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Come fanno i cani a capirci quando parliamo?

Il cervello canino distingue tra le parole e l'intonazione con la quale le pronunciamo. Ora finalmente conosciamo il meccanismo di elaborazione lessicale che lo permette, ed è simile al nostro.

di Anna Romano

 

Chi più, chi meno, tendenzialmente tutti parliamo con i nostri animali domestici: per dar loro dei comandi, per lodarli, per sgridarli, a volte perfino facendo lunghi discorsi – forse rivolti più a noi stessi che a loro… E, almeno per quanto riguarda i cani, sappiamo anche che ci riescono a capire piuttosto bene, riconoscendo singole parole, toni e perfino espressione del volto. Ma come avviene questa comprensione? In altre parole, come avviene nei cani l’elaborazione delle informazioni vocali che diamo loro? La risposta, secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports, è che l’elaborazione lessicale avviene in un modo non dissimile dal nostro e secondo un ordine gerarchico delle informazioni trasmesse.

Risonanza magnetica per cani

Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Etologia della Eötvös Loránd University, a Budapest, che già alcuni anni fa aveva impiegato la risonanza magnetica funzionale (una tecnica di imaging che consente di vedere quali aree cerebrali si attivano in determinati momenti) per mostrare come il cervello dei cani, come quello umano, distingua tra la parola e l’intonazione con la quale viene pronunciata. L’elaborazione delle due informazioni attiva differenti emisferi cerebrali, e la loro integrazione consente di produrre un significato. Ora, i ricercatori hanno cercato di capire meglio le dinamiche attraverso cui tale elaborazione avviene.

Per farlo, si sono nuovamente basati sulla risonanza magnetica funzionale. Si tratta di un aspetto da non sottovalutare, nel senso che non è semplice da attuare sperimentalmente con i cani, dal momento che richiede loro di stare immobili per alcuni minuti durante il test. Infatti, è stato necessario un periodo di training (basato sul rinforzo positivo) per abituarli alla macchina; a eccezione di uno, tutti i 12 cani che hanno partecipato all’esperimento avevano già partecipato anche al precedente lavoro.

Parole vs. intonazione

Quindi, uno sperimentatore ha pronunciato una serie di parole (“molto bene, bravo”…), che usiamo comunemente per elogiare i cani, e parole assolutamente neutre, come congiunzioni e avverbi, che non sono associate a un particolare contesto, con un’intonazione neutra oppure elogiativa (qui un video riassuntivo dell’esperimento con alcuni esempi; i termini usati sono in ungherese). Più precisamente, gli autori parlano di “prosodia emotiva” (emotional prosody), un termine che comprende alcuni elementi non verbali del linguaggio come, appunto, l’intonazione della voce. Per evitare che vi fosse un’influenza dovuta alla familiarità, i ricercatori hanno scelto di far condurre il test a una sperimentatrice, non ai proprietari.

Per capire se vi è una gerarchia nell’elaborazione lessicale, i ricercatori hanno analizzato l’“adattamento”, ossia come e dove l’attività cerebrale diminuisce in seguito a stimoli ripetuti: «Durante lo scanning cerebrale, a volte ripetevamo le parole, a volte l’intonazione», spiega in un comunicato Anna Gábor, prima autrice dello studio. «La maggior diminuzione del segnale in una data area del cervello a determinate ripetizioni mostra il coinvolgimento di quella regione».

Elaborare con ordine

I risultati del confronto tra le parole note (pronunciate in tono neutro o elogiativo) e quelle neutre dal punto di vista canino (sempre pronunciate con intonazione neutra o elogiativa) hanno mostrato che l’elaborazione delle informazioni lessicali nei cani non è diversa da quello umano. In particolare, avviene in due step e seguendo una gerarchia: quello dell’intonazione si verifica prevalentemente nelle regioni subcorticali, filogeneticamente più antiche, mentre quello del lessico avviene, solo per le parole note, a un livello più alto, nelle regioni corticali uditive. Inoltre, le parole note al cane sono processate in modo più marcato nell’emisfero cerebrale destro.

Gli autori specificano che questo tipo di elaborazione gerarchica non riflette necessariamente qualche tipo di capacità linguistica. Infatti, sebbene le parole note al cane siano processate in modo differente rispetto a quelle neutre, ciò non significa che ne riconoscano il significato; in altre parole, possono essere solo una sequenza di suoni che per lui è più rilevante e dunque più semplice da imparare.

«Sebbene l’elaborazione umano del linguaggio sia unica sotto molti aspetti, questo studio rivela somiglianze emozionanti tra noi e le specie che non parlano», commenta Attila Andics, co-autore dell’articolo. «Tali somiglianze non implicano però che la gerarchia osservata si sia evoluta per l’elaborazione del linguaggio; può, invece, riflettere un principio di elaborazione più generale. Più semplicemente, le indicazioni vocali che danno indizi emotivi (come l’intonazione), sono analizzate a livelli più bassi, mentre gli indizi più complessi e appresi (come il significato delle parole) sono analizzati a livelli più alti in diverse specie».

 

Fotografia: Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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