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Come perdere casa e lavoro nel Nome del Signore

Il 15 febbraio dieci famiglie di contadini saranno sfrattate dalle loro case nel Parco Tenuta dell’Acquafredda, a Roma. Sarebbe lecito per questi coltivatori sperare in una benevola intercessione della maggiore autorità morale e spirituale del loro paese e della loro città, la Chiesa, per tentare di convincere chi di dovere ad annullare gli atti di sfratto nei loro confronti. Ma questo non è possibile. Perché il proprietario formale del terreno ad aver imposto la loro cacciata è proprio il Vaticano. Sia lodato Gesù Cristo.

Da ben quattro generazioni queste famiglie vivono e lavorano nel Parco dell’Acquafredda, campando con le vendite dei loro prodotti al mercato Trionfale. Sono coltivatori diretti che per un raptus di spietatezza cristiana perderanno insieme casa e lavoro. Cioè tutto. Lo sfratto, previsto per il 25 gennaio scorso, è stato poi rimandato dall’ufficiale giudiziario a martedì prossimo. La mattina del 15 febbraio le famiglie verranno svegliate dall’arrivo delle forze di polizia, che libereranno l’area dagli occupanti.

Ma i contadini non sono rimasti con le mani in mano. Il 13 gennaio hanno manifestato distribuendo frutta e verdura in Via della Conciliazione, alle porte del Vaticano, per sollecitare nella Chiesa un ripensamento. Hanno inoltre indirizzato al Papa Benedetto XVI una lettera aperta:

“Sua Santità, Le chiediamo di intercedere presso il Capitolo di San Pietro, proprietario della tenuta, affinché non si compia quella che secondo noi è una grande ingiustizia” [...] “Il Capitolo di San Pietro sta mettendo in atto gli sfratti esecutivi di noi contadini, sia dalle abitazioni che dai terreni che coltiviamo ormai da quattro generazioni” [...] Dunque, chiediamo di incontrarLa per comprendere le ragioni e cercare di trovare una soluzione più umana e benevola nei nostri confronti. Considerando anche che la Tenuta di Acquafredda, oggi Riserva Naturale Regionale, ha una destinazione e una vocazione prettamente agricola”.

La richiesta “Papa non ci sfrattare” sembra non aver sortito effetti per ora. Ma le reali motivazioni che hanno spinto il Capitolo di San Pietro a richiedere lo sgombero rappresentano l’aspetto più oscuro della vicenda. Le ragioni ufficiali non sono note, né scontate. La zona è infatti sottoposta a vincolo di Parco Naturale. Quindi, come affermato da Nando Bonessio, presidente dei Verdi del Lazio, in quell’area “non è possibile edificare”. Un sospetto lo avanza però il portavoce del comitato dei contadini Fulvio Albanese, che vede dietro questa vicenda “l’ombra della speculazione” edilizia. Per il Capitolo di San Pietro non sarebbe cosa nuova il cimento nell’arte del mercanteggiare. Già nel 1992 l’intera proprietà stava per essere venduta al palazzinaro romano Domenico Bonifaci per 120 miliardi di lire. Al Capitolo di San Pietro, oltre a un assegno di dieci miliardi, erano stati promessi ben trentadue appartamenti in costruzione nella zona di Val Cannuta. La transazione era poi andata a monte a causa del coinvolgimento del costruttore nello scandalo di Tangentopoli. Nel 1996 l’area è stata dichiarata Riserva Naturale Regionale, ma questo non ha impedito che alcune zone venissero utilizzate come discariche abusive per rifiuti speciali.

Ora il Vaticano rivuole la sua terra, anche se dovrà pagare il prezzo di un ignobile sfratto ai danni di decine di persone. A prezzi tanto modici, si sa, la Chiesa non ha mai avuto problemi di esborso. È tuttavia singolare vedere come la Chiesa sia nei secoli diventata avvezza alla pratica dell’accattonaggio e del negoziato, mentre quel discepolo che per primo e con ammirevole lungimiranza ha dato il via a quest’andazzo sia invece divenuto oggetto dell’ingratitudine cattolica, passando alla storia come il più grande traditore e consolidandosi nel tempo come soggetto preferito delle bestemmie. Eppure, dell’ipocrisia cristiana, troppi sono i Giuda che ne profittano. E troppi sono i poveruomini che ne pagano le spese.

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