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C’è rischio che i talebani tradiscano Doha?

Mentre i talebani attendono la deadline del 31 agosto per la fine dell'occupazione degli stranieri sul suolo afghano per formare un nuovo governo, ci si interroga se la fuga degli occidentali sarà apripista per la jihad globale. Ecco alcuni gruppi che potrebbero creare nuovi disordini.

La quasi completa presa di potere dei talebani in Afghanistan a poco meno di 20 anni dall’operazione Enduring Freedom, quella voluta dagli statunitensi a seguito degli attacchi terroristici del 20 settembre 2001, apre uno scenario su quale sarà il futuro per il popolo afghano. Oggi la situazione in Afghanistan appare più frastagliata e pericolosa di quanto non venga narrato, con gruppi, tra cui Isisk, come nel caso dei recenti attentati vicino all’aeroporto di Kabul di giovedì 26 agosto. Nei giorni passati le cronache sono state ricche di aneddoti di paure e fuga dal passato oscurantista talebano, memore della precedente occupazione, durata dal 1994 al 1996, e dai cinque anni di governo successivi (1996-2001) quando fu istituito il regime totalitario su tre quarti del territorio e furono commessi massacri e repressioni contro il popolo, soprattutto verso le donne.

A primo acchito, però, la prima differenza che salta agli occhi rispetto ai due periodi è senza dubbio il diverso rapporto tra i leader talebani e gli Stati Uniti, che possiamo considerare ai limiti della complicità su alcuni punti. Se l’amministrazione americana guidata da Donald Trump prima, e dal suo successore Joe Biden poi, rispettivamente 45esimo e 46esimo presidente della storia americana, hanno di fatto legittimato quelli che sono gli eredi dei carnefici che hanno protetto Al Qaeda, osteggiata apertamente da George W. Bush prima e Barack Obama poi, oggi gli accordi stipulati a Doha dal tycoon newyorkese, e poi attuati dal suo successore, sembrano di fatto legittimare gli ex studenti coranici. Per molti esperti questa decisione da parte di Washington è stata dettata più da esigenze di politica interna che di politica estera. Vent’anni di guerra hanno avuto un costo enorme: circa 2.26 trilioni di dollari secondo le stime di “Fortune”. E’ chiaro, ed è questo il punto su cui si soffermano le critiche internazionali, che seppur in una versione più moderata ed erudita, soprattutto nei suoi membri al vertice, i talebani di oggi rimangono ampiamente ancorati ai valori della sharia, e a una visione di una società senza molte libertà: come quella di sentire la musica, fare sport, o a una vita sociale più o meno segregata per le donne, alle quali sarà di nuovo impedito di studiare. Un modello di società, quindi, ampiamente repressivo, molto diverso da quanto si sospirato agli albori dall’amministrazione Bush jr.

Su un punto però, che appare talaltro abbastanza vago da quello che emerge dagli accordi di Doha, è che oggi, a differenza di vent’anni fa, i talebani sembrerebbero più inclini a ostacolare la jihad globale, ossia gli attentati verso Occidente, a differenza di quanto avvenuto in passato con Al Qaeda, una delle più temute organizzazioni criminali del pianeta.

Un particolare non poco tralasciato nella narrazione della caduta di Kabul e delle altre province afghane, è stato il fatto che i talebani non sono stati coinvolti direttamente in nessun attentato terroristico internazionale, motivo per cui i talebani, tranne qualche membro, non sono designati come un’organizzazione terroristica straniera da parte degli Stati Uniti.

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Mappa di gruppi e fazioni terroristiche che frastagliano l’Afghanistan

Il quesito che preoccupa è però se queste promesse possano essere durature e se in futuro possano dare spazio (o un rifugio sicuro) a fazioni legate alla jihad globale, più che all’interesse di un Afghanistan libero dall’invasione straniera come essi oggi professano. Secondo alcune indiscrezioni, almeno istituzionalmente, questa ipotesi dovrebbe essere esclusa nella prossima formazione del nuovo governo di Kabul, che sarà ideologicamente inclusivo verso le altre fazioni, ma sarà anche esclusivo per quanto riguarda possibili coalizioni: posti destinati solo alle correnti talebane, quindi. Tra i membri che ne faranno parte: il sanguinario leader mullah Haibatullah Akhundzada, in passato capo del sistema dei tribunali talebani, Abdul Ghani Baradar, uno dei vice di Akhundzada, nonché capo della fazione politica dei talebani Muhammad Yaqub, il figlio maggiore del Mullah Omar e Sirajuddin Haqqani, leader della rete degli Haqqani che si è reso responsabile di attacchi e attentati interni, anche a Kabul, negli ultimi anni.

dubbi che essi possano aprire nuovamente alle cellule del terrore internazionale non sono privi di fondamento. Nel 2020, infatti, nel corso dei negoziati a Doha, i talebani hanno regolarmente consultato Al Qaeda e nel 2019 si è tenuto anche un incontro bilaterale tra i vertici talebani e di al Zawahiri per rassicurare i qaedisti sul mantenimento dei rapporti, che negli anni sono stati rafforzati anche da matrimoni tribali. Occorre considerare che i Talebani di oggi sono una coalizione eterogenea di fazioni e clan, in cui potrebbe prevalere una componente più moderata, disposta a tagliare i rapporti pur di ottenere il riconoscimento della comunità internazionale. Ma non tutti sono pronti a scommetterci.

