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Brucia il Corano nel “paradiso” scandinavo

I roghi del Corano in Svezia da parte di un esule iracheno e un politico di estrema destra hanno acceso infuocate proteste nel mondo islamico e tensioni diplomatiche. Valentino Salvatore affronta il tema sul numero 5/2023 di Nessun Dogma

 

Manifestazioni in tutto il mondo, assalti ad ambasciate, proteste diplomatiche: le nazioni a maggioranza islamica si infiammano nel mezzo del 2023 per i roghi del Corano in Svezia. A riaccendere la miccia della rabbia religiosa e delle tensioni sociali in Paesi ritenuti idilliaci, due personaggi diversissimi tra loro, accomunati da un certo compiacimento nel dissacrare il testo sacro: l’esule iracheno Salwan Momika e il politico danese Rasmus Paludan.

Classe 1986, Momika nasce a Qaraqosh nel governatorato di Ninive, estremo nord dell’Iraq. Fa parte della minoranza cristiana assira, si rifugia in Svezia e nel 2021 ottiene un permesso di soggiorno di tre anni. Ma le autorità svedesi ne valutano la revoca quando con lo scandalo dei roghi riemerge il suo ambiguo passato.

Nei torbidi tra l’invasione Usa dell’Iraq e la parabola dello Stato islamico si segnala come politicante. Lui non fa mistero (in parte) del suo passato: sul suo canale YouTube si vede mentre in abiti civili passa in rassegna miliziani o partecipa a programmi tv per dare la sua versione. Ma è solo la parte della storia più presentabile: il resto lo fanno emergere detrattori con immagini e filmati.

Nel vuoto di potere del dopo-Saddam si formano forze di mobilitazione popolare (hashd al-shaabi) mal tollerate dal nuovo governo, spesso rivali tra loro, che provocano instabilità. Momika fonda nel 2014 un partito di unione democratica siriaca, ritenuto emanazione dei curdi, che ha come braccio armato i cosiddetti Falchi. Appare in divisa nera alla guida delle Brigate dello Spirito di Dio Gesù figlio di Maria (Kataib Rouh Allah Issa Ibn Miriam), composte da cristiani in guerra contro l’Isis e a supporto delle controverse Brigate dell’imam Ali (Kataib al-Imam Ali) sostenute dagli iraniani.

Entra in rotta con Rayan al-Kildani, fondatore delle Brigate Babilonia accusate di abusi e diventate partito. Momika ha la peggio, è imprigionato dai governativi. Nelle foto spesso si fregia della bandiera del popolo siriaco-aramaico, simbolo etnico con l’antico sole alato assiro ripreso dal cristianesimo. Crollato l’impero ottomano, queste genti nord irachene subiscono la pulizia etnica dei turchi ricordata come sayfo (cioè “spada”) che fa centinaia di migliaia di morti. Il triste copione si ripete su scala minore con l’Isis un secolo dopo. