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Concordato preventivo, mirare meglio

Dopo il fallimento di vent'anni addietro, una misura che rinasce manifestamente per favorire l'emersione (senza conseguenze) di nero, ma che potrebbe fallire anche lì

Su lavoce.info, si torna a parlare del concordato preventivo, la misura che riciccia da ere tremontiste, dove peraltro fallì miseramente, e sui cui invece punta molto il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, zar fiscale di Fratelli d’Italia. Ho parlato più volte di questo provvedimento. Nell’ultima, ribadivo il mio scetticismo sugli esiti di una misura che punta ad aumentare il gettito facendo pagare la categoria di contribuenti (autonomi e imprenditori individuali con fatturato non superiore a 5 milioni annui) in assoluto più coccolata da questa maggioranza.

Sfortunatamente, si tratta anche della categoria che, dati alla mano, è quella con maggiore tax gap. Che, per chi ama i termini crudi, significa evasione, oltre che elusione ed erosione d’imposta. La mia tesi era: come è possibile che la categoria più amata dai meloniani, quella che occorre difendere con le unghie e con i denti da richieste di “pizzo di stato”, possa essere chiamata a pagare più tasse, sia pure con il do ut des di consentire di far emergere una non modica quantità di nero senza rischiare accertamenti?

IL NODO DEI CONTROLLI

E come portare al successo una siffatta idea, in un periodo manifestamente pre-recessivo, dove quindi il rischio è quello che anche il nero venga falcidiato, nel prossimo biennio? Un articolo di Marco Leonardi e Leonzio Rizzo aggiunge argomenti, sul piano della logica e della scienza (delle finanze). L’argomento degli autori si racchiude in questa frase:

Nel nostro intervento vogliamo sottolineare il rischio che, così come è stato proposto, al concordato non aderisca nessuno perché la carota di minori controlli non basta, se non c’è il bastone di più controlli per chi non vi accede.

La chiave di volta è l’indice di affidabilità sintetica del contribuente (ISA), la pagella espressa in voti da 1 a 10, che dovrebbe innescare accertamenti per i “peggiori” e premialità per i diligenti. Il problema, al di là della veridicità e della capacità segnaletica del sistema di voti (questione peraltro non secondaria), è che l’amministrazione fiscale non appare al momento avere capacità di realizzare il volume di accertamenti necessari a fornire di dentatura la misura.

La platea dei destinatari, secondo il decreto delegato attuativo, riguarderebbe 2,4 milioni di contribuenti titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo. Si propone altresì di coinvolgere 1,7 milioni di lavoratori autonomi in regime di flat tax, quella che arriva a 85 mila euro annui di ricavi ma ai quali l’ISA non si applica, motivo per cui si utilizzeranno altri strumenti di valutazione dell’affidabilità fiscale. Quali?

Il punto è che, per accedere al concordato preventivo, in cui l’Agenzia delle Entrate stima per il contribuente un reddito per il successivo biennio su cui pagare Irpef e Irap per il 2024 e 2025, bisogna avere un voto ISA di almeno 8. Ora, accade che i contribuenti sotto questo voto siano ben il 55,4% del totale. Potranno cercare di rientrare nella misura migliorando la pagella 2023 caricando entro il 20 giugno una serie di dati (rectius: reddito “mancante”) sull’applicativo che verrà realizzato dalle Entrate e reso disponibile entro fine aprile. Non si accederà comunque al concordato con debiti fiscali e contributivi di almeno 5.000 euro.

Eventuali redditi superiori a quanto concordato non sarebbero tassati, né in tale periodo si potranno subire accertamenti sui redditi. Tuttavia, si potrà continuare ad essere accertati riguardo l’Iva, e chissà che accadrà in caso di discrepanze eclatanti. Ma, se questo meccanismo pare esaltare il ruolo degli ISA, perché puntare a un concordato con chi ha punteggi superiori a 8, cioè è “affidabile”? Questi dovrebbero in qualche modo essere “premiati”, magari con uno sconto fiscale. Ma in quel caso, lo Stato perderebbe gettito. E che “proposta” si potrà mai fare ai forfettari con flat tax, che dichiarano in media 16 mila euro di reddito, su cui pagano il 15%?

LA SOGLIA CRITICA ISA

Specularmente, un contribuente con ISA basso sarebbe indotto ad alzarlo, cioè a fare emergere preventivamente reddito, solo in caso la minaccia di controlli in caso di rifiuto fosse credibile. Ecco quindi, la proposta di Leonardi e Rizzo: concentrarsi sui contribuenti che hanno un ISA inferiore a 8. Auspicabilmente affinando gli ISA per ridurre i casi di falsi positivi che generano voti bassi (accadde anche al sottoscritto, anni addietro, pur avendo ovviamente dichiarato sino all’ultimo centesimo). I numeri parlano chiaro, del resto:

A sostegno di quanto proponiamo, si tenga conto che, ad esempio, secondo i dati Isa del 2021, un commerciante con ricavi annuali superiori a 30 mila euro, con un fatturato in media di 433 mila euro, dichiara 19 mila euro lordi di reddito nel caso il suo Isa sia inferiore a 8 (57 per cento del totale). Invece se ha un Isa superiore a 8 (43 per cento del totale) su un fatturato medio di 576 mila euro dichiara 61 mila euro di reddito lordo. È evidente come l’obiettivo del concordato debba essere la prima categoria, nella quale, seguendo la logica degli Isa, dovrebbe essere ricompreso un livello medio di evasione molto più alto che nella seconda. 

Interessante notare che, nella relazione tecnica diffusa in via informale, non è cifrato un gettito da recupero di evasione bensì solo quello che deriva da emersione di redditi per raggiungere il fatidico voto di 8. Resta la domanda del soggetto potenzialmente interessato dal provvedimento: perché dovrei farlo, se la probabilità di essere accertato in caso di rifiuto è minore di quella di prendermi un meteorite in mezzo agli occhi?

Per farla breve, c’è molta nebbia su questa misura ma, se le capacità operative di accertamento dell’amministrazione non verranno congruamente potenziate, tutto finirà nel nulla. Ricordiamo i numeri:

Oggi in Italia ci sono quasi 1,3 milioni di autonomi fuori dalla flat tax al 15 per cento e 453.429 società di persone che evadono il 69,2 per cento dei redditi per 32,4 miliardi e 674.551 società di capitali che evadono il 23,8 per cento per 8,98 miliardi.

Se vogliamo essere meno brutali e più garantisti, andiamo a sostituire “evadono” con “producono un tax gap”. Ma il risultato cambia poco. Non sono calunnie, in sintesi, ma c’è un problema. Sempre quello. E a poco serve la canzoncina “e le multinazzzzionali, allora?”

Questo articolo è stato pubblicato qui

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