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Cina, la palla di neve che travolge i risparmiatori

La discesa del mercato azionario cinese accelera, riflesso di una crisi sempre più profonda. Ad alimentare i ribassi potrebbero esserci alcuni derivati, comprati in modo massiccio dai risparmiatori.

Prosegue, e accelera, la discesa del mercato azionario cinese, che riflette le molteplici dimensioni della crisi del paese, dallo scoppio della bolla immobiliare agli interventi del regolatore sulla tecnologia, fino alla fuoriuscita degli investitori occidentali da una mercato che appare sempre meno investibile, non solo per motivi riconducibili a tensioni geopolitiche.

RIBASSO SENZA FINE

I tentativi delle autorità di puntellare le quotazioni si rivelano, come è ovvio, inani e costosi. Pare che il famoso “National Team” di investitori istituzionali domestici, su sollecitazione delle autorità, intervenga in acquisto di alcuni Etf per contrastare la discesa, ora pare anche con una sorta di bazooka da quasi 300 miliardi di dollari. Oltre al “classico” (e inutile) divieto di vendite allo scoperto, ai broker pubblici è stato comandato, dopo una breve pausa a dicembre, di evitare di essere venditori netti di azioni in alcuni giorni. Questa misura non fa altro che tentare di mettere un tappo sulla pressione delle vendite, innervosendo i risparmiatori che alla fine si convincono che è meglio togliere il disturbo sin quando è possibile.

Il ribasso è più vistoso sulla piazza di Hong Kong, dove le azioni cinesi vengono vendute pesantemente dagli occidentali, e il loro prezzo affonda più di quello a cui le stesse società passano di mano sulle borse continentali cinesi. Il motivo è intuibile e intuitivo: su piazze come Shanghai e Shenzhen le vendite sono frenate da varie limitazioni operative, come detto sopra, oltre che dagli acquisti degli investitori istituzionali teleguidati dal partito.

Su Hong Kong c’è il liberi tutti, e gli investitori esteri passano da lì per chiudere le posizioni e riallocare altrove i portafogli. Ad esempio sulla borsa giapponese, che sta vivendo una lunga primavera grazie alla svalutazione dello yen e alla comparsa di investitori attivisti che puntano a “creare valore” come avviene in Occidente, nel bene e nel male.

Il mercato offshore di Hong Kong si trova quindi martellato, e lo sconto delle sue quotazioni rispetto a quello di azioni identiche ma quotate sul mercato onshoreprossimo al 40 per cento, ha ormai toccato i massimi da quindici anni.

Nel frattempo, la Cina resta sofferente per una insidiosa deflazione, alla produzione e al consumo, che rischia di far esplodere i debiti, gonfiandone il valore reale. Deflazione di debito, appunto, per scongiurare la quale iniziano a levarsi voci che chiedono nuovo debito pubblico per sostituire quello che i privati tentano di ridurre, aumentando il già elevato tasso di risparmio e deprimendo ancor più i consumi. Senza questo travaso di debito, si argomenta, la crisi diverrebbe strutturale e durerebbe anni.

Ma le autorità non sembrano ancora aver deciso che strada imboccare: la politica monetaria non viene formalmente allentata e quella fiscale non appare orientata a ridurre le criticità. Anzi, potrebbe addirittura produrne: la forte espansione del credito, indirizzato dalle autorità verso i settori manifatturieri innovativi, crea da un lato maggiore indebitamento aziendale e dall’altro eccessi di capacità produttiva che devono essere scaricati sui mercati globali, esacerbando le tensioni commerciali.

I FAMIGERATI CERTIFICATI

Tornando ai mercati azionari cinesi, la spirale ribassista potrebbe essere alimentata anche da prodotti strutturati collocati in modo massivo presso i risparmiatori. Si parla, a dire il vero in modo ricorrente, dei cosiddetti certificati snowball. Sono strutture che tracciano i maggiori indici azionari cinesi e hanno una scadenza tipica di due anni. Promettono di pagare delle maxi cedole, oggi dell’ordine del 10% ma in passato anche doppio, se l’indice che tracciano resta sopra una soglia, detta knock-in. Violata al ribasso la quale, il capitale del certificato si azzera. Ci sono delle varianti a questo schema, frutto di incroci di posizioni in opzioni, ma per semplicità consideriamo questo esempio.

Perché il capitale si azzera? Perché si tratta di strutture a leva, e che solo così riescono a incassare cedole corpose, che poi sarebbero il valore delle opzioni put vendute. Quando il sottostante (l’indice di mercato) scende sotto lo strike price, cioè il prezzo di esercizio, il gioco finisce. Nel peggior modo possibile per il risparmiatore. Con strutture del genere, si finisce col raccogliere monetine davanti a uno schiacciasassi, per usare l’efficace immagine utilizzata dagli anglosassoni.

La continua discesa degli indici ha quindi fatto scattare molte soglie di knock-in. Ma non è tutto: come sempre accade in questi casi, il fenomeno si autoalimenta. I broker, che hanno venduto questi certificati ai risparmiatori e quindi hanno assunto una posizione ribassista sugli indici, coprono il rischio assumendo posizioni lunghe, cioè comprando il future sull’indice sottostante. Quando gli indici toccano il livello di knock-in, i broker vendono il future, perché la loro esposizione è cessata e si troverebbero quindi lunghi, cioè esposti all’indice azionario, senza averne motivo. In assenza di pronto assorbimento da parte di acquirenti, il ribasso si autoalimenta. Diventa, appunto, una palla di neve. Sporca del sangue dei risparmiatori.

Un problema del genere si è verificato anche sui mercati della Corea del Sud, dove i risparmiatori negli scorsi anni si sono inzeppati di certificati simili, del tipo autocallable, allettati dal pagamento di maxi cedole, nel momento in cui i tassi erano ai minimi storici. Non è finita benissimo, anche considerando che molti broker coreani hanno collocato degli autocallable legati alle azioni cinesi. Ops. Anche se si tratta di una stima difficoltosa, a novembre si prevedeva che i risparmiatori sudcoreani potrebbero perdere, nel primo semestre di quest’anno, circa il 40-50% dei certificati emessi sull’indice di Hong Kong delle aziende cinesi. Da allora, quell’indice si è inabissato, e verosimilmente molti autocallable sono spirati.

Non si sa esattamente quante siano le posizioni snowball a rischio di essere incenerite in Cina. Si parla di 30 miliardi di dollari equivalenti. Non la determinante decisiva dell’attuale ribasso dell’azionario cinese ma con tutta probabilità una delle concause, oltre che radice di movimenti di accelerazione dei ribassi. Che poi costringono gli istituzionali governativi a immolarsi non per frenare il ribasso ma per contenerlo.

RISPARMIO IN FUMO, REGIME A RISCHIO?

Alla fine, sia per motivi fondamentali che di leva finanziaria presente nel mercato, in Cina stiamo assistendo a una distruzione epocale di valore azionario. Ma è un pessimo momento per i risparmiatori cinesi, tra immobili e mercato finanziario. Il problema e il pericolo, per il regime di Xi Jinping, è che in molti si arrabbino davvero.

P.S. Una spiegazione per quanti potrebbero obiettare che è assurdo parlare di crisi strutturale di un paese il cui Pil cresce al passo del 5% annuo. A parte le solite considerazioni sulla veridicità delle statistiche cinesi, considerate questo: se un paese sovrainveste, in manifattura e costruzioni, infrastrutturali e civili, il suo Pil si gonfia. Fino a quando questa super-bolla scoppia. Non è difficile, vedete?

Photo by Stang_wmCC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Questo articolo è stato pubblicato qui

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