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Quanto studiano gli studenti italiani?

Quanto studiano gli studenti italiani? Tanto. Di più, tantissimo. Quasi il doppio della media Ocse. Dieci ore e mezzo alla settimana contro le 5,9 dei Paesi più avanzati.

Evviva! In qualcosa siamo primi. Finalmente possiamo vantarci di essere i più bravi. E badate, qui non si tratta di tirare calci al pallone o di fare la pizza margherita più buona del mondo. Stiamo parlando, nientemeno, del campo preziosissimo dell’istruzione, delle competenze e dell’educazione, ovvero del futuro del nostro Paese. Insomma, in tempi di crisi, ci sarebbe di che rallegrarsi.

Peccato che i test PISA effettuati dagli studenti della stessa area Ocse diano risultati completamente rovesciati. L’Italia figura agli ultimi posti della classifica.

Com’è possibile? Sono inattendibili le tabelle che riportano le ore di studio domestico oppure sono inaffidabili i test internazionali?

La risposta, più semplicemente, andrebbe ricercata in un dialogo realmente avvenuto tra un insegnante e un genitore durante il ricevimento delle famiglie in un Istituto superiore di una media città italiana:

Prof.: “Signora, suo figlio va male. Non sa e non sa fare niente perché non studia.”

Mamma: “Non è vero! Mio figlio studia tutto il pomeriggio, dalle due alle dieci. A volte fa perfino mezzanotte.”

Prof.: “Mi sta dicendo che lei lo vede studiare? Che lo sorveglia mentre esegue gli esercizi? Che lo ascolta mentre ripete ad alta voce le lezioni?”

Mamma: “No, ma che dice! Sto solo affermando che mio figlio si chiude in camera tutto il giorno.”

Prof.: “E non le viene mai il sospetto che il ragazzo, durante tutte quelle ore, abbia messo in un cantuccio libri e quaderni? Non le viene il dubbio che se ne stia seduto sul letto, un occhio alla puntata pomeridiana di “Amici”, un occhio alla chat su messenger, un orecchio ad ascoltare musica dall’I-Pod, l’altro orecchio incollato al cellulare?

Mamma: “Bè, non saprei… Non ci avevo mai pensato…”

Appunto.

In questi giorni i genitori degli alunni francesi stanno mobilitando l’opinione pubblica intorno al tema dei compiti a casa. Sostengono che sono troppi e che non andrebbero assegnati. Sostengono che il tempo libero dei ragazzi debba davvero essere lasciato libero dagli impegni scolastici. Sono pronti a dare battaglia pur di rendere (ancora) più lievi le giornate dei loro bambolotti.

Ora, siccome uno dei passatempi preferiti dagli Italiani consiste nell’imitare il peggio dei popoli stranieri (una singolare declinazione dell’esterofilia), è assai probabile che la protesta dei genitori d’oltralpe faccia breccia anche da noi e mandi sulle barricate i genitori fin troppo premurosi dei nostri pargoli.

Se dovessero averla vinta, se riuscissero a strappare un decreto che vieti di assegnare i compiti a casa, lo sfascio della nazione sarebbe completo. E con esiti ben più catastrofici – perché a breve, medio e lungo termine – di quelli rilevabili dalla curva dello Spread. Una volta a casa i nostri ragazzi non dovrebbero più svolgere i compiti, il che equivale a dire: nessun allenamento per la memoria, nessun esercizio nel calcolo matematico, nessuno sforzo per costruire i pilastri culturali che orientano il senso del bello e del giusto, nessuna lettura per arricchire il tesoro personale della lingua grazie alla quale percepiamo e comunichiamo la straordinaria varietà dell’universo, nessuna sfida lanciata al desiderio di apprendere, alla curiosità di comprendere. Soprattutto, nessun addestramento ad eseguire coscienziosamente il proprio lavoro, nessun consolidamento del senso di responsabilità.

Proviamo a immaginarli questi ragazzi che tornano a casa da scuola, con un interminabile - vuoto - pomeriggio da riempire e un diario dalle pagine bianche, anch’esso paurosamente vuoto. Certo, le mamme risparmierebbero il fiato che le nostre nonne spendevano sul collo dei figli per spronarli a studiare, e i papà avrebbero un alibi in più per curare gli affari propri fuori casa, tanto i figli non hanno niente da fare per guadagnarsi la promozione.

Già, ma i figli? I nostri ragazzi di oggi?

Vuoto per vuoto, comincerebbero a vorticare nelle loro stanze, nelle piazze, si aggirerebbero per le strade come tanti ectoplasmi, occhi, orecchie, bocche e dita riempite solo del vuoto che “amorevolmente”, troppo amorevolmente, stiamo creando intorno a loro.

 

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