. Dichiarazioni ad uso e consumo della propaganda nostrana.

Dalla nascita delle Nazioni Unite, il diritto di veto è stato usato 263 volte: 119 volte dall'Unione Sovietica, 82 dagli Stati Uniti, 32 volte dal Regno Unito, 18 dalla Francia, mentre Cina e Russia lo hanno esercitato rispettivamente solo 8 e 7 volte. Nei quarant'anni della Guerra fredda l'attività del Consiglio di Sicurezza è stata paralizzata dai veti incrociati. Successivamente, il Paese ad imporre più volte il proprio veto sono stati proprio gli Usa, per lo più per proteggere il proprio alleato Israele.

Tuttavia, il doppio veto russo-cinese riflette i timori di un aumento dell'influenza euroamericana su un Paese (e su un'area) in cui Mosca e Pechino hanno molti interessi in gioco: “Entrambi i Paesi sono noti per la brutale repressione del dissenso. Entrambi perderanno qualcosa se il regime di Assad cadrà. Entrambi commerciano armi e hanno vari interessi economici con la Siria. Entrambi hanno stretti rapporti con il fratello maggiore della Siria, l'Iran. Entrambi i paesi sarebbero tagliati fuori dalla Siria per qualche tempo se Assad dovesse andarsene” osserva Paul Sullivan, professore associato di Studi sulla sicurezza presso la Georgetown University.
Infatti, il testo della risoluzione conteneva alcune altre questioni i due Paesi non potevano accettare, tra cui il divieto di vendere armi e di fornire qualunque assistenza tecnica e finanziaria al regime di Damasco. Russi e cinesi dispongono di diversi accordi di cooperazione militare con la Siria, che rischiavano di venire compromessi dalla risoluzione proposta.

Oltre a ciò, Russia e Cina temono che un nuovo round di sanzioni possa essere il preludio di un approccio più aggressivo alla questione siriana. Le rivolte in corso nel Paese hanno provocato quasi 3000 morti senza che l'Occidente mostrasse la stessa solerzia avuta con la Libia.

La Siria è un perno fondamentale nel Grande Gioco degli equilibri mediorientali, e di questo la Russia è ben consapevole. Mosca ha avanzato progetti nucleari nel Paese (sebbene Damasco avesse già costruito un reattore illegalmente) e sta ricostruendo i porti di Latakia e Tartus, che dovrebbero ospitare una flotta russa ufficialmente dal 2012, sebbene corrano voci che alcune navi russe siano già presenti nel Mediterraneo.
Gli interessi russi in Siria sono così forti da mettere a rischio la solida partnership con la Turchia. Ankara segue con preoccupazione gli sviluppi della crisi siriana, al punto da svolgere esercitazioni militari lungo il confine. I turchi hanno intrapreso da tempo un'intensa cooperazione con i russi nel settore energetico (come l'ingresso nel progetto South Stream), ma la crisi siriana potrebbe ora raffreddare le relazioni bilaterali.

In definitiva, la decisione di bloccare le sanzioni Onu sulla Siria sono la mossa di Pechino e (soprattutto) Mosca per raffreddare un contesto già surriscaldato. Dall'altra parte, il veto opposto servirà agli Usa per alimentare la propaganda antirussa (e anticinese). La questione è dunque molto più complicata di quanto rappresentato dai media, sempre incentrati sul dualismo tra un Occidente paladino della democrazia e i colossi orientali sostenitori della repressione. E l'effetto paradossale è che tutti gli attori in gioco sembrano trarre un pur minimo vantaggio dall'immobilismo delle istituzioni internazionali.
Solo i siriani, che hanno pagato e pagano un pesante tributo di sangue (3000 vittime) per la loro lotta contro il regime, non ne beneficeranno in alcun modo.

Nell'immagine: Carta di Laura Canali tratta da Limes 3/2011 "(Contro)rivoluzioni in corso

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