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Contro l’Isis. Altre vie, contro guerra

In queste terribili ore, fra uno spot pubblicitario e una canzoncina, che pure parlano d’amore, i telegiornali segnalano una schiera di giovani politici, quote rosa comprese, che si battono il petto dichiarando di essere pronti a (fare) imbracciare le armi, ovviamente sotto l’ombrello delle Nazioni Unite (non si sa mai, la prudenza non è mai troppa), per risolvere il problema ISIS. Chi scrive ha vissuto la prima infanzia nel periodo in cui la guerra c’era, in Italia, e non ne parla per sentito dire. La fame, le bombe, i rastrellamenti dei tedeschi, i morti innocenti, il padre Bersagliere internato in Germania.

Secondo i dati ISTAT, solo in Italia siamo in oltre 6 milioni a conservare questi ricordi.

Penso che molti di loro appezzerebbero una migliore attitudine agli esercizi di problem solving che ai richiami belluini. Personalmente mi dichiaro pacifista, ma sono tutt’altro che mansueto. Per difendere i miei figli, i nipoti in tenera età, la casa con le sue memorie e, infine, la libertà, sono pronto al sacrificio, ma cercherei di attingere alle mie risorse mentali prima di rispondere alla violenza con la violenza.

L’odio è duro a morire e a mio avviso le atrocità di cui siamo, oggi, vittime innocenti sono in parte la conseguenza di analoghi crimini da noi commessi in un passato troppo presto rimosso. 

Ricordo una sparuta pattuglia di tedeschi, con le mani alzate, passare davanti alla mia casa, spinti da un gruppo di partigiani con le armi spianate. Uno dei prigionieri, passando, mi mostrò piangendo la foto di un bimbo come me che stringeva in mano. Oggi sono altri i nostri nemici e richiedono altri i sistemi per affrontarli. Sono consapevole, sano, attivo, bene o male ho percorso gran parte del mio cammino. Vorrei vivere ancora a lungo, ma sarei pronto a sacrificarmi per una buona causa, tenuto anche conto che per motivi anagrafici non mi perderei un gran che.

Forse non sono pochi i vecchietti che la pensano come me e forse sentono anch’essi il bisogno di fare qualcosa per rimediare a quel disastro di società che, volenti o nolenti, ricchi o poveri, buoni o perversi, ci apprestiamo a lasciare alla nostra ancora incolpevole prole. Ho inoltre l’impressione che per ogni nostro ragazzo che si sente disposto ad immolarsi per la causa dell’Isis, ci sarebbero dieci o forse cento anziani come me disposti a compiere un gesto altrettanto estremo e disperato, ma di tutt’altra natura.

Ad ogni barcone di disperati che ci arriva da quei lidi si potrebbe allora farne partire dalle nostre spiagge uno in senso opposto, carico di gente disarmata, pronta ad offrire rispetto, amicizia, aiuti concreti, e magari a piangere per le colpe passate.

Potrebbe essere una via? Un posto sulla barca è già prenotato.

 

 

(Gennaro Guida, Firenze/Viareg, 15 gennaio 2016)

 

Foto: Get directly down/Flickr

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