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Cop17 a Durban: il problema non è una soluzione

Si è concluso dopo due settimane di “trattative” il Cop17, summit internazionale sul cima tenutosi a Durban.

Stando bene attenti a tenersi lontani dall’Europa per evitare risposte simili a quelle avute a Copenaghen due anni fa, i potenti della Terra si sono riuniti nel Sudafrica per trovare soluzioni reali alla crisi climatica a cui sta andando incontro il pianeta, concludendo con quello che si può definire ottimisticamente un nulla di fatto.

Sintetizzando, la discussione ha visto due schieramenti di cui uno più favorevole alle trattative e uno invece più restìo. Tra i primi presente gran parte dell'Europa, i Paesi maggiormente a rischio dall' Africa e dall'America Latina, e i rappresentanti dei piccoli Paesi insulari quali Maldive e isole Carteret, che rischiano di essere letteralmente spazzati via a causa dell'innalzamento del livello dei mari causato dal riscaldamento globale.

A frenare le iniziative invece Stati Uniti, Cina e India, quelli insomma che tutt'ora bruciano più carbone e petrolio. L' accordo finale tra oppressori ed oppressi si è trovato nel posticipare al 2015 la definizione di un accordo che sarà vincolante per tutti a partire dal 2020. A quanto pare però, i rischi ambientali che corre il pianeta non hanno voluto posticipare alcunché. Per quanto riguarda il famigerato Protocollo di Kyoto, forse tutt'ora ritenuto da molti semplicemente un film erotico giapponese, il Canada ha espresso la volontà di non sottoscrivere il rinnovo dell'accordo, aggiungendosi così agli altri non-firmatari quali Russia e USA, dove il democraticissimo Obama non pare avere intenzione di firmare il Protocollo dopo che il suo predecessore G. W. Bush ritirò l'adesione.

Certo le soluzioni proposte dai boss del Mondo non sono tanto rosee e limpide, e lasciano trasparire il vero problema logico a cui siamo di fronte. Per contrastare il problema dell'inquinamento è stata lanciata l'idea dei cosiddetti Carbon Credits, veri e propri “crediti” che dovrebbero rappresentare la quantità di CO2 che ogni Paese ha il diritto di produrre nei processi industriali. Una singola industria dunque dovrà provvedere a diminuire le sue emissioni in base ai valori posseduti, o nel caso in cui esaurisca i suoi crediti può semplicemente ottenerne altri, acquistandoli. Ciò a cui siamo di fronte, insomma, è una vera e propria forma di privatizzazione dell'aria che respiriamo. Non è tutto. Un'altra brillante idea per abbassare il livello di carbonio dell' atmosfera viene dal dottor Kenneth Coale, scienziato a capo del progetto di bioingegneria SOIREE, nel quale è prevista la contaminazione degli oceani con particelle di ferro per isolare il carbonio: ciò porterebbe alla produzione di fitoplancton che per mezzo della fotosintesi catturerebbe il carbonio stesso. Come piccolo effetto collaterale ciò porterebbe alla sterilizzazione di migliaia di chilometri quadrati di oceano. Insomma, cedere l'acqua per l'aria sembra un buon affare.

Ciò a cui stiamo assistendo ogni giorno e a questo summit in particolare è l'apparente volontà di risolvere un problema senza voler bloccare le cause che lo producono. A Durban ad essere rappresentati erano sostanzialmente quegli organi, politici ed economici, il cui primo scopo è mantenere costante la produttività, sostenere il mercato e assicurare il funzionamento della macchina capitalistica. La risoluzione dei problemi ecologici dunque, agli occhi di questi va intrapresa solo a patto di non danneggiare questi meccanismi, quando questi meccanismi sono i primi produttori di nocività ambientale. Per di più proposte come i Carbon Credits dimostrano come si cerchi di risolvere i problemi causati dal sistema utilizzando il sistema stesso, quantizzando e monetizzando il possibile, privatizzando ogni forma di bene comune, o cercando il modo di ottenere guadagno monetario dalla soluzione ambientale accettata. Un po' come dire che per diminuire il riscaldamento globale ci viene in mente di mettere un gigantesco condizionatore tra la Terra e la Luna.

Nella sua celebre opera “GEB, Un Eterna Ghirlanda Brillante”, Douglas R. Hofstadter ipotizza che ciò che distingue la mente dell' Uomo da quella di un Intelligenza Artificiale sia la capacità del primo di “uscire dal sistema”, capire cioè quando le regole del gioco non possono portare alla soluzione, e cambiare quindi le regole grazie alla propria consapevolezza. E più volte si incontrano problematiche sociali la cui soluzione richiede la realizzazione di questa abilità, per capire innanzitutto qual' è il sistema, e successivamente uscirne. Seppur il problema ecologico oggi esposto rientri perfettamente in questa categoria, data la vastità e la complessità dell' argomento dobbiamo ora abbandonarlo, e di questo tratterò prossimamente. Possiamo dunque parlare di tante proposte alternative di cui abbiamo già sentito tanto, dalle singole scelte individuali alle opportunità offerte dai movimenti collettivi, ma senza dubbio vi è necessità della presa di coscienza che nessun campo intensivo di pannelli solari o nessuna legge anti-chissà-quale-gas potrà essere una soluzione definitiva al problema, e una soluzione definitiva sarà invece meglio trovarla, se non vogliamo che i Maya avessero davvero ragione.

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