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Cinquant’anni dal golpe in Cile

Da ieri sono trascorsi 50 anni dal colpo di stato in Cile.

Durante il regime di Pinochet furono sospese le garanzie costituzionali, venne sospeso il Congresso e fu dichiarato lo stato d’assedio in tutto il Cile. La tortura, le sparizioni forzate e altre violazioni dei diritti umani divennero politiche di stato.

Secondo i dati ufficiali, le persone torturate, uccise, arrestate e scomparse sotto il regime furono 40.175. L’Osservatorio sulla giustizia transizionale segnala che in oltre il 70 per cento dei casi di persone uccise o scomparse non ci sono state verità, giustizia né riparazione.

Tra il 1973 e il 1990, 3216 persone furono assassinate o sottoposte a sparizione forzata. Si stima che 1469 corpi di persone arrestate e poi uccise non siano mai stati trovati.

Amnesty International Cile ha sollecitato le autorità a fare passi avanti decisi verso la giustizia.

È imprescindibile che il Piano nazionale di ricerche annunciato dal presidente Gabriel Boric consenta di chiarire le circostanze della sparizione e il destino di queste persone. Questo programma dovrà svolgersi con la piena collaborazione delle famiglie, avere a disposizione risorse adeguate affinché la sua attuazione sia efficace e favorire indagini penali su tutte le persone sospettate di responsabilità individuali.

A 50 anni dal colpo di stato, il Cile non ha ancora una legge che protegga i luoghi della memoria né un archivio nazionale della memoria. È fondamentale che le autorità assumano l’iniziativa di dare vita a tale archivio, che abbia regole chiare sul suo funzionamento e che veda la partecipazione della società civile. È altrettanto urgente che le autorità rispondano alle necessità della rete dei luoghi della memoria e garantiscano protezione e conservazione di quei luoghi in cui vennero commesse violazioni dei diritti umani. Da questo punto di vista, è significativo il recente annuncio del governo relativo a una Politica nazionale della memoria e del patrimonio ed è fondamentale che il Congresso appoggi tale iniziativa.

Mentre oggi le vittime, le loro famiglie e i gruppi per i diritti umani continuano, dopo decenni, a chiedere giustizia, alcune figure pubbliche e autorità dello stato si rendono irresponsabilmente promotrici di discorsi d’odio. Le loro azioni sono realmente pericolose perché minimizzano la sofferenza delle vittime, negano il diritto alla verità, spargono disinformazione, indeboliscono le istituzioni e favoriscono l’impunità e, con essa, la possibilità che la storia si ripeta.

Il Cile non merita tutto questo. 

 

 

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