• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Carcere: primo permesso premio dopo 24 anni di ergastolo. Testimonianza

Carcere: primo permesso premio dopo 24 anni di ergastolo. Testimonianza

Lo scorso 14 marzo Carmelo Musumeci, finora ergastolano ostativo ai benefici penitenziari, è uscito per la prima volta, per nove ore, in permesso premio, dopo 24 anni di detenzione. In carcere ininterrottamente dal 1991, non aveva mai usufruito di nessun beneficio e gli era stato concesso solamente un permesso di necessità di undici ore, nel maggio 2011, per laurearsi in Giurisprudenza a Perugia. Di questo giorno ne aveva descritto ogni fatto ed emozione in un libro: "Undici ore d'amore di un uomo ombra" , di Carmelo Musumeci, con la prefazione di Barbara Alberti- Gabrielli Editori. 
 
Avendo di recente il Tribunale di Sorveglianza accertarto la sua impossibilità ad un'utile collaborazione con la giustizia, dopo decenni da"uomo ombra", egli ha potuto per la prima volta usufruire invece di un permesso premio. Ne ha scritto un racconto, in sette parti; dopo le prime due (qui e qui), oggi ecco anche la terza. 

Questo mese sembra non finire mai, forse perché in carcere il tempo si dilata in un minuto qualsiasi, in un’ora qualsiasi, in un giorno qualsiasi di qualsiasi giorno. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

 Terza parte.  L’attesa è finita

Caro Carmelo credo che il miglior metodo per lottare e sopravvivere lo abbia trovato lei da se, scrivendo bellissime pagine. Seguiti a scrivere, a far conoscere la vita e i sogni, se ci sono ancora, di un ergastolano, far conoscere quanta umanità si può trovare in carcere e quanta cattiveria fuori. (Margherita Hack)

 

I filosofi dicono che le cose belle accadono solo a chi sa aspettare.

E io credo sempre a quello che dicono i pensatori, ma a volte anche loro si sbagliano.

Finalmente mi arriva la risposta che tanto aspettavo. Ed è negativa.

Dopo due anni e mezzo d’attesa anche la magistratura di sorveglianza di Padova mi conferma che uscirò dal carcere solo da morto.

E mi chiedo perché ci hanno messo tutto questo tempo a decidere.

Poi rifletto che i buoni sono proprio strani. Ed io proprio non li capisco.

Probabilmente non li comprendo perché io sono cattivo. Adesso dovrò riprendere l’abitudine di pensare di nuovo da uomo ombra.

E rileggo per l’ennesima volta questa lettera di Tiziana:

 Una sola cosa sento di non potere condividere di ciò che mi scrivi, certamente non per spirito di contraddizione, né tanto meno per smorzare la verità di ciò che sei costretto a subire. È solo che quando parli di speranza e la equipari al “veleno” che avvelena pian pianino la tua vita, io non riesco a condividere con te questa convinzione. Capisco il senso e il motivo per cui parli così: cioè come se la speranza fosse il respiratore che costringe un corpo a restare in vita. Ma io credo che il veleno di cui parli sia la frustrazione della speranza. Allora, mentre la speranza abita la tua anima bellissima e di lei devi fidarti ed esserne fiero, la frustrazione della speranza non proviene da te, né dalla tua responsabilità, né dalle tue scelte. La speranza è la tua stessa vita, i tuoi affetti, quelli per i quali hai il coraggio di rappezzare ancora una volta il cuore rinunciando a gesti decisi nello sconforto, ma del tutto inefficaci. Ti chiedo di continuare a scrivere, di non fermarti nel far sapere, a noi che siamo qui ignari di tante cose, ciò che vivi e vivete. Il dono di scrivere che hai non è di tutti. Parla e racconta non solo per te, ma per tanti.

Tutte le volte che rileggo questa lettera scrollò la testa pensando che per realizzare i sogni bisogna prima sognarli, ma gli uomini ombra non possono sognare.

Possono solo sopravvivere.

Sopravvivere purtroppo non è come vivere.

E non è neppure come morire.

Poi per tutto il giorno il mio cuore mi sussurra di dimenticare il mio passato perché ormai per me tutto è finito.

E mi consiglia di vivere vivo solo le emozioni dei miei figli e dei miei nipotini perché io non ne avrò mai più.

Alla sera telefono alla mia compagna, che mi aspetta inutilmente da ventiquattro anni.

 

E le dico che l’attesa è finita.

Poi negli ultimi secondi di quei miseri dieci minuti di telefonata che ci concedono faccio in tempo a dirle che il suo amore è tutto quello che mi è rimasto di lei.

 Continua.

 

Carmelo Musumeci

www.carmelomusumeci.com

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità