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Budapest in piazza per dire no alle leggi dell’ultranazionalista Viktor Orban

La manifestazione si è tenuta domenica in concomitanza con la partecipazione del Premier Orban all’Eurogruppo ed ha visto la partecipazione di almeno settantamila persone 

Non c’erano solamente i progressisti, senza peraltro bandiere di partito, Domenica scorsa in piazza a Budapest nella marcia degli Indignati magiari contro il loro governo guidato dal nazionalista Viktor Orban e le leggi da questo promulgate tra cui quella arcinota, e duramente contestata dall’Unione europea, che nelle intenzioni del partito di governo, il Fidesz, dovrebbe mettere il silenziatore alla stampa non allineata con le posizioni dell’Esecutivo.

Si può, anzi, affermare con certezza che il nerbo dei manifestanti era costituito da quella borghesia liberale di origine mitteleuropea che, dopo la caduta del muro di Berlino, aveva rialzato la testa e si era riproposta sulla scena magiara come espressione di un nuovo ceto medio, spina dorsale delle economie e delle società delle Nazioni libere. Dopo la tragedia comunista l’Ungheria era riuscita in breve a risollevarsi tanto da far dire agli osservatori occidentali che essa, insieme alla Polonia, sarebbe stata la Nazione dell’ex Patto di Varsavia che prima di ogni altra si sarebbe avvicinata agli standard di benessere della vecchia Europa a quindici. Improvvisamente, meno di un lustro fa, anche a causa della cattiva prova che di sé dette il vecchio e corrotto governo a guida socialista, invece l’Ungheria si fermò, entrò in una gravissima recessione che vide una tremenda svalutazione della moneta nazionale e disperatamente si affidò alle cure del nazionalista Vicktor Orban che con il suo partito, il Fidesz, stravinse le elezioni con una maggioranza tale da permettergli di cambiare la Costituzione in senso nazionalista ed autoritario.

Le molte persone di ideologia liberale che soprattutto popolano la Capitale dove vive quasi il 23% degli ungheresi si sentirono tradite dalle tante leggi adottate dal nuovo Parlamento che, di fatto, riducono l’appetibilità del mercato ungherese tra gli investitori internazionali. In pratica Orban sta cercando di chiudere il paese magiaro in una nuova Cortina di Ferro e di governarlo in maniera autoritaria. Rivendica pure per l’Ungheria il diritto di partecipare alle decisioni delle Nazioni confinanti riguardanti le terre slovacche di confine, giacché abitate da connazionali, o la Transilvania, in magiaro Erdely, persa all’indomani della Prima guerra mondiale con il Trattato del Trianon. L’attuale governo di Budapest rivolge poi un’attenzione di stampo vagamente razzista alla grande minoranza etnica costituita dai Rom, i quali non possono frequentare le scuole normali, che considera avulsa dalla cultura magiara e consiglia loro di tornare nelle terre da cui provengono cioè, manco a dirlo, la Slovacchia e la Romania. I giudici ungheresi, poi, ultimamente hanno perduto la propria indipendenza poiché Orban ha abolito pure il Consiglio Superiore della Magistratura ed ha previsto che tutti i magistrati del Paese debbano essere di nomina governativa ridiucendo così, di fatto, il principio democratico della tripartizione dei poteri.

La nuova normativa, introdotta sempre dal governo Orban, in materia fiscale sarà però, a conti fatti, la misura che più contribuirà all’isolamento internazionale dell’Ungheria ed alla sua pericolosissima recessione economica. Sono infatti previste aliquote di tassazione draconiana contro il grande capitale internazionale cioè contro gli investitori stranieri. E’stato così che proprio i figli di quella borghesia mitteleuropea, cosmopolita e liberale che da sempre popola l’incantevole Budapest ha deciso di dire basta e di scendere in piazza come fecero, in circostanze obbiettivamente e incommensurabilmente più drammatiche i loro nonni nel 1956 quando intendevano gridare un no alla colonizzazione, prima ideologica e poi economica,da parte dell’Unione Sovietica che trattava le Nazioni “sorelle” allo stesso modo in cui la Gran Bretagna vittoriana sfruttava le colonie africane.

La protesta degli Indignati magiari non ha visto l’appoggio ufficiale di alcun partito d’opposizione ma si è diffusa con messaggi affidati ai network informatici. Il governo inutilmente ha cercato di renderla invisibile al mondo e di dare meno informazioni possibili al riguardo. Molti dei partecipanti hanno dato vita ad un nuovo Movimento politico di ispirazione liberal-democratica: Szolidaritas che pure nel nome ricorda il sindacato polacco Solidarnosc che aprì la strada al crollo delle dittature comuniste nell’Europa centro-orientale. Sperano nella costruzione di un’Ungheria nuova che cancelli certe leggi liberticide in materia di libertà individuali e garanzie costituzionali e ritorni ad aprire il proprio mercato ai capitali internazionali.

Per ora i magiari guardano con invidia alle economie di Polonia, la nuova locomotiva degli Stati dell’Europa centrale, Cechia, Slovacchia e, persino, Romania, economie che hanno ricominciato a crescere a differenza di Budapest.

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