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Ciancimino jr e gli investimenti dei boss su Milano 2

Con la sua testimonianza al processo Mori il figlio di don Vito continua a raccontare dei rapporti intercorsi tra suo padre, uomini delle istituzioni e servizi segreti.

Ciancimino jr e gli investimenti dei boss su Milano 2

Le dichiarazioni di Massimo Ciancimino continano a preoccupare i palazzi del potere, protagonisti dell’ormai quasi certo patto tra stato e mafia nella prima e nella seconda repubblica.
 
Ciancimino jr, è stato sentito ieri, ed è stato riascoltato oggi, nel processo che vede imputati gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu per favoreggiamento a Cosa Nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano il 31 ottobre del ’95 a Mezzojuso, in provincia di Palermo, dove Luigi Ilardo, confidente delle forze dell’ordine, ne aveva segnalato la presenza al colonnello Michele Riccio. Ilardo venne ucciso un paio di giorni prima dell’inizio ufficiale della sua collaborazione.
 
Ed ecco che il figlio dell’ex sindaco di Palermo, per circa otto ore, racconta il ruolo di suo padre, anello di congiunzione tra lo stato e Cosa Nostra, e dei suoi incontri con il misterioso "signor Franco" o Carlo, uomo dei servizi segreti che incontrava suo padre durante il soggiorno obbligato, che lo andave a trovare in carcere e in contatto con don Vito fino a pochi mesi prima della sua morte. Quel signor Franco che il giorno dei funerali del padre gli aveva portato le condoglianze del boss Provenzano, che tramite pizzino affermò che "è morto un grande uomo".
 
Sono molti le persone e i fatti di quegli anni di cui Ciancimino racconta, da quel Marcello Dell’Utri che a suo dire sostituì il padre nella trattativa, ai ministri Mancino e Rognoni che erano a conoscenza del dialogo tra don Vito e il vice comandante dei ros, Mario Mori. Arrivando a raccontare degli investimenti di suo padre e dei boss in Milano 2, dell’arresto di Riina e della mancata perquisizione del suo covo.
 
Per quanto riguarda il senatore Marcello Dell’Utri Massimo Ciancimino ricorda che "dopo il suo arresto, avvenuto nel dicembre del ’92, mio padre si era convinto che i Carabinieri lo avevano tradito, e che avevano un nuovo interlocutore, probabilmente con l’avvallo di Provenzano. Anni dopo mi rivelò che, secondo lui, il nuovo referente istituzionale, sia della mafia che dei soggetti che avevano condotto la trattativa, fosse Marcello Dell’Utri". Il padre si sentiva "scaricato". Racconta Ciancimino jr: "Nei lunghi colloqui tra il Lo Verde (cioè Provenzano, n.d.r.), il signor Franco e mio padre non parlavano solo di come mettere fine alla latitanza di Riina. Si stava mettendo in piedi un programma. Nel 1992 c’erano state da poco le elezioni, c’era l’avanzata della Rete, della Lega, c’era un partito, quello che di fatto aveva comandato negli ultimi 40 anni, soprattutto in Sicilia...".
 
A proposito di Bernardo Provenzano, Ciancimino racconta che "un accordo stipulato nel 1992 gli aveva fornito la totale immunità per muoversi sul territorio italiano". Infatti Vito Ciancimino e il boss di Cosa Nostra si incontravano spesso nell’appartamento romano dell’ex sindaco in via San Sebastianello a Roma durante la sua detenzione nella capitale. Il tutto senza che Provenzano/ Lo Verde provvedesse a particolari accorgimenti, in quanto protetto da un patto con gli uomini delle istituzioni avvenuto tra maggio e dicembre ’92.
 
E fu proprio Provenzano a contribuire alla cattura di Totò Riina. Afferma infatti Ciancimino che "dopo la strage di via d’Amelio mio padre mi spinse a riprendere i contatti con i carabinieri, il colonnello Mori e il capitano De Donno. Concordammo un nuovo incontro che avvenne nell’appartamento romano di mio padre, nei pressi di piazza di Spagna, tra il 25 e il 26 agosto. Ho un documento che prova quell’appuntamento". E continua: "In quel momento, cambiava totalmente l’oggetto del dialogo fra mio padre e gli ufficiali dell’Arma rispetto alla prima trattativa. Nel momento in cui si percepiva chiara la ferocia di Cosa nostra, mio padre reputava infatti interrotto qualsiasi tipo di rapporto con Salvatore Riina. I carabinieri chiesero allora di poter catturare Riina, non Provenzano, perché loro sapevano che Provenzano era un interlocutore privilegiato di mio padre. I carabinieri sapevano che per potere giungere a Riina avevano bisogno di mio padre".
 
