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Chiesa e mafia: interrogativi a margine di un’omelia

di Francesca Viscone

«Fratelli di fede che hanno tradito la fede vera». Così il vescovo di Locri-Gerace, Giuseppe Morosini, ha definito i partecipanti alla riunione annuale dei boss nel santuario di Polsi.

Come ogni anno il 2 settembre, festa della Madonna della Montagna, l’Aspromonte è stato invaso dai pellegrini. Ma questa volta l’attesa era maggiore, dopo che gli inquirenti avevano diffuso le immagini degli uomini delle ’ndrine che avrebbero consacrato il potere del patriarca Mimmo Oppedisano, proprio lì, in un luogo di culto.

Il prelato ha ricordato nella sua omelia che il santuario è lontano, quasi smarrito nel ventre dell’Aspromonte, non contiene opere d’arte pregevoli, non ci sono strutture ricettive, né divertimenti. È faticoso arrivarci in macchina, un sacrificio andare a piedi.

Nonostante ciò la piccola chiesa in concomitanza della festa è affollatissima ed è sempre riuscita a dare serenità al suo popolo di fedeli. Morosini evoca la suggestiva «immagine biblica del Pastore che si prende cura delle pecore, che va in cerca di quella perduta», ma non si ferma all’iconografia biblica.

E non manca di ricordare che Polsi è anche simbolo di tutti i mali che affliggono la Calabria, una terra che non riesce a risolvere i suoi problemi, che non decolla economicamente, «che soffre ancora della piaga dell’emigrazione dei suoi figli migliori, che non riesce a togliersi di dosso l’immagine di terra del male, dell’illegalità, della violenza, della sopraffazione».

Dice ancora: sono i calabresi stessi a infangare la loro terra con il crimine, ed essa è stata «violata e profanata su ciò che di più sacro aveva e custodiva come preziosa eredità del passato: la fede e la devozione tramandate dai padri». Una tradizione religiosa, afferma Morosini, che è stata infangata, insultata, profanata da «fratelli di fede che hanno tradito la fede vera» pretendendo la benedizione della Vergine sui loro progetti di morte e potere.

Ho trovato l’omelia bella, sofferta e intensa. E credo di averla condivisa. Fino a un certo punto. Leggendola, mi è sembrato di trovarmi di fronte ad una Chiesa che si chiude in se stessa, che si rinchiude nella torre d’avorio della fede-contemplazione dell’ultraterreno, della fede come dialogo privilegiato e privato tra il singolo peccatore e Dio, tra peccatore e comunità dei cattolici; una fede che fa passare in secondo piano il rapporto tra cittadino e stato, tra cittadini, tra uomini comuni, non necessariamente credenti.

Morosini non ha mai parlato di giustizia, di come riparare al male fatto, risarcire le vittime, pagare il proprio debito con la società. Esprimo dubbi, perplessità, non giudizi. Mi sforzo di capire, ma non capisco.

Come può credere Morosini di segnare una rottura netta tra la Chiesa e la mafia solo dicendo: «Cari fratelli, se anche oggi ci saranno incontri e patti illegali, del tipo di quelli che hanno intercettato l’anno scorso le forze dell’ordine, a noi poco importa. Sono cose che non ci riguardano. A noi interessa contemplare il volto materno di Maria…».

Come può la Chiesa avere una visione del suo ruolo così astrattamente attorcigliato su una fede astratta, che non si fa carico delle sue responsabilità nei confronti dei «fratelli di fede che hanno tradito la fede vera». Quali responsabilità? Per prima, quella di definirli fratelli.

È un’espressione carica di conseguenze; implica accoglienza, ascolto, perdono incondizionato. No, non sono fratelli, avremmo voluto sentir dire. Non hanno solo tradito la fede vera, in verità essi non hanno fede se non in se stessi, nel loro potere, che sostituiscono persino a quello di Dio, al quale si sentono, semmai, assai simili.

Se la Chiesa accoglie i mafiosi, sperando di convertirli ad una fede astratta, con la promessa magari che non saranno commesse colpe in futuro, ma senza porre come condizione assoluta per la validità del pentimento anche la collaborazione con le istituzioni e gli inquirenti, lo scontare pene terrene, che cosa fa la Chiesa, quale credibilità ha la Chiesa, quale alternativa offre e quale speranza, ai calabresi onesti, alle vittime, a cui nessuno, nessun braccio armato dai mafiosi e nessun colletto bianco offre mai vie di scampo?

Potresti essere in malafede, mi dico, aver capito male.

Ma come si fa a invitare la stampa a concentrarsi solo sulle manifestazioni di fede, a Polsi? Anche io ho scritto su Polsi, descritto la festa, la fede, ho detto tante volte che non credo che i “Polsiani” siano tutti mafiosi, ho respinto l’idea di un possibile coinvolgimento del santuario in rapporti ambigui, ho difeso tutto di Polsi, tutto quello che poteva essere difendibile, tutta la sua tradizione, persino l’uccisione delle capre lungo la fiumara, a volte anche sospettando che le riunioni annuali fossero folklore, leggenda.

Ho condiviso gli appelli dei nostri intellettuali: se San Luca, se Polsi, si perde, si perde la Calabria, scrisse Vito Teti. E sono conservatrice, e antimodernista, in fatto di tradizioni popolari, al punto che vorrei la Chiesa più discreta, meno invasiva, più rispettosa dei suoni e dei balli, della fonosfera di Polsi, ormai perduta.

Ha ragione Morosini, oltre alla fede disperata dei pellegrini, a Polsi non c’è più niente. Ci sono processioni e feste popolari che hanno subìto meno attacchi, meno cambiamenti.

Perché l’errore terribile che spesso facciamo, succubi di una cultura scolastica e piccolo borghese secondo cui in Calabria non ci sono opere d’arte e “i migliori” se ne vanno, è di credere che lo sporco venga dall’antico e non dal moderno, che la cultura popolare sia insozzata di arcaicità e barbarie, che sia essa per prima il simbolo dell’arretratezza, del mancato sviluppo economico, e che chi rimane, in fondo, è un poveraccio che non ha avuto né la forza né il coraggio di inventarsi una vita altrove.

Chiedo venia: non sto facendo le pulci all’omelia di Morosini, che stimo e in cui ripongo molte speranze. Come le ho riposte, a torto o a ragione, nel suo predecessore, Bregantini.

Ma la stima si basa sul dialogo, sull’espressione sincera dei dubbi, delle opinioni diverse, del dissenso. E io non me la sento più di credere – o di sperare - con Morosini che la storia di Polsi la facciano i fedeli. Purtroppo le immagini che avremmo preferito non vedere, fanno anch’esse la storia di Polsi e non possiamo certamente chiudere gli occhi davanti a questa realtà, né incolpare i media se diffondono notizie di realtà orrende.

Chiedo, vi chiedo: fino a che punto era giusto e opportuno dire: «Se altri vengono qui con l’intenzione di poter dare un significato religioso alle loro attività illegali, che nulla hanno da condividere con la nostra fede cristiana, o a trasmettere poteri che sono espressione non dell’amore di Dio, è un problema loro e non nostro: questo sia chiaro una volta per tutte».

Come laici, o come credenti, crediamo che queste dichiarazioni siano durissime. Durissime non verso i mafiosi e gli ’ndranghetisti, che Morosini non definisce mai tali, ma durissime per noi.

Possiamo mai dire a qualcuno, non mi importa niente di quello che fai a casa mia? Sono fatti tuoi se confondi il diavolo con Dio, se profani sì la mia fede, ma anche e soprattutto il mio diritto alla vita, ad una vita dignitosa e umana?

