Casal di Principe, le voci della marcia nella terra dei fuochi e della Camorra
Mentre è iniziata l’operazione sul territorio per trovare riscontro alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia che indicano i luoghi dell’interramento di rifiuti tossici, movimenti e cittadini marciano per chiedere risposte di fronte alle tanti morti di tumore in questa terra devastata, ancora oggi, da un criminale e sistematico sversamento illegale di scarti, quotidianamente dati alle fiamme. Le voci dal corteo, le speranze e le contraddizioni di un’area, terra di conquista e di soggezione al potere camorristico. Gli interrogativi sulla bonifica e gli ostacoli all’emancipazione da parte della gente comune, preparando la mobilitazione dei cattolici per la manifestazione del 4 ottobre a Caivano.
Casal di Principe. "È vero che i veleni vengono dal Nord ma c’è stata la complicità dei locali. La cosa assurda è che pure i loro figli vivono qui". "Ma no che dici! In molti sono andati fuori, stanno a Roma". Parlano di loro, i camorristi, senza mai nominarli. E questo ti fa capire che la strada da percorrere è ancora lunga.
Casal di Principe, sabato 28 settembre, sono le cinque del pomeriggio. Se ne parla da giorni, è un’assemblea importante quella organizzata dal Coordinamento Comitati fuochi: sfilare in massa per le strade del paese simbolo di Gomorra, contro coloro che hanno avvelenato la terra, sotterrato fusti tossici, rifiuti di ogni genere, scarti industriali. Lo scempio del passato che si unisce al disastro di oggi, al criminale sversamento e conseguente incendio di rifiuti, tra cui amianto. Oggi, come allora, negli anni ’80-’90, è qui che avviene la lucrosa operazione dello smaltimento illegale dei rifiuti. Terra dei fuochi, terra di Camorra, terra di gente che muore di cancro. Napoli nord-Caserta sud. Per capire, e porsi degli interrogativi, bisogna solo venirci, guardare e ascoltare.
Ci sono i comitati civici da Succivo, Orta di Atella, Giugliano, Caivano. Da qui viene anche don Maurizio Patriciello, parroco di Parco Verde e simbolo del cattolicesimo militante contro il sacco fatto dalla camorra a questa terra. Ci sono le diocesi. Quella di Aversa, venerdì 4 ottobre, organizzerà un’altra marcia per la vita, da Orta a Caivano.
"Ci accusano di terrorismo psicologico – afferma Salvatore Palermo, attivista del comitato civico DifendAtella di Succivo – e allora, le istituzioni, ci diano i dati scientifici per dimostrare che ci sbagliamo. Denunciamo le anomalie di queste zone e, da tempo, le nostre domande rimangono senza risposte: perché non si istituisce un registro dei tumori? Perché non si procede con un censimento dell’amianto nei diversi comuni? Perché non si analizza l’acqua dei pozzi? Forse si temono i risultati? C’è – aggiunge Palermo – chi accusa don Patriciello di essere un falso missionario, chi sostiene che Marfella non porti dati scientifici. Eppure proprio dal prete è arrivata la richiesta che Confindustria prenda una posizione. Qui sono stati stoccati e smaltiti gli scarti di tante industrie. Ma, finora, solo silenzio".
All’inizio, di fronte allo stadio di Casale, dove di recente sono iniziate delle operazioni di scavo per la ricerca e l’analisi di materiale interrato a seguito di alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia, le persone adunate sembrano al massimo un migliaio. Lo sussurrano tra loro anche alcuni giovani rampanti in cerca di visibilità politica: "Toglici i criaturi, toglici i giornalisti, saranno al massimo un cinquecento". Non abbastanza per farsi vedere in prima fila, impegnati e impettiti, in favore dell’ambiente. Che non c’è più da queste parti. Perché la Camorra, quella guidata dai capi ormai quasi tutti in carcere, se l’è inghiottito. Insieme a un fiume di denaro sparso in infiniti canali. Niente di più facile da immaginare guardando in alto, a quei balconi di case sontuose oppure spingendo lo sguardo dentro i grandi portoni che celano piccole oasi di finta pace. Dietro alle mura drammi di morti da cancro. A cosa poi servirà avere tanto agio dietro ai muri e ai cancelli, quando sul marciapiede di fronte ti aspettano immondizia e carcasse di animali, non si capisce. È tutto molto effimero come la mentalità di chi, da queste parti, convive, collude, corrompe, concorre e, alla fine, delinque. Ma, certo, è facile facile, vivendo qui, venire risucchiati dalla macchina del fango. Fango in ogni senso.
