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Carte d’argilla

ART-AI è un progetto storico-artistico collettivo nato in Africa nel 1996. In seguito rielaborato da Giuliano Ravazzini e contestualizzato nel territorio dell’appennino emiliano. Ne scaturisce una mediazione culturale che si traduce in manufatti di carta realizzati con le risorse naturali, fornite dai vegetali e dalle argille. Le opere di ART-AI ripropongono un'operatività africana che usa esclusivamente materiali di recupero. Carta e terra combinati danno vita ad armoniche composizioni dove i colori diventano forme a bassorilievo e le varie cromie rivelano la loro intrinseca bellezza.

Processi creativi e autoconservazione umana

Dal 2019 la pandemia accompagna senza tregua le nostre esistenze, indebolendo la salute e l'equilibrio psicologico, cosicché un grave fardello emotivo difficile da contenere è ormai parte di noi stessi. Questo incredibile, drammatico e distopico evento ha lasciato segni profondi e chiarirà non tanto quello che eravamo ma quello che saremo, o più semplicemente quello che già siamo. 

Incapaci di provare paura vera, poiché concentrati a trovare soluzioni per non provare angoscia, ci troviamo pertanto in una condizione di estrema fragilità emotiva, perché da un lato ci fa recitare la parte di coloro che non cadono vittime del panico e ci fa sentire apparentemente invincibili, ma dall’altro ci preclude la possibilità di un confronto concreto con noi stessi, con i nostri limiti e, reciprocamente, con le nostre risorse.

 

Il privilegio di abbandonarsi alla paura è dunque precluso ai più, serve coraggio e follia per affrontare realmente questo sentimento tenuto a bada fin dall’adolescenza. Per fortuna, ci soccorre un’attitudine umana fatta di genio e abilità, che spesso il senso comune chiama pazzia e la scienza chiama psicosi dell’artista, ossia l’Arte. L’Arte è un impulso soggettivo volto a reiterare le proprie forme divergenti di adattamento alla realtà, per questo verosimilmente l’Arte alleggerisce e asseconda il desiderio di affrontare la paura, il gesto creativo-compulsivo come copione e modalità di vita che si innesta in questo caso sul piano evolutivo della autoconservazione personale e umana.

 

Poiché l’Arte è il coraggio di essere se stessi, in quanto non mente, non è possibile barare quando si crea. L’Arte è anche il coraggio di superare se stessi, perché ogni momento nell’Arte diventa una sfida, un perdere i punti di riferimento della vita comune, un avventurarsi in terre sconosciute.

 

Terre e territori che si sono rivelati chiari e illuminanti nella produzione considerevole che Giuliano Ravazzini, artista emiliano, ha creato durante il lockdown.

 

Nel fare artistico il coraggio si manifesta nelle scelte radicali che l’artista attua, ci accompagna nella sua visione e ci indica la via che inderogabilmente ci riporta alla natura, luoghi silenziosi, paesaggi familiari; così l’artista confessa a se stesso le fragilità dell’esistenza, affrontando lo smarrimento per poterla raccontare. Ricerca radici indagando il territorio nella sua semplice essenza, tenta di cogliere il primario nei segni e nelle tracce, nella luce senza distrazioni con lentezza e sguardi accorti per esaudire desideri e aspirazioni latenti. 

Dunque l’artista si isola e si rivolge alla natura, osserva l’immobile e il sempiterno ciclo del giorno, la lentezza, il paesaggio, i colori e la terra; esplora le qualità espressive della materia, elabora un personale codice creativo, lavora unicamente con le risorse del territorio rideterminando la sua personale grammatica del fare artistico. Il suo laboratorio materico si arricchisce di pigmenti estratti dai calanchi e terre limitrofe, di colle di coniglio e di carte abbandonate. 

 

Nascono così queste composizioni di carte policrome dalle forme imprecise, costruite assemblando strappi, stratificazioni e rilievi scevri da intendimenti progettuali preordinati, seguendo piuttosto impulsi ribelli e spontanei dove la materia pare rifiutare la forma come segno espressivo. L’opera cessa d’essere un’immagine bidimensionale, si anima e si dilata nello spessore fisico delle increspature, delle ondulazioni scabre, dei graffi, delle asperità, lisce, opache e volumetriche, acquisendo un volume scultoreo.

Pittura e scultura, astrazione e improvvisazione, materia, colore e gesto, sono questi gli elementi nodali con cui si sviluppa la pratica artistica di questo progetto denominato Carte d’argilla. 

Il lavoro di Ravazzini possiede una forte inclinazione informale, aniconica che respinge le regole della rappresentazione tradizionale, per esplorare le potenzialità estetiche e polisegniche che s’annidano nella materia del tutto autonoma e significante in sé, che invade lo spazio e ne modifica la percezione.

Il carattere primario della poetica di Ravazzini dev’essere individuato nell’ indefinitezza della forma, che suggerisce visioni e immagini, nella tangibilità multiforme della materia nuda e cruda. 

I grandi tondi a rilievo e gli ampi fogli rettangolari paiono vibrare di un dinamismo pulsante; gli strappi, le sporgenze sovrapposte e le depressioni frastagliano le superfici che mostrano un’azione rozza e rudimentale e, al tempo stesso, ponderata. 

 

Il gesto e il processo creativo sono il momento “cult”, ossia l’atto di ribellione che l’artista manifesta e ci rimanda a ciò che avvenne nei movimenti dell’arte astratta e informale. In questo singolare e notevole progetto non c’è distinzione fra pittura materica e pittura segnica, gli accumuli di materia non paiono sovrastare l’impronta calligrafica pure visibile convivendo in raffinate e ritmiche creazioni.

 

L’isolamento forzato dell’artista ha consentito decisioni radicali introducendo strumenti tecnici e materie prime nell’ottica costante e presente della sublimazione degli scarti, ricercando la carica poetica primordiale nelle polveri e negli accumuli interstiziali.

 

Il suo concetto di rinascita materica attraverso miscele di argille, caolini e pigmenti si estrinseca in superfici dall’aspetto asciutto di terra secca, devitalizzata, priva di acqua ma testimone autorevole di una bellezza primigenia oggi scomparsa. L'artista si pone come un semplice mediatore, indicando agli spettatori dove guardare, come cogliere grazia e magnificenza nei nostri comuni territori. 

 

Infine, subentra l’esperienza e la sensibilità del fruitore, la sua capacità di abbandonarsi alla percezione immaginativa di queste forme volutamente indefinite,

di cogliere le vibrazioni emozionali che solo i colori sanno trasmettere. Si approda a quella straordinaria fase ultima in cui l’opera d’arte incontra il suo fruitore (o viceversa); ne consegue un’intima intesa dove si manifesta un particolare sentire, suscitato non solo dall’apprezzamento ma soprattutto dal riconoscimento, se non identificazione, di pensieri, immagini, visioni che ognuno a suo modo decodifica nel colorato mondo delle carte.

 

Rossana Merli

 

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