• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Cultura > Carlo Goldoni e la mediazione: i puntigli domestici

Carlo Goldoni e la mediazione: i puntigli domestici

La commedia dell'arte ha rappresentato molti conflitti interpersonali. Carlo Goldoni (1707-1793) sembra un autore molto esperto delle dinamiche delle liti e della negoziazione; può essere letto perciò per capire meglio cos'è - ma anche come non deve essere svolta - la mediazione stragiudiziale, che è appena rientrata nella vita degli italiani con la L. 98/2013.

Goldoni intreccia tre conflitti nei Puntigli domestici: (a)4

il litigio amoroso dei servi Brighella e Corallina; (b) l’astio perenne tra i nobili cognati Ottavio e Beatrice; (c) gli innamorati Florindo e Rosaura contrastati da Beatrice, da Lelio e dal dottor Balanzoni.

A dispetto della numerosità di personaggi e situazioni, «il vero protagonista dell’intera commedia […] è il puntiglio, degenerazione del punto d’onore che si fa ostinazione incapace di accomodamenti» (Gritti 2008: 14). L’opera può essere considerata un trattato sulle posizioni di principio e sul ruolo giocato da esse nell’esasperare i conflitti dalla dimensione microscopica a quella macroscopica.

I pontigli domestici i xe i più fieri, i più crudeli, che se daga a sto mondo. Per el più i nasse da cause liziere, da principi deboli, da cose de gnente (III, ultima).

I legami familiari coinvolgono bisogni, interessi ed emozioni importanti, che si confondono tra loro a causa di modalità relazionali fortemente inscritte nel nucleo familiare e dalle quali le persone difficilmente riescono a separarsi per analizzare razionalmente i problemi.
I conflitti familiari, quindi, risultano ontologicamente difficili da dirimere e risultano quasi impossibili da risolvere direttamente dall’interno della famiglia.

Goldoni non va per il sottile e fa iniziare la commedia (I, 1) con un conflitto tra i servi Brighella e Corallina: Brighella rifiuta di eseguire un ordine della padrona (Beatrice), riferitogli da Corallina, perché starebbe già svolgendo un compito per il padrone (Ottavio). I servi decidono di risolvere il conflitto di posizioni (se sia più autorevole l’ordine del conte Ottavio o quello della contessa Beatrice) appellandosi a un giudice: ciascuno suggerisce il proprio referente diretto (l’uno il conte, l’altra la contessa), quindi i due (in disaccordo anche su questo) si scambiano denigrazioni e invocano la vendetta.

Le posizioni dei servi vengono estese presto ai padroni. Brighella racconta l’accaduto al conte Ottavio, il quale ribadisce il proprio potere sulla servitù (I, 2). Corallina racconta i fatti alla contessa Beatrice, la quale reagisce come ha fatto il cognato Ottavio (I, 6).
Nel frattempo (I, 5) i pensieri vendicativi hanno assunto connotati di violenza («romper le braccia») e di autolesionismo che Pantalone (solito mediatore improvvisato) tenta di arginare:

- Che cosa importa il conservare la casa? Morto io, morti tutti. La  mia roba so a chi lasciarla. […]
- Xe vero; della so roba la pol far quel che la vol; ma i omeni de giudizio i sacrifica la so volontà alla giustizia e alla convenienza.

Pantalone, appena sembra avere ottenuto il consenso di Ottavio a fargli da paciere, peggiora però la situazione con un semplice commento:

-Caro sior conte, qualche volta bisogna ceder. […]
- Piuttosto morire che cedere.

Il suggerimento di Pantalone scatena l’ira di Ottavio perché egli vede messi in pericolo i propri interessi.

Il secondo grande errore di Pantalone (I, 7-8) consiste nel proporre alla contessa Beatrice una soluzione conciliativa (che Brighella sia spogliato della livrea, che egli chieda scusa e che sia allontanato di casa per un po’) senza la preventiva approvazione da parte del conte Ottavio.

Gli sforzi di Pantalone sono vanificati da Lelio e dal dottor Balanzoni che rivelano alla contessa Beatrice le reali volontà del Conte, accendendo in lei un furioso desiderio di vendetta (I, 10). Sebbene in buona fede, Pantalone inasprisce il conflitto distorcendo le reali intenzioni delle parti.


Per mettere in difficoltà Ottavio, Beatrice, mente e sabota il matrimonio di Florindo con Rosaura.

Un parallelo tentativo di negoziazione, tra Brighella e Corallina (II, 2), si apre con un battibecco (posizioni di principio), quindi prosegue con l’espressione delle emozioni provate da entrambi (collera) e con la proposta di alcune soluzioni impraticabili (Brighella verserebbe il proprio sangue, poi offre una tabacchiera), per chiudersi con l’irruzione di Beatrice che, interrompendo la comunicazione, pone fine al negoziato.
Il tentativo di conciliazione tra i due servi è mediato da un fazzoletto di pregio, argomento utilizzato astutamente da Brighella per catalizzare le emozioni e i moventi che giustificano il loro dialogo, spostando le attenzioni di Corallina dalle posizioni di principio agli interessi materiali, come ella stessa ammette (II, 3).