Tra le correnti più vicine al clan di al Zawahirc’è la corrente degli Haqqani, una rete islamista pashtun, l’etnia prevalente nel paese, che opera nell’est dell’Afghanistan e nel nord ovest del Pakistan, che è stata fondata da un ex comandante antisovietico, Jalaluddin Haqqani, morto per cause naturali nel 2018. Il leader principale della rete è oggi suo figlio, Sirajuddin Haqqani, tra le fila dei talebani dal 2015. La rete degli Haqqani fa parte della shura di Peshawar, uno dei due maggiori centri di potere del movimento talebano insieme alla shura di Quetta. Il raggio di azione va principalmente nella cosiddetta Grande Patkia, nel sud est del paese, il quartier generale è però sul lato pachistano della Durand Line, il confine tra il Pakistan e Afghanistan negoziato da Sir Mortimer Durand nel 1893. Bisogna sottolineare inoltre che gli Haqqani sono stati responsabili di alcuni degli attacchi più sanguinosi compiuti in Afghanistan contro le truppe straniere e il governo locale. Khalil Haqqani, nipote di Jalaluddin, feroce comandante, è stato inserito nella black list delle nazioni unite e ha una taglia di 5 milioni di dollari.

Gli altri gruppi che frastagliano le province dell’Afghanistan sono essenzialmente tre: Al Qaeda, Al Qaeda in Subcontinent (AQIS) e Isisk.

Al Qaeda (AQ) e il suo leader Ayman al Zawahiri è, come detto, tuttora presente sul territorio afghano, anche se un report delle Nazioni Unite lo dà in sofferenza. Le cellule sono presenti in varie province frontaliere dell’Afghanistan, soprattutto nel nord est, lungo il confine con il Pakistan, Tajikistan e Turkmenistan, attorno a Kabul, e nel sud a Zabul, Uruzgan e Ghazni e conta circa 500 affiliati. Un report delle Nazioni Unite ha sancito che la presenza in quello che fu regno del principe del terrore Osama Bin Laden, ucciso nel maggio 2011, resti oggi una “limitata minaccia” in quanto sono focalizzati soprattutto “nella sopravvivenza”. Ma questa debolezza potrebbe cambiare velocemente, secondo molti esperti. Altre fonti dell’intelligence statunitense, forse addirittura troppo ottimistiche, hanno infatti previsto che in un range di tempo che va dai 18 mesi e i due anni dal ritiro delle truppe americane, Al Qaeda potrebbe tornare a ricostruire la sua leadership.

Un’altra sigla molto vicina ad Al Qaeda è Al Qaeda in the Indian Subcontinent (AQIS). AQIS è nata nel 2014 a conclusione del raggruppamento durato due anni di varie fazione jiahdiste promosso dallo stesso Ayman al Zawahiri, fatto che la rende di fatto una costola di Al Qaeda. Il primo leader è stato l’indiano Asim Umar, un ex comandante del Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) giudicato un terrorista globale, morto a Helmand nel settembre 2019 in un’azione coordinata tra le forze afghane e statunitensi. Questa branca, inserita nella rete dei terroristi americani nel 2016 visti anche i strettissimi legami con Al Qaeda, ha un raggio d’azione che va dall’Afghanistan, il Pakistan, il Bangladesh e l’India, Paesi in cui ha commesso numerosi attentati. AQIS e ha come suo principale obiettivo quello di consolidare la presenza di Al Qaeda in questi paesi, tessendo una rete di alleanze con le principali cellule terroristiche dei territori. Non ha particolari mire espansionistiche fuori dalla regione asiatica, e ha come base principale il sud del paese, nelle regioni del Nimruz, Helmand e Kandahar. Il suo leader è oggi Osama Mahmood.

Isisk, il terzo gruppo, assai rivale di Al Qaeda, è un gruppo che si è formato nel 2014 dalla spinta espansionistica dell’Isis verso l’Asia centrale. Come altri è formato da combattenti separatisti che si oppone ad ogni trattato di pace e di conciliazione e all’alleanza con gli Stati Uniti, che a differenza dell’Isis non ha particolare interesse alla jihad globale, ma piuttosto quello di essere egemone in Afghanistan, per questo, nonostante esser nato da una costola degli studenti coranici pakistani (i TTP), oggi ne è uno dei più cruenti avversari. Il primo emiro è stato Hafiz Saaed Khan, morto nel 2015, che giurò fedeltà ad Aby Bakr al Baghdadi, allora leader dell’Isis, anche lui interessato ad imporre la dura legge della sharia. Rispetto ai talebani, però sono considerati ancora più settari e rigidi. Tra le sue fila ex prigionieri, alcuni liberati anche recentemente, come ha confermato anche il presidente Joe Biden nel suo discorso a margine dell’attentato all’aeroporto di Kabul, ma soprattutto tutti quei combattenti che sono usciti sconfitti e che quindi oggi sono in difficoltà nelle cellule islamiche in patria. Successivamente Isisk ha iniziato ad attrarre anche i fuoriusciti dei talebani. Ma non solo. Parliamo di combattenti cinesi, azeri, indiani, turchi, uzbeki, o chi si è trovato senza padrone o lavoro in Cecenia o nelle Maldive. Tutti cani sciolti che si sono radunati nella terra di nessuno afgana, inizialmente nella provincia di Nangharar. Isisk è oggi presente lungo il confine del Pakistan, poco nella provincia del Kunar e secondo stime approssimative delle Nazioni Unite conta appena 2500 unità, radunate attorno a Shahab al Muhajir. Nonostante il numero ridotto, però, sono capaci di creare disordine e soprattutto attrarre le nuove leve. Secondo un report del CRS (Congressional Research Service) “alcuni hanno messo in giro speculazione per cui se i talebani scenderanno a compromessi su alcuni temi, alcuni potrebbero fuoriuscire” ed entrare ancora tra le fila di Isisk.

 

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