Perché Morosini, uomo saggio e di grande cultura, ha scelto questa formula per parlare ai mafiosi? Perché non ha mai pronunciato le parole mafia o ’ndrangheta? Perché non ha mai detto “siete dei criminali” e li ha considerati “fratelli che sbagliano”? Più che un messaggio di condanna questo sembra l’invito ad una conciliazione.

Sia chiaro, Morosini non vuole dire che non gliene importi niente, di quello che accade dentro il santuario, al contrario. Vuole segnare una cesura, un punto di rottura chiaro e inequivocabile tra la “sua” fede, quella della Chiesa, e la fede dei mafiosi.

Ma è sufficiente?

Lo fa considerando il “peccato” di appartenere alla criminalità organizzata come un tradimento, una profanazione della fede, non un crimine contro il genere umano.

Pentirsi significa per lui riconoscere il valore della fede autentica, e che fare allora della giustizia terrena, del diritto dello Stato e dei cittadini, dei diritti umani violati in terra di mafia?

È un’omelia, il suo tema è solo la fede. Comprensibilmente, forse, in un’ottica formale. Ma è un messaggio sociale, ripreso e diffuso dai giornali. Destinato a uscire dalla pura ritualità. Ci può essere un pentimento privo di conseguenze “terrene”?

Mi chiedo: questa Chiesa sa parlare al mondo? Rappresenta un’alternativa, dà speranza? È una Chiesa che costruisce giustizia, che costruisce futuro? Lo chiedo ai cattolici, a chi comprende un linguaggio in cui io non trovo le risposte che cerco.

Non sono in grado di riconoscere il valore innovatore e rivoluzionario del discorso di Morosini e del resto lui lo dice chiaramente che non si fa tentare «da inviti a compiere gesti plateali». Ma eclatanti furono le parole di Giovanni Paolo II in Sicilia. Destarono scandalo le parole di Gesù nel tempio.

Di rotture abbiamo bisogno, non di abbracci; di schiaffi, non di carezze.

Se vogliamo cambiare il corso della storia, non possiamo solo conciliare, mediare. Dobbiamo sì dialogare, capire, ma è necessario porre condizioni, con fermezza. Ribadire che chi non collabora con le istituzioni democratiche non avrà salvezza. Altrimenti diamo ragione ai mafiosi quando dicono che saranno giudicati da Dio, non dagli uomini. E nessuno, a questo, dentro la Chiesa, ha qualcosa di nuovo da aggiungere?

A chi si rivolgeva Morosini, solo a quei fratelli che hanno commesso il sommo tradimento di usare Polsi per sancire il loro potere? E tutto il resto? Tutti gli altri atti blasfemi contro la dignità dell’uomo, dove restano? Fuori dal santuario di Polsi?

Aggiunge Morosini: «Non c’è alcuna cosa che ci lega, cari fratelli che avete scelto la strada dell’illegalità per costruirvi la vita, le vostre ricchezze, il vostro potere, il vostro onore. Lo ripeto, non c’è nulla che possiamo condividere. I nostri cammini non si congiungono a Polsi, se mai si dividono ancora di più, si distanziano maggiormente, anche se in noi credenti rimane la nostalgia di avere anche voi come fratelli di fede, che dinanzi all’immagine della Vergine possano sentire l’invito di Gesù alla conversione. La Chiesa, come madre amorosa, vi allarga le braccia e vi invita alla conversione, dichiarandovi che anche per voi c’è la misericordia benevola di Gesù Cristo, che è morto per tutti sulla croce. La Chiesa è forse l’unica istituzione che crede nella vostra conversione. Nella società generalmente c’è solo la speranza di vedervi in carcere; la Chiesa va oltre, vuole il cambiamento della vostra vita. A noi in questo momento rimane il rammarico e la nostalgia di non poter stare uniti a voi dinanzi all’immagine della Madonna e poter pregare assieme. Noi speriamo sempre che ciò potrà accadere, se voi lo vorrete e deciderete di cambiare indirizzo della vostra vita. Festeggeremo assieme la Madonna della Montagna come la Madonna della Conversione». Morosini continua rivendicando il valore religioso di Polsi, dove l’unico potere che si trasmette è «la forza della fede».

