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 Home page > Tribuna Libera > Come prenderla "con" filosofia: la cattiva gestione delle università

Come prenderla "con" filosofia: la cattiva gestione delle università

Nel secondo manifesto della filosofia, Alain Badiou, prendendo le distanze da quanti proclamavano la “fine della filosofia”, sottolinea le differenze rispetto al suo primo manifesto e afferma che siamo in “un passo ulteriore”, o meglio per dirla con le sue parole: “Se allora la filosofia era minacciata nella sua esistenza, oggi si potrebbe sostenere che essa è altrettanto minacciata, ma per una ragione opposta: le viene attribuita un'esistenza artificiale eccessiva. Soprattutto in Francia, la 'filosofia' è ovunque. Serve da ragione sociale ai diversi paladini dei media. E' sollecitata da ogni parte, dalle banche fino alle grandi commissioni statali, per parlare di etica, di diritto e di dovere. Il punto è che per 'filosofia' s'intende ormai il suo nemico più antico: la morale conservatrice”.

Ora, dopo che – grazie a quest’introduzione - abbiamo perso un numero consistente di lettori, i quali probabilmente ritengono che stiamo parlando di qualcosa di difficile e noioso, possiamo provare a smentirli, cercando di fare la solita morale però più “con” filosofia che “di” filosofia. E invece di suggerire citazioni di qualche testo di Badiou, invitiamo i lettori ad entrare in università, in qualche dipartimento, magari proprio di filosofia, e anche se non avete un’adeguata preparazione in materia, potete facilmente costatare ciò che tutti sappiamo: tagli mirati e sistematici, parcellizzazione dei programmi, precarizzazione, scarsa informazione e trasparenza agli studenti, lottizzazione dei concorsi, baronati e nepotismi vari, gestione personalistica della didattica con monografie inutili di professori etc. etc.

Ma proprio mentre si consuma questa tragedia, c’è lì quel manifesto orrendo, squallido che recita “festival della filosofia”. Sì, avete letto bene, non c’è scritto “festival bar”, ma proprio festival della filosofia! Ora, certo sul manifesto ci sono nomi di filosofi di rilievo, e forse qualcuno meno interessante sul piano teoretico (interverrà anche Fabio Volo?!). Ma per cogliere il cuore del problema - come suggerirebbe qualche filosofo citando l’ideologia tedesca - bisogna partire dal “contesto”. Il problema non sono tanto quei nomi che ovviamente presi singolarmente sono di spessore; il problema è di “contesto”, cioè che lo determina: è una manifestazione farsesca fatta di brevi “interviste” miste a vaghe opinioni, che hanno appunto il fine di intrattenere, di offrire quella sorta di catechismo moralistico intellettualoide al ceto medio riflessivo che cerca di autocompiacersi.

Chi non cerca invece consolazione ma resistenza, sono lo sparuto gruppo di volontari “della cultura” che il 25 agosto scorso si è mobilitato a manifestare a sostegno dell’Istituto di studi filosofici dell’avvocato Marotta, che – a seguito dei numerosi tagli - è costretto a trasferire alcuni libri di prestigio in provincia, messi insieme a manuali di ogni genere, perché si sa che per certi politici che ci governano un libro corrisponde e rappresenta solo il volume di spazio che occupa, che poi vi sia scritto “Kant” “Hegel” “Vico” “manuale dei vigili urbani” “101 ricette” poco importa. Ovviamente è superfluo sottolineare che evidentemente per i media e le televisioni – oltre che per i vari commedianti che intervengono ai festival - tutto ciò non merita attenzioni o indignazione. 

Ma è esattamente questo il problema, da una parte la “filosofia” si trasforma in una leggera forma di intrattenimento da avanspettacolo, una narrazione commerciale: leggiamo dovunque - sui social network, nei vari spot televisivi, sui manifesti - citazioni, frasi brevi, slogan che riportano passi filosofici. Uno spot che indirizzandosi ad un pubblico, o meglio a spettatori, diffonde quella “morale consolatoria“. Progressivamente a questa trasformazione, al contrario la “vera” Filosofia -quella con la maiuscola – intesa come libero esercizio della ragione, luogo di dialogo e confronto, di “resistenza”, viene sistematicamente attaccata dall’alto, talvolta, proprio attraverso la mistificazione. Più chiudono Istituti di ricerca più ci sono festival della filosofia.