L’ira del conte Ottavio (scatenata involontariamente da Pantalone in I, 5) diventa autolesionismo quando egli sfonda a calci un quadro di sua madre che Brighella e un garzone stanno portando a Beatrice (II, 5).

La situazione familiare è ormai degenerata in uno scenario di minacce e dispetti e Pantalone fa notare come, al di là di torti e ragioni, tale situazione danneggi l’immagine della casa. Purtroppo ciò non basta a ravvivare il buonsenso e Ottavio continua a sostenere il puntiglio fino «all’ultimo sangue» (II, 6). Infatti, per utilizzare un punto debole in modo costruttivo è necessario analizzarne oggettivamente tutte le conseguenze negative, la probabilità che esse si verifichino e il momento in cui potrebbero verificarsi.

La goccia che fa traboccare il vaso è un atto formale, scritto (diminuzione della comunicazione interpersonale) con cui Beatrice e Lelio intimano a Ottavio di dividere i beni, di compensare la dote di Beatrice e di rendicontare circa la sua amministrazione del patrimonio di famiglia. Egli risponde con altrettanta formalità, precettando Beatrice e Lelio affinché abbandonino il palazzo in virtù della sua primogenitura (II, 13).
Il precetto rivela alla contessa Beatrice un punto debole che sembra farle aprire gli occhi sull’importanza di concentrarsi sugli interessi oggettivi: «Quando trovo le mie convenienze, non ricuso la pace» (II, 18). Il dottor Balanzoni, però, per inseguire il proprio profitto (secondo l’antico adagio: dum pendet, dum rendet), sfruttando lo stato di agitazione e di crisi generale, consiglia a Beatrice e a Lelio di perseguire la via della lite (II, 19).

Di fronte all’autolesionismo di Ottavio, dominato dall’ira («Farò che mia cognata e mio nipote si distruggano in questa lite. Sottoscriverò volentieri la rovina della mia casa, prima che dare ad essi la menoma soddisfazione»), Balanzoni tenta di raddoppiare il proprio guadagno, proponendosi al conte quale mediatore della controversia, con la scusa di evitare che «trovino uno di quelli che fanno eternare le liti, per eternare il gudagno» (III, 2), venendo meno al fondamentale principio di terzietà e di imparzialità.

Dispetti e rappresaglie si susseguono finché Brighella e Corallina non affrontano il conflitto in maniera non-violenta (III, 14): analizzano la fonte del disaccordo, le emozioni che hanno provato, i problemi che hanno vissuto per colpa delle loro emozioni e i risultati che vorrebbero ottenere in futuro. Così Goldoni preannuncia il sistema delineato da Rosenberg (2007) in quattro passaggi (Schönberger 2010: 36):

1. descrivere il comportamento osservato, senza condanne né colpevolizzazioni preliminari;
2. parlare delle emozioni e dei sentimenti suscitati da quel comportamento;
3. indicare esplicitamente il bisogno alla base di questa reazione;
4. formulare una richiesta, spiegando cosa si vuole per soddisfare il bisogno.

In questo modo si possono sfogare le emozioni (soggettive), giustificandole con fatti e comportamenti (oggettivi), senza ferire l’altra persona con accuse o insulti (soggettivi), cioè predisponendo l’altro all’ascolto e all’immedesimazione empatica, necessari per comprendere le esigenze reciproche. Infine, la richiesta o la proposta concreta (punto n. 4) serve a introdurre un ulteriore elemento oggettivo, eventualmente negoziabile, capace di risolvere il conflitto.

Goldoni cala questo sistema di negoziazione in un contesto aggiudicativo, secondo cui il mediatore Pantalone, invece di provare a soddisfare interessi e necessità dei protagonisti, si preoccupa di svelare la verità (cioè le responsabilità dei servi rispetto all’esplosione del conflitto) e di imporre un principio di giustizia: quindi fallisce.

Ne conseguono perdite per tutti (III, 16-18). I servi fuggono per evitare le possibili punizioni, rinunciando così a salvare il proprio posto di lavoro presso una casa conosciuta, affrontando eventuali stenti nel tentativo di trovare una nuova collocazione e rinunciando alla certezza di poter lavorare nella stessa casa per continuare a stare vicini.
La giustizia agognata non è raggiunta perché i servi, fuggendo, non vengono puniti e non ripagano i danni dei quali sono responsabili.
I protagonisti abbandonano la lite, ma non risolvono i problemi emersi nel corso del conflitto, con possibilità che gli stessi si ripropongano in futuro. Beatrice e Lelio continueranno a pensare che Ottavio non amministri efficientemente il patrimonio di famiglia. Se ciò è vero si litigherà nuovamente; invece, se ciò non è vero, senza rendicontazione rimane un malinteso che si presta a nuove liti.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares