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Coronavirus: perché le donne colpite sono metà degli uomini?

Dati dell’Istat del 2011 alla mano, dei 59.433.744 residenti in Italia (di cui 4.029.145, ovvero il 6,8 %, stranieri), ben 30.688.237 sono di genere femminile. Insomma, le donne sono oltre metà : il 51,6%. Ancora, su 11.744.206‬ individui oltre 65 anni (dati 2010), ben 6.840.444 ovvero il 58,2% sono donne.

Perché questa sfilza di numeri ?

Per evidenziare una palese contraddizione : in tempi di coronavirus, benché rappresentino il 51,6% della popolazione e il 58,6% della popolazione anziana, le donne si ammalano molto meno degli uomini.

Secondo le statistiche pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità, ed aggiornate al 13 aprile, le donne rappresentano soltanto il 34 % dei decessi con la malattia Covid-19.

Per logica e per i freddi numeri delle percentuali statistiche, invece, dovrebbero rappresentare la maggior percentuale, rispetto a quella degli uomini. Del resto le evidenze dicono che donne sono di più, gli anziani sono la popolazione più colpita e le donne sono molto più longeve degli uomini.

Che succede, quindi ?
Che sorta di immunità – sia pure parziale – hanno le donne rispetto agli uomini ?

Differenza di genere ed incidenza mortalità con Covid-19 : le ipotesi

La domanda se l’è posta pure l’Istituto Superiore di Sanità che si è pure dato una risposta, sia pure in maniera ancora assolutamente azzardata, data l’assenza di dati certi e provati a supporto dell’assunto.

« Per spiegare questo fenomeno sono state avanzate alcune ipotesi generali tra cui:

  • una maggiore tendenza degli uomini al tabagismo,
  • una più spiccata abitudine delle donne a dedicare uno spazio significativo della propria quotidianità all’igiene personale,
  • una risposta immunitaria, sia innata che adattativa, più pronta ed efficace nelle donne che negli uomini.
  • Bisogna però evidenziare anche le differenze che intercorrono tra donne e uomini quando si comincia ad entrare nei meccanismi alla base dell’infezione. Differenze che possono essere sia di tipo ormonale che genetico ».

Lo studio diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità si sofferma, in particolare, su quest’ultimo aspetto.

« Il virus responsabile della COVID-19 penetra nelle nostre cellule legandosi a un recettore chiamato ACE2 (Angiotensin Converting Enzyme 2, Enzima di Conversione dell’Angiotensina), enzima che regola la vasocostrizione delle arterie e che si trova sulle cellule dell’epitelio polmonare dove protegge il polmone dai danni causati dalle infezioni, infiammazioni e stress e lo sottrae così allo svolgimento della sua funzione protettiva ».

Differenza di genere e influenza ormone estrogeno sul Covid-19

E se fossero i benefici dei cicli mestruali che rinnovano, seppur parzialmente, il sangue purificandolo ?

« Nelle donne in età fertile gli estrogeni sono in grado di aumentare la presenza del recettore ACE2 facendo sì che questo enzima, anche dopo l’infezione, riesca a svolgere la sua funzione di protezione, in particolare nei confronti dei polmoni. Viceversa gli ormoni androgeni sembra che svolgano un ruolo opposto », concludono i ricercatori.

Una conclusione che però non tiene conto, per l’appunto, che i decessi avvengono perlopiù oltre i 70 anni, età nella quale le donne, ovviamente, non sono più fertili e quindi in possesso di sufficienti ormoni estrogeni.

Differenza di genere e influenza rischio tabagismo sul Covid-19

Diverso è, invece, il fattore rischio se ci soffermiamo sul tema del tabagismo.

In proposito, una pubblicazione del Ministero della Salute riporta che « un italiano su 4 è fumatore attivo (25%). Il fumo di sigaretta è più frequente fra le classi socio-economiche più svantaggiate (meno istruiti e/o con maggiori difficoltà economiche) e negli uomini. Forti sono le differenze di genere: tra gli uomini i fumatori sono il 23,3 per cento, tra le donne invece il 15 per cento ».
Il numero cresce, tuttavia, se si considerano i fumatori passivi :
« l’esposizione al fumo passivo in ambito domestico è ancora rilevante: 16 intervistati su 100 dichiarano che nella propria abitazione è ammesso fumare ».

Anche questo dato non sembra convincerci completamente, tuttavia, a parziale supporto dell’ipotesi, arrivano sempre i dati dell’Istituto Superiore di Sanità : il 17,9 % dei deceduti per covid-19 erano affetti dalla patologia BPCO ovvero Broncopneumopatia cronica ostruttiva. La percentuale sale al 20,1 % per gli uomini (più fumatori si è detto), e scende al 13,2% per le donne.

Ancora l’Istituto Superiore di Sanità spiega come « il principale fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta (meno quello di sigaro e pipa), che accelera e accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria ».

Però, poi aggiunge : « Anche il fumo passivo può contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia, […] gioca un ruolo determinante anche l’esposizione a polveri, sostanze chimiche, vapori o fumi irritanti all’interno dell’ambiente di lavoro (per esempio silice o cadmio). Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo della BPCO sono l’inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili, ma anche quello presente all’interno degli ambienti chiusi (provocato dalle emissioni di stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata ecc.) ».

Insomma, se è vero che il BPCO è una patologia certamente presente nei soggetti deceduti con il coronavirus covid-19 esso è presente in maniera ancora più bassa rispetto all’aspettativa di trovarvi fumatori ( 23,3% ). Non appare elemento quindi sufficiente per spiegare la differenza di genere tra i deceduti per l’epidemia in corso.

Poiché il curioso dilemma resta insoluto e la soluzione sembra lontana lontana, non resta che ipotizzare.

Chissà!

Foto di Mircea Iancu da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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