Dunque già a questo punto qui il discorso può sembrare troppo complesso e per comprendere come la doppia morte della filosofia passa attraverso la sua spettacolarizzazione bisogna fare un passo indietro, e magari illustrare come analogamente anche la libertà oggi viene negata attraverso la sua "reificazione". Le vere politiche autoritarie – anche nell’università - non vengono adottate “negando” pubblicamente, esplicitamente dall’alto, con violenza, la libertà. Ma - hanno capito - che il modo migliore di adottare politiche autoritarie è attraverso un finto concetto di “libertà”, del tipo “sei liberi di essere schiavo!” Un modo sottile ma efficace. Facciamo qualche esempio. Alcuni studenti, in questi giorni, avranno ricevuto dei questionari di “valutazione dei docenti”. Ora il piccolo dettaglio, non specificato in calce, è che il fine del test non è valutare i professori. Il test serve semplicemente per capire quanti studenti seguono quel determinato corso con quel determinato professore e in base a ciò vengono erogati fondi. Fantastico. 

Come già avviene da anni, le università ricevono fondi in base al numero di iscritti e a coloro che frequentano il corso, oltre che alla media voti. Questo ha portato un progressivo e inarrestabile abbassamento del livello e della qualità media, che favorisce la massificazione: corsi ripetitivi e scadenti. Insomma, l’università si trasforma sempre di più in un caseificio che stampa voti, una sorta di azienda dove la conoscenza viene “pesata” con crediti. Questa mercificazione della conoscenza è la morte della didattica. L’istruzione dovrebbe essere come la sanità, l’acqua: gratuita nel senso di indipendente dal profitto e accessibile a tutti. 

Il vero paradosso di oggi è che proprio nel momento in cui crediamo di essere “liberi” mettendo la crocetta sulla qualità del professore, accettiamo il “sistema” sottoponendoci al conteggio e quindi a quel parametro imposto dall’alto. 

La vera scelta da fare (per citare qualche filosofo rivoluzionario) non è se valutare bene o male quel determinato professore, non cambia nulla (falsa libertà), ma non valutarlo proprio, rifiutare di accettare quel compromesso, quel sistema. Ecco, provate a non compilare questionari e invitate tutti a non seguire corsi e vedete cosa vi diranno i diversi amanti della sapienza. In questo modo non ci rendiamo conto della spaventosa deriva autoritaria a cui siamo sottoposti, spesso proprio in virtù quella morale conservatrice. Noi studenti dovremo avere il coraggio, la responsabilità di rifiutare il compromesso, di non sottoporci al test, di non scegliere quello che gli altri ci pongono come (finta) alternativa.

Non c’è – negli ambienti accademici - una dialettica, un luogo rizomatico di incontro. Vi è bensì un verticismo spaventoso, che assume tratti fatalistici per lo studente. In questi giorni, in silenzio, ci sono consigli di facoltà che decidono il destino di noi studenti e tutto ciò non genera la minima “dialettica” studentesca, il minimo confronto.

Di questa duplice morte, si possono fare numerosi esempi. Il modello di persona che si integra davvero col sistema attuale, non è necessariamente il fascistoide che accetta politiche autoritarie, al contrario, il post sessantottino, pseudo rivoluzionario. Proprio perché – per noi studenti- rappresenta la falsa scelta della protesta; ma è proprio nel momento in cui noi crediamo di andare contro il sistema, siamo funzionali allo stesso favorendo chiaramente gli interessi del Barone di turno. Al Barone conviene il sessantottino che protesta, non il fascista. Perché rispetto al primo ci illude di essere liberi, ponendoci false scelte. 

Più la filosofia diventa la sceneggiatura di un “festival”, più non ci accorgiamo del fatto che vengono tagliati istituti di ricerca. Più ci pongono test, che ci illudono di “valutare” i professori, più accettiamo il sistema che mercifica e svaluta la didattica. Nel momento in cui tutto sarà diventato un festival da circo, allora sarà davvero la doppia morte della filosofia.

Filosofia è, in una parola, libertà. La libertà non la si chiede a qualcuno, ma generalmente la si prende e basta. Non la si insegna o impara, ma la si vive, testimoniandola. Allora, davanti, a tutto ciò bisogna porre un netto rifiuto, una profonda e sentita “rinuncia” alla spettacolarizzazione. Per dirla col Pasolini che - poco prima di morire - si scagliava contro falsa tolleranza e falso laicismo: “Contro tutto questo - concludeva voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticate subito i grandi successi e continuate imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare". 

Appurato questo, possiamo adesso - davvero - comprendere Badiou: "Il mio secondo manifesto cerca quindi di de-moralizzare la filosofia, di rovesciare il verdetto che la consegna alla vacuità di 'filosofie' tanto onnipresenti quanto asservite. Essa rinnova il legame con ciò che può illuminare l'azione di alcune verità eterne. Illuminazione che conduce la filosofia al di là della figura dell'uomo e dei suoi 'diritti', al di là di ogni moralismo, nel luogo in cui, alla luce dell'idea, la vita diventa ben altra cosa che la sopravvivenza". 

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