Ho sentito il dolore dell’uomo di Chiesa, in questo discorso. Ma non basta, non può bastare.

Chi uccide e perseguita altri consapevolmente, ripetutamente, per scelta, per ideologia, non può essere nostro fratello: ha tradito l’uomo e il Dio che è in ogni uomo. Può diventare mio fratello solo se si pente, se confessa, se accetta di pagare il suo debito, se vive cercando di ridurre il danno e il dolore che ha provocato ad altri, loro sì, miei fratelli.

Morosini questo non lo dice. Forse lo sottintende? Forse lo ha già detto in altri discorsi?

Non lo so, ma io credo che abbia in fondo sprecato un’occasione: quella di far sentire la sua e la nostra voce, lo sdegno, la condanna, il desiderio di giustizia che pervade i nostri giovani, la nostra terra.

Ha perso l’occasione di far sì che il mondo intero, non solo i cattolici, potesse riconoscersi nel suo dolore, che resta circoscritto alla violazione di una fede che purtroppo non è quella di tutti gli uomini, e non potrà mai esserlo, essendo essi diversi e amando Dio la loro diversità. All’umanità appartiene invece lo sdegno per la violazione dei diritti umani di un popolo intero o di un uomo.

Morosini non abbandonerà Polsi, non vieterà nessuna processione. Anche perché la Chiesa può condizionarle e controllarle solo finché ci sono, finché sono aperte e pubbliche e questo lo fa già anche a Polsi, dove nel corso degli anni ha modificato lo svolgimento stesso della festa; o a Gioiosa, dove cerca di impedire che i neonati nudi vengano offerti a San Rocco al ritmo frenetico dei tamburi pagani. O in altri posti ancora.

Giusto così: la Chiesa supera i millenni perché la tradizione la influenza, non perché la abolisce. Morosini dice: «Non siamo noi che dobbiamo lasciare Polsi (…) sono altri che devono cambiare le ragioni per cui vengono qui». Non dice ai mafiosi “non venite, andate via, abbandonate Polsi”. Sostiene che devono cambiare le ragioni per cui a Polsi ci vanno.

Ma quando questo accadrà, e magari sarà accaduto tante volte, le mafie saranno state sconfitte? O ci acconteremo di aver salvato qualche anima? Il problema vero non è, come sostiene Morosini, che si viva dentro o fuori dal Vangelo. E i mafiosi non sono semplicementente «persone che vivono nell’illegalità». Morosini sa cos’è la ’ndrangheta, cosa sono gli ’ndranghetisti. Perché non li ha mai chiamati con il loro nome?

Francesca Viscone

Leggi anche sul blog: La madonna di Polsi – di Giorgio Mottola

Commenti all'articolo

  • Di Gian Carlo Zanon (---.---.---.103) 20 settembre 2010 13:04
    Gian Carlo Zanon

    Articolo importante perchè svela, per chi ancora vuole credere e né pensare nè vedere, le collisioni criminali che ci sono sempre state tra Chiesa e poteri forti; e la criminalità organizzata è un potere forte inserito perfetamente nella società italiana.

    E se chiedi ragione di queste collisioni essi rispondono "A noi interessa contemplare il volto materno di Maria…". che a quanto pare ha molti figli e come ogni "buona madre" non fa differenza fra un assassino delle n’drine e un giudice o un uomo delle forze dell’ordine onesti che rischiano la vita per difendere quel poco , pochissimo, stato civile che ci è rimasto. Secondo la Santa Madre Chiesa, alias Maria di Nazaret, alias Madonna, siamo tutti figli e fratelli con la stessa dignità umana. E se ci confessiamo torniamo ad essere mondi da ogni peccato ... mi fermo qui perchè mi viene da vomitare.

    Grazie, veramente grazie

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