"I carabinieri erano informati che per giungere alla cattura di Riina suo padre avrebbe dovuto rapportarsi con Provenzano?" gli chede il pm?. Risposta: "Sì, anche perché mio padre non sapeva certo dove si trovasse Riina, da tempo non lo vedeva". Quando Vito Ciancimino venne arrestato, disse al figlio Massimo: "E’stata una trappola dei Carabinieri, adesso che hanno le carte utili per arrestare Riina vogliono togliermi di mezzo". E per quanto riguarda la mancata perquisizione al covo di Riina, Ciancimino riferisce che "non perquisirono il covo per dare al boss l’onore delle armi". E ancora: "Mio padre mi disse che Riina si vantava del suo archivio: con queste carte può crollare l’Italia, diceva. Mio padre era convinto che dopo di lui qualcuno aveva proseguito la trattativa con i Carabinieri: Marcello Dell’Utri".
 
Una delle dichiarazioni che ha destato più scalpore e ha fatto sì che ieri anche l’avvocato del Presidente del Consiglio, Niccolò Ghedini, intervenisse annunciando querela e definendo "prive di fondamento" le affermazioni di Massimo Ciancimino, è quella relativa agli investimenti di suo padre a Milano 2, centro residenziale costruito alle porte della città, nei pressi di Segrate, fra il 1970 e il 1979 dalla società Edilnord, appartenente al gruppo Fininvest.
 
Infatti è negli anni ’70, che, in seguito agli accertamenti fatti dalla commissione antimafia, Vito Ciancimino decide di diversificare i suoi investimenti. Suo figlio racconta che "alcuni suoi amici di allora, Ciarrapico, Caltagirone e altri costruttori romani gli dicono di investire in Canada dove sono in preparazione le Olimpiadi di Montreal". Volevano costruire i residence per gli atleti. Ma anche in "una grande realizzazione alla periferia di Milano che è stata poi chiamata Milano 2". A far compagnia al padre in questo investimento i boss Nino e Salvatore Buscemi, e Franco Bonura, boss di Uditore. Una traccia di questi investimenti è in un manoscritto di Vito Ciancimino consegnato da Massimo ai magistrati, dove insieme ai nomi dei tre imprenditori compare anche quello di Marcello Dell’Utri e "Milano 2".
 
Affermazioni queste che fanno sobbalzare il Premier Berlusconi, che manda avanti il suo avvocato e onorevole Ghedini a difesa della reputazione del suo datore di lavoro. Sempre poco chiare, per non dire del tutto oscure, sono state infatti le origini dei capitali di colui che è diventato l’uomo più potente e ricco del paese e che su queste ombre che si allungano sul suo passato non ha mai voluto fare chiarezza. Il 26 novembre del 2002, il tribunale che stava processando Dell’Utri va in trasferta a Palazzo Chigi per ascoltare Silvio Berlusconi. Egli si avvalse della facoltà di non rispondere, come la legge gli consentiva.
 
"Cavaliere, dove ha preso i soldi?", è la domanda che tutti i giornalisti avrebbero dovuto non smettere mai di fargli in questi anni. Chissà se un giorno i cittadini italiani avranno il diritto di avere le idee un po’ più chiare su colui che che ha governato il paese quasi ininterrottamente negli ultimi quindici anni e su quella che è la vera storia dello Stato in cui vivono.
 
Cosa certa è che proprio ora è saltato fuori un ddl a firma del senatore Giuseppe Valentino, che complica la buona riuscita dei processi di mafia. Una norma che riguarda i pentiti, che, onde evitere un nuovo Spatuzza che crei imbarazzo al Premier, prevede che le dichiarazioni dei pentiti assumano valore di prova soltanto "in presenza di specifici riscontri esterni" e che vengano buttati via e quindi diventino "inutilizzabili" nel processo i verbali solo "parzialmente" riscontrati. Ancora è previsto che solo "l’infermità temporanea" della fonte consentirà di utilizzare testimonianze indirette, e che in caso di morte o irreperibilità del soggetto dichiarante, non avrà valore la sua testimonianza fatta ad un’altra persona.
 
A voler pensar male si potrebbe pensare che forse davvero, come sostiene qualcuno, la trattativa sia ancora in pieno corso.
 
 

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