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Carceri: da internet alle "stanze dell’amore"

Gli ultimi “rumori” che salgono dal carcere sono in decisa controtendenza rispetto agli orientamenti della pubblica opinione, traumatizzata ogni giorno dalle notizie di cronaca che non ci risparmiano furti, delitti, rapine, corruzione e tutto quanto ci può offrire una criminalità in passamontagna o in camicia bianca. Ma questo è il problema dell’eterna contraddizione che si vive da sempre nelle carceri, oscillanti da sempre sul pendolo dei buonisti o dei giustizialisti.

Nel quadro di nuove sperimentazioni, fa il suo ingresso in carcere la Rete Internet, da sempre bandita per motivi di sicurezza. Il Ministero della Giustizia, infatti, ha ritenuto di incentivare l’utilizzo dei computer da parte dei detenuti non solo per un utilizzo in video scrittura o grafica (come già avveniva fin dagli anni ’90) ma anche per collegarsi alla rete internet per motivi di studio, formazione ed aggiornamento professionale. Non può non cogliersi l’importanza di tale “apertura” anche se l’uso potrà avvenire solo in postazioni situate in locali prestabiliti (ad esempio biblioteche, aule, etc.) con accesso limitato alle White list di siti selezionati ed autorizzati dal ministero.

Fatta strada ad internet, si è ritenuto di poter sfruttare anche l’applicazione Skype per facilitare i colloqui con i familiari, lontani dalla sede detentiva o impossibilitati a viaggiare. I due provvedimenti, già attuativi con la circolare del 2 novembre 2015, consentiranno ai detenuti di “….sperimentare nuove tecniche di apprendimento, studio e formazione…”.

Sotto l’aspetto dell’operatività e della sicurezza penso potranno esserci dei “disservizi” perché non riesco ad immaginare – nelle migliaia di collegamenti con Skype - quale forma di controllo potrà fare la Direzione e il personale di polizia penitenziaria. Se in un carcere con 700, 800, 1000, 2000 detenuti ci sarà un 10% di richieste al giorno, bisognerà controllare 70, 80, 100, 200 video collegamenti intervenendo quando sullo schermo apparirà non solo la moglie e i figli ma anche gli amici, l’amica, il compare, il vicino di casa e, perché no, il “compagno di merenda”, tutte persone che verosimilmente non sarebbero state autorizzate a fare colloquio se si fossero presentate al carcere personalmente. Sono sicuro che Roma avrà valutato tale circostanza e l’avrà superata con precise direttive. Anche se, come sempre, è cosa ben diversa dare disposizioni dal centro ed eseguirle poi concretamente in periferia.

Quello di internet è un problema secondario se si raffronta a quello che bolle in pentola a livello politico. Dopo la lotta al sovraffollamento, risolta anche con provvedimenti deflattivi del carcere e con la sostanziale depenalizzazione di circa 120 reati, è diventato ora centrale il tema dell’affettività in carcere.

Per coltivarla, in tutti i sensi, c’è una proposta di legge (primo firmatario il Sen. Zan, PD, ma la cosa trova l’appoggio anche di parlamentari di altri gruppi) che prevede la possibilità di una visita al mese – tra detenuto e familiari - della durata minima di sei ore e massima di 24 ore all’interno di “locali adibiti e realizzati a tale scopo senza controlli visivi e auditivi”. Stanno per nascere le “stanze dell’affettività” o, secondo altri, “le stanze dell’amore”.

In realtà lo spirito del legislatore è quello di consentire al nucleo familiare del detenuto di vivere ore di socialità domestica con la moglie e i figli, di ricreare il salotto di casa, di vivere tranquillamente anche momenti di intimità. Insomma, colloqui ben diversi dal trambusto di una affollata e tradizionale sala colloquio.

Su questo tema alcuni parlamentari si sono collegati via Skype con i detenuti del carcere di Padova e con i loro familiari, ricevendo spunti positivi per portare avanti la proposta di legge, deducendone (ma ci voleva questo collegamento per saperlo?) che “l’uomo assume atteggiamenti positivi quando vive bene le relazioni sociali”.

In realtà le “stanze dell’affettività” già esistono, in via sperimentale, nel carcere di Milano Bollate, anche se non mi è nota la precisa organizzazione interna di tali spazi. Sono formate da una cucina, un frigorifero, un tavolo con le sedie, un divano con un televisore. Tutto viene seguito a distanza dal personale di custodia tramite microtelecamere. Sono nascoste ma la loro presenza deve essere nota agli occupanti.

A dire il vero, se passasse la legge (altre sono state presentate fin dal 1997 ma sono tutte naufragate) noi non saremmo il primo Paese ad averle ammesse. Questi spazi dell’affettività in carcere, o “stanze dell’amore”, sono già da anni operativi in molte carceri della Russia, Francia, Olanda, Danimarca, Spagna, Svizzera, Svezia, Finlandia, Norvegia, Germania ed Austria. In Spagna, Germania e Svezia ci sono miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a vivere per alcuni giorni con la famiglia.

Al momento non è ben chiaro quale dovrà essere il ruolo del personale di polizia penitenziaria e degli altri operatori nella gestione di questo “servizio”.

D’altra parte se quello dell’affettività e dell’intimità è un diritto che contribuisce a stabilizzare l’equilibrio psico fisico della persona, bisognerà valutare come risolvere il problema per tutti quei detenuti che non hanno legami affettivi all’esterno e che quindi non sono ammessi a usufruire di colloqui.

Al 31 ottobre scorso erano presenti in carcere 52.434 detenuti di cui 17.342 stranieri (es. 2672 rumeni, 2772 marocchini, 2330 albanesi, 1872 tunisini). Si tratta di una popolazione detenuta, molto giovane e spesso senza una famiglia (moglie, amica, amante, fidanzata), che non riesce ad usufruire di benefici ben più importanti, quali ad esempio le misure alternative al carcere. E’ noto che la mancanza di un famiglia, di un luogo di residenza, di un domicilio, di un punto di riferimento esterno, diventa, per la Magistratura di Sorveglianza, motivo di rigetto delle istanze tese ad ottenere tali benefici.

Sarà un bel problema per la Direzione trovare una risposta per quei detenuti stranieri – ma la cosa riguarda anche tanti italiani single o abbandonati dalle famiglie – che presenteranno la “domandina” per essere ammessi, come gli altri, alle “stanze dell’affettività”. Ci sarà un proliferare di “amiche”, “fidanzate”, “amanti”, “conviventi” e tanto tanto lavoro per verificarne l’attendibilità. A meno che non si vogliano ricreare in carcere le condizioni negate all’esterno dal 1957 con l’abolizione della legge Merlin.

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