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Calabria: spesa sanitaria tra sprechi e razionalizzazione

Una volta c’erano gli sprechi, d’accordo, ma ora la sanità calabrese non può ridursi a un mercato delle vacche. 

Dalla mitica siringa che costa un euro agli ospedali lombardi e cento a quelli calabresi, si è passati alla scelta di mangiarsi la minestra o buttarsi dalla finestra. Perché in Calabria, di ogni presidio ospedaliero, di ogni struttura sanitaria territoriale, come se fossimo nella realtà di Highlander, alla fine dovrà rimanerne soltanto una, sia pure d’eccellenza e quantunque elefantiaca.

Ma è chiaro che, alla fine, al comparto sanitario calabrese mancherà uno di tutto. Perché le regioni in passato quel comparto non lo hanno gestito bene, lo hanno trasformato in centro di potere se non in bancomat. Ciò è sicuramente vero, per cui in talune regioni si è reso necessario il commissariamento del settore che era saldamente in mano ai governatori, alla politica e quindi a potentissimi assessori. A voler discutere di ospedali, servizi sanitari e strutture complesse in Calabria, è abbastanza complesso almeno quanto non riuscire a evitare la ridondanza dei termini. Però non si può fare a meno di focalizzare l’attenzione su quanto il plenipotenziario della Sanità in Calabria intende attuare in materia di centrali operative del 118, ovvero di quello che un tempo era meglio conosciuto come SUEM e che a Crotone fu istituito (primo in Calabria) il 5 dicembre del 1995 all’epoca in cui la Asl crotonese era gestita dal compianto avvocato Dionigi Caiazza.

Proprio nei giorni scorsi la direzione della Asl crotonese ha chiesto il potenziamento del pronto soccorso locale, ma in ragione ed in funzione della Crotone che naviga a vela e della Crotone che gioca a calcio in serie A. Posta in questo modo l’istanza rischia di lasciare il tempo che trova, poiché appare legata a fattori contingenti e del tutto occasionali, ma forse, sulle ali dell’entusiasmo per i menzionati avvenimenti, si è comunicato malissimo in merito a un necessità, se non a una diffusa emergenza quotidiana quale quella di potenziare il pronto soccorso del nosocomio crotonese.

Intanto perché il pronto soccorso di Crotone sorge in una zona interessata da massicci flussi migratori e lo sarà ancora di più adesso che le vie d’esodo attraverso i Balcani sono state precluse ancorché blindate. Perché potenziare non significa soltanto allargare gli ambienti fisici dove si praticano le emergenze e le urgenze per un bacino di utenza di oltre 200 mila unità. L’operazione comporta un significativo investimento sul piano della dotazione organica e strutturale.

Tradotto significa avere più medici, tecnici e paramedici in servizio, potenziamento dei mezzi diagnostici, implemento dei protocolli previsti nei trattamenti di urgenza ed emergenza che vanno dalla diagnostica di laboratorio sino alle consulenze specialistiche mediche di reparto. Va da se poi che andrebbe ampliato il numero di sale operative e quello dei punti di prima degenza e osservazione quali le astanterie. Un pronto soccorso è dunque la linea del fronte della sanità e, come dovrebbe essere facile immaginare, nessuno prova piacere a recarsi al fronte se ti ha punto una zanzara e se hai mal di pancia dopo aver ingoiato un mezzo vitello durante i pasti. Non siamo dinanzi a uno spreco allorché un avamposto medico resta aperto “H24” ed è frequentato da persone in fin di vita e da altri che hanno confuso un dolore intercostale con un infarto e che non hanno alcun modo di distinguere uno dall’altro. Ma se l’assistenza deve essere garantita sulle 24 ore ogni giorno dell’anno a chiunque ne abbia bisogno, è vero anche che i relativi costi della medicina d’urgenza ed emergenza sono sostenuti esclusivamente dalla sanità pubblica.

Da qualunque angolazione si guardi il problema, sono soldi ben spesi; l’ipotesi di spreco nello specifico settore è una realtà vista alla rovescia. Sicché il governatore plenipotenziario della Sanità calabrese, allorquando da Crotone giunge la richiesta di potenziare il pronto soccorso locale (l’unico esistente da San Giovanni in Fiore sino a Catanzaro) mette mano a una ipotesi di razionalizzazione delle centrali operative del 118 che prevede l’accorpamento di quelle di Crotone e Vibo con Catanzaro.

Entro dicembre del 2017 la centrale del 118 crotonese sarà sostituita da una centrale unica di riferimento, ovvero, chiamando il 118 risponderanno operatori da Catanzaro e saranno loro a vagliare la reale necessità di intervento. Per la verità sarà diverso pure il numero telefonico per chiamare il servizio e si dovrà comporre il numero 116117; risponderà il Curap di Catanzaro. Il fine di tutto questo è evitare il sovraffollamento dei presidi d’emergenza e il ricorso improprio alle cure del pronto soccorso. Nella ratio del progetto è previsto che il Curap sappia indirizzare l’utenza, in ragione delle necessità descritte all’operatore, verso strutture e specialisti alternativi a quelli ospedalieri:medici di famiglia, ambulatori convenzionati e quanto altro rientra nella giurisdizione della sanità pubblica.

Nulla è detto sulla tempistica correlata a tale modello di razionalizzazione delle centrali operative del 118; tantomeno sull’efficacia di questa rivoluzione copernicana in fatto di medicina d’urgenza ed emergenza. Si ipotizzano dei risparmi, questo appare certo a coloro che hanno redatto il progetto, fatto salvo l’uragano dei ricorsi che potranno abbattersi sul sistema sanitario pubblico qualora un banale dolore al petto accusato da un paziente indirizzato in luogo diverso che non sia un pronto soccorso dovesse rivelarsi qualcosa in più di un dolorino intercostale. Un giorno un asino fu messo davanti a due secchi colmi l’uno di avena e l’altro di acqua e quello,avendo bisogno e desiderio di entrambe le cose, non seppe decidere cosa scegliere e quindi morì di fame e di sete. Tra medico e mammana il bambino nacque da solo, ed è una storia a lieto fine, ma tra sprechi e bisogno di razionalizzazione della spesa sanitaria, più di qualcuno rischia sempre di più di lasciarci la pelle.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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