Crisi energetica: un sistema integrato per risolverla
Nessuno lo avrebbe mai detto. Che sia stato l’”ambientalismo del no” ad aver fatto la fortuna delle lobby petrolifere e dei combustibili fossili, ha sconvolto anche me. Fare finta che non esista un problema energetico nel mondo ha comportato una pesante situazione di stagnazione, che affligge il nostro paese da 40 anni. Avere a cuore l’ambiente e credere nello sviluppo sostenibile secondo l’ing. Di Maio, docente di ingegneria nucleare dell’Università di Palermo, è possibile. Non si può vivere di ideologie, chiudendo gli occhi senza alcun ragionamento scientifico.
Il nucleare è la soluzione?
Non avrebbe senso dire che il nucleare è la soluzione al problema, ma di certo una delle soluzioni da adottare nell’ottica di un approccio integrato al problema. La domanda di energia è sostanzialmente multiforme, tripartita tra usi domestici, industriali e del settore trasporti. Le fonti rinnovabili sono ottime per la prima categoria, ma non convenienti dal punto di vista economico. Non se ne parlerebbe se non esistesse un piano nazionale di incentivi: nel 2007, il Conto Energia (l’insieme di aiuti per chi costruisce impianti che sfruttano le fonti rinnovabili) è costato all’Italia circa 6,4 miliardi di euro. Di questi, circa 3,7 li hanno messi i cittadini italiani pagando nella tradizionale bolletta la voce “oneri di sistema”.
Sulle rinnovabili, ancora tanta strada da fare?
Si, peraltro le rinnovabili non possono concretamente sostenere la richiesta industriale: non si può costruire un’industria se non si ha la certezza che istante per istante la potenza elettrica richiesta venga erogata. In più poiché non si tratta di fonti costantemente presenti, hanno necessità di impianti convenzionali al loro fianco.
Si parla dell’utilizzo dell’idrogeno...
Questa prospettiva è futuribile. L’idrogeno è un vettore energetico, cioè uno strumento per l’immagazzinamento dell’energia, che non si trova isolato in natura. Una buona risposta alle richieste energetiche del settore dei trasporti. Ma l’idrogeno si produce impiegando molta più energia di quella che esso possa immagazzinare mediante impianti ad hoc per cui la sua produzione implica un ulteriore addebito alle richieste energetiche dell’”utenza industriale”.
Quindi, circa 4 miliardi li spendiamo noi contribuenti con il Conto Energia.
Quanto costa una centrale nucleare?
Circa 3/4 miliardi di euro. Basta meno della somma che già versiamo per avere in un anno i finanziamenti per una centrale nucleare. In più è estremamente competitiva dal punto di vista economico: il guadagno sui costi rispetto alla fonte termoelettrica convenzionale lo si potrebbe utilizzare per investire proprio sul piano di incentivazione per le rinnovabili.
I dati del Dipartimento dell’energia degli USA parlano di costi elevati per i contribuenti: circa 77 dollari per Megawattora nel 2030.
Queste stime sono fortemente dipendenti dalle ipotesi di lavoro e dalle assunzioni fatte. Ad esempio, bisogna capire che rendimento d’impianto hanno assunto. Nel confronto con fonti come il gas o il carbone, sicuramente non saranno stati inseriti i relativi costi della Carbon Tax, e sarà stato applicato un tasso di interesse eccessivamente conservativo (10-15%) per l’ammortizzazione in più anni dei costi di costruzione dell’impianto nucleare.
Scegliere adesso il nucleare, guardando al protocollo di Kyoto e alle istanze europee del 20-20-20, è la strada più giusta per abbattere la produzione di gas serra?
L’energia nucleare risponde pienamente alla domanda: produce elevata potenza, ha un’elevata disponibilità, installabile quasi dovunque, più democratica dell’attuale produzione per fonti fossili e praticamente non emette gas serra.
Diversi studi dicono che l’uranio finirà tra 35-50 anni. È davvero così?
Ponendo 130 $ al chilogrammo come costo accettabile per l’estrazione, abbiamo la possibilità di estrarre ancora circa 4,7 milioni di tonnellate, ossia riserve almeno per altri 70 anni. Se invece consideriamo un costo di estrazione leggermente superiore, tra i 130 e i 150 $, avremmo un’autonomia di circa 220 anni. Orizzonti ancora più prosperi se si passasse ad impianti a ciclo chiuso, cioè utilizzando il combustile irradiato, o a rettori veloci.
Perché non aspettare il nucleare di quarta generazione? Tutti parlano del 2030 come data di arriva e pertanto come sigillo di garanzia della futura totale sicurezza del nucleare.
Il nucleare di quarta generazione rappresenta una linea di ricerca. Non ha senso parlarne adesso e dal punto di vista scientifico non esiste l’impianto sicuro in assoluto. Si sono avute col tempo sostanziali variazioni progettuali per garantire maggiore sicurezza: ad esempio, qualora la temperatura del reattore salisse, spontaneamente le reazioni di fissione tenderebbero ad eseurirsi. Per gli impianti di III generazione, vi è una probabilità che ci sia una fusione del core in un caso ogni circa 10 milioni di anni di attività. E in quel caso esso è progettato per resistere, con una struttura tale che gli permette di evitare rilasci nell’ambiente circostante.
Parliamo della questione scorie. In Italia sono ancora da collocare le tonnellate di rifiuti derivanti dalla precedente era nucleare, che nel 2003 stavano per essere occultati in Basilicata.
Parlare di occultamento delle scorie in Basilicata è un esempio dell’ambientalismo del no. Uno Stato deve avere un suo deposito.
Quello era stato attentamente studiato?
Quel deposito ancora non c’era. Si era soltanto valutato positivamente il sito di Scanzano. Stiamo parlando di una struttura che sarebbe stata tra gli 800 e i 1200 metri di profondità e che quindi non avrebbe potuto avere conseguenze sulla vita in superficie.
Negli USA però, il consigliere per l’energia di Obama, Jeremy Rifkin, parla già di pericolose contaminazioni in atto nel deposito delle montagne Yucca. Dovevano garantire 10 mila anni di totale isolamento.
Non sono a conoscenza di ciò, personalmente non ci credo. Quale fonte ha citato? Per fare affermazioni del genere, il rigore scientifico impone la citazione delle fonti di riferimento.
Molti paesi al nucleare sembrano non crederci più.
Dal 1986 ad oggi la potenza nucleare installata è aumentata del 48% passando da 250 a 372 Gigawatt. Chi parla di declino del nucleare fa cattiva informazione: gli Stati Uniti dispongono di 104 reattori, nati intorno agli anni settanta. 52 di questi impianti hanno avuto un’estensione di vita da 30 a 60 anni. I restanti 52 reattori stanno subendo la stessa fortunata sorte. A dimostrazione della cura con cui fossero stati progettati. Con questa operazione, gli USA non hanno avuto la necessità di costruire impianti nuovi.
Nucleare in Sicilia?
Un impianto nucleare in Sicilia non è un’esigenza attuale. Oltre a problemi di natura geologica e sismica, ciò che ci induce alla sua costruzione sarebbe la richiesta energetica: qui facciamo più energia di quanta ne assorbiamo, allora perché produrre proprio qui? Tenuto conto che, poiché la domanda arriva dai poli industriali del centro-nord, il trasporto dell’energia coinciderà con la perdita di una parte di essa. Questo è quanto ci impone un approccio scientifico al problema, ciò che manca agli ambientalisti del no.
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