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Carcere in Italia: dalla nobile teoria alla criminale prassi

Non per cercare di fare l'originale a tutti i costi ma mi piacerebbe ricordare che c'è qualcosa che prescinde dalla nostra Costituzione e che da questa è stato recepito ed è l'insieme dei cd Diritti Inviolabili dell'Individuo.

Sono diritti che comunemente si considerano non creati dallo Stato ma esigibili da ogni individuo a prescidere dall'organizzazione politica o amministrativa in cui si trova, a prescindere dalla condizione dell'individuo stesso, a prescindere pure dal suo certificato penale, appunto, penale.

Quanto detto sta nell'art 2 della nostra Costituzione, tra i Principi Fondamentali, cioè sta in ciò che potrebbe considerarsi un preambolo. Ma capita che gli individui violino certe leggi, spesso violando proprio i diritti inviolabili di altri individui, ne scaturisce una responsabilità penale accertata e sanzionata dal nostro sistema giudiziario. 

Nonostante ciò, per fortuna gli individui restano tali e come tali la nostra Costituzione li tratta. Anche l'assassino è un individuo, anche lo stupratore, non penso che la qualifica di individuo possa essere dismessa in qualche modo. Direi di più, secondo me, la Costituzione nell'articolo 27 prendendo in esame proprio questo tipo di individui, quelli che sono stati condannati da un tribunale ad una pena, qualsiasi pena anche quella della detenzione quindi, considera tali individui meritevoli di una maggiore attenzione da parte dello Stato.

Attenzione, non volta solo a detenerli separandoli dal resto della comunità ma soprattutto volta a recuperarli per realizzare una rieducazione. In pratica io penso che la Costituzione Italiana individui nell'esecuzione della pena e negli strumenti per realizzarla un sistema di welfare che dovrebbe erogare un servizio all'individuo stesso non solo alla comunità che dopo la condanna del reo si trova al sicuro, o pensa di trovarvisi, se questo è dentro una cella.

L'esclusione della possibilità che le pene possano essere contrarie al senso di umanità si commenta da sola, la realtà delle nostre carceri è ampiamente contraria perfino al rispetto degli animali. Il numero esorbitante dei suicidi di detenuti è una realtà quasi quotidiana vergognosamente in atto nell'indifferenza delle istituzioni, i 60 suicidi in 10 anni di guardie carcerarie rendono il panorama ancora più grave e stavolta anche serio.

Se sostituissimo gli esseri umani detenuti nelle nostre carceri con animali potremmo immaginare uno scenario, tipo un allevamento di qualsiasi animale, con trattamenti così crudeli che gli animali si lascerebbero morire da soli, e dove coloro che lavorano nell'allevamento, operando in una ambiente intriso di crudeltà e violenza e in condizioni insostenibili, comincerebbero a suicidarsi anche loro. Un allevamento simile lo chiuderebbero subito.

Ma in Italia per gli esseri umani ciò è tollerato. Se passiamo a prendere in considerazione la rieducazione, ebbene c'è da mettersi le mani nei capelli. In un ambiente simile con un sovraffollamento che sfiora a volte il 200% dove si dorme a turno in terra spesso senza materasso, dove il lavoro, attività primaria che avvia ad una prospettiva di recupero, è possibile per un 10% circa dei detenuti, dove la promiscuità livella al peggio ogni rapporto umano. Come lo Stato può migliorare questi esseri umani?

Poi ci sono gli psicologi che hanno l'incarico in pratica di prevedere nel futuro di un detenuto tentativi di suicidi magari con un incontro fugace. Se poi nonostante le previsioni il tentativo viene messo in atto dovrebbero intervenire le guardie carcerarie che operano con un rapporto controllore/controllato spesso di 1 a 100. Insomma mi sembra lo scenario di uno dei tanti servizi pubblici, quello carcerario, che non funziona. In Italia, per motivi ora troppo lunghi da esporre, di solito in altri casi simili c'è una entità che sopperisce e tampona come può con amore e compartecipazione umana alle vicende dell'individuo, questa è la famiglia.

La famiglia, tornando alla questione carceraria, spessissimo però è lontanissima da questi individui reclusi negli italici lager e allora si sposta perché poco viene fatto per agevolare il minimo dei contatti possibli tra individuo detenuto e i suoi affetti, contatti fondamentali che sono il lume flebile di una speranza, anzi a volte assurgono a motivo di vita e prospettiva per una seconda chance. Le famiglie che fanno welfare anche in questo caso, invece dello Stato sono di fatto molto spesso il motore più importante della possibile attività di recupero del detenuto, per questo le si dovrebbe agevolare avvicinando il detenuto alla residenza della familgia.

No, ciò non accade e anzi accade altro. Accade che i familiari si facciano dei viaggi lungo l'Italia, che siano spesso appartenenti a classi sociali economicamente disagiate che non viaggiano in business class, che debbano mettersi in fila davanti alle carceri per ore ed ore, poi una volta entrati spesso accade che debbano sostenere delle amenità tipo perquisizioni corporali. Dopo tutta questa trafila deprimente, meglio mortificante, nonché massacrante per chiunque, i familiari si disegnano in viso un sorriso, tirano fuori il tesoretto di speranza e l'incoraggiante buonumore che si sono portati da casa, ben avvolto da fagotti colorati, e vanno ad incontrare i loro cari.

I cari, a loro volta, i detenuti, non è che non siano al corrente di tutta questa trafila, sanno tutto e allora al momento dell'incontro accade che non si capisce più chi è colui che cerca di far coraggio all'altro. Poi ci sono quelli che in Italia non esistono, magari vi sono approdati dopo un naufragio in mare e automaticamente divenuti criminali grazie alla Legge Bossi-Fini, quelli che non hanno una famiglia nei pressi, sono i molti detenuti stranieri che hanno famiglie a migliaia di km di distanza, famiglie che spesso non sanno nulla di loro, che spesso vengono informate con molto tempo di ritardo se i loro cari detenuti muoino, o vengono morti, in carcere.

Se i detenuti italiani senza famiglia non hanno nessuno che li pensa e li aiuta, questi, i detenuti stranieri se possibile ancora meno. Per tutti i detenuti, noti, meno noti o ignoti, nelle feste comandate i fine d'anno e i giorni comuni l'unico contatto con le istituzioni sono le visite nelle carceri dei tanti radicali e dei pochi che li seguono. Insomma questo è il quadretto d'insieme che mi sono fatto in merito alla questione carceraria seguendo le lotte radicali da sempre, un quadro di palese tortura propria di un criminale professionale, lo Stato, come dice Marco Pannella.

Per uscire da questa situazione il prima possibile, che comunque sarebbe sempre tardi, c'è solo un modo: l'amnistia. Un rimedio previsto dalla Costituzione, quindi nulla di eccezionale; un rimedio già pesso utilizzato negli anni lontani, ma neanche tanto, un rimedio che esigerebbe per essere realizzato solo l'anteporre i Diritti inviolabili dell'inidviduo, da cui sono partito, a qualsiasi altra esigenza-pretesa punitiva, "rieducativa" o meglio" devastativa" dello Stato.

A tutti coloro che sono contrari e si sentono al sicuro con i delinquenti in queste cerceri-lager mi piacerebbe chiedere non uno sforzo di immedesimazione, inutile, ma piuttosto se veramente pensano che da lì questi esseri umani potranno uscire migliori. Dormano sonni tranquilli, cullati dalla loro indifferenza vestita di pelosa "certezza della pena", dormano pure finché qualcuno non busserà alla loro porta.

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