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Caro De Bortoli, perché il comma “ammazza-blog” non è una notizia?

Caro Direttore,

come lei di certo sa il 22 luglio scorso l’On. Giulia Bongiorno ha ritenutoinammissibili”, con una decisione controversa anche dal punto di vista formale, gli emendamenti al comma 29 dell’art. 1 del ddl intercettazioni. La norma, tristemente nota come “ammazza-blog”, prevede l’estensione dell’obbligo di rettifica originariamente contenuto dalla disciplina sulla stampa del 1948 a tutti i “siti informatici”. In sostanza se un qualunque blogger non dovesse procedere a rettificare entro 48 ore dalla richiesta dell’interessato – e secondo stringenti criteri grafici, di visibilità e posizionamento – una notizia, non importa se vera o falsa, rischierebbe di incorrere in una sanzione fino a 12500 euro. Senza contare che la vaghezza del dettato non ne esclude affatto l’applicazione ai contenuti pubblicati come commento o su siti come Wikipedia. O ancora, su un profilo Facebook, finendo così per riguardare potenzialmente sedici milioni e mezzo di italiani.

Ora, a prescindere dalla valutazione che si dà del disposto legislativo e dei presupposti che lo informano (ad esempio, che non ci sia alcuna differenza in termini di responsabilità tra giornalismo professionale e diffusione amatoriale di notizie, oppure che le dinamiche della Rete e della carta stampata possano venire assoggettate alle stesse regole) stupisce che il principale quotidiano del Paese non abbia ritenuto tutto questo una notizia. E che non abbia ritenuto degne né di una goccia di inchiostro né di un bit nemmeno le oltre 9000 firme raccolte da esperti della Rete, giornalisti e blogger su Facebook e sul sito Valigiablu.it per denunciare i rischi che l’approvazione di questo comma nella sua attuale stesura comporta per la libertà di espressione sul Web.

Le scrivo dunque per chiederle la ragione di questo silenzio. Se, al contrario del resto della legge, ritiene che questo comma non rappresenti alcun pericolo per la libera circolazione delle idee, non pensa almeno che i suoi lettori avrebbero il diritto di essere informati del suo contenuto, così da potersi fare una loro opinione in materia? Non si tratta di una battaglia “politica”, di un solo schieramento. Tanto è vero che gli emendamenti ritenuti “inammissibili”, e che noi firmatari dell’appello No legge bavaglio alla Rete vorremmo invece fossero riammessi alla discussione in Aula, provenivano non solo dall’opposizione, ma anche dalla stessa maggioranza. L’On. Cassinelli, ad esempio, ha dialogato per settimane con la Rete nel tentativo di pervenire insieme a un testo migliore. Giungendo a una formulazione che aveva trovato l’appoggio perfino del responsabile Internet del PDL Antonio Palmieri, come lei sa gestore di Forzasilvio.it e dunque molto vicino al Premier. Insomma, non solo i soliti dubbi dei “ribelli” finiani.

Comprendo che un quotidiano autorevole come il suo abbia svariati temi altrettanto importanti da trattare, ma siamo proprio sicuri che almeno sul sito non si potesse trovare uno spazio? Del resto, lo si è trovato in questi giorni per le “coatte di Ostia anche in versione Remix” e in passato per le congetture di chi annoverava Facebook tra le “cause” (il virgolettato è della sua redazione) della sifilide. Se queste sono notizie, vorrei sapere perché una legge che ha scatenato un dibattito pubblico sul futuro della libertà di espressione in Rete non lo sia.

Cordialmente,

Fabio Chiusi

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