Le voci del corteo parlano e raccontano. "A Lusciano ci sono i bidoni", dice una donna con uno striscione in mano e spiega con orgoglio perché è lì: "Ho condiviso il link su Facebook della frase di Borsellino: chi non ha paura di morire, muore una sola volta". È l’orgoglio che rinasce dalle ceneri ma che ha ancora bisogno di crescere: "Perché non ci stanno pure loro qui? Perché non vogliono che passi questo messaggio sulle nostre terre", dice un uomo. Loro, pronome usato per due categorie di persone. Loro sono i politici o sono i camorristi. In una parola, loro, sono le persone che hanno il potere da queste parti.
"Do-lo-re", scandisce un anziano a voce alta. La rabbia di chi ha vissuto gli anni più bui per la dignità, il periodo della completa soggezione al potere dei boss, si mescola con quella dei più giovani: "Carabinieri qua, carabinieri là, come se stessimo facendo qualcosa di diverso dal passeggiare sulla nostra strada". Bisogna credere alla buona fede di questa gente, prima di dire che questo cavalcare la bonifica dei territori sia funzionale a un nuovo business messo in piedi dagli eredi di coloro che, prima, sono stati gli artefici della devastazione. Bisogna crederci perché la buona fede va tutelata dalle strumentalizzazioni. C’è stato un tempo in cui le persone erano solo marionette manovrate tra una campagna elettorale e l’altra, abituate, educate a non vedere e non sentire. E, soprattutto, a non parlare. Perché, se lo facevi, finivi "sparato". Non tanto per dire, era proprio così.
"Per anni hanno subito. Diamo la colpa a chi oggi ha un’eta. Negli anni ’80 e ’90 ci avrebbero ammazzato. Ebbene, ora, non ci ammazzano più". È un giovane di Casale, si chiama Franco Romano. Lo ricorda lui: "Fui io a mettere il cartello per ringraziare i carabinieri quando arrestarono il figlio di Sandokan, Carmine Schiavone". Lui è uno che trascina. Lo applaudono perché tocca le corde sensibili, gratta la voglia di riscatto dentro l’anima dei timidi. Dice che questa marcia vale la rinascita di un popolo e che se i tanti morti ci stanno guardando da lassù, se mai esista un posto alternativo a questa terra, è quella la vittoria più grande. Dice anche che bisognerebbe prendere tutti i soldi dei delinquenti di Casale per bonificare o che, la gente perbene, dovrebbe non pagarle più le tasse ma destinare il denaro a ripulire il territorio dai veleni. E afferma che sì, è consapevole che il binomio caselesi-camorra è ancora molto forte. È un trascinatore questo giovane casalese. Con la voce forte.
Ma anche le parole appena sussurrate di un’anziana donna con gli occhi chiari, piccoli piccoli, inumiditi dalle lacrime, che si ritrae nel portone dicendo "fate bene, fate bene", lasciano un brivido. Ecco, bisogna credere a questo germoglio che nasce in un corpo stanco. E difenderlo. Bisogna credere alle parole di un paio di agricoltori della zona che camminano fianco a fianco e che spiegano come loro vivano da sempre di agricoltura, coltivando barbabietole da zucchero, pesche, mele e grano. E che, se si capisse dove non è più possibile lavorare la terra perché inquinata, sarebbero pronti a riconvertire mettendo a coltura prodotti non commestibili.
Alla fine, di discorsi, se ne sentono tanti. Che continueranno in tv, sui giornali, sul web. E non fa nulla se di cariche non se ne sono viste. Questo, semmai, significa emanciparsi da una cattiva politica che, se fosse stata presente, avrebbe dovuto ammettere il proprio fallimento, il colpevole lassismo. Ma il distacco dall’emozione che suscita una sfilata di migliaia di persone tra le strade di Casal di Principe induce solo a sperare che, il giorno dopo, non torni tutto come prima. Come sempre. Perché anche se le armi tacciono, non significa che tutto, beffardamente, alle origini del male, scorra. Esattamente come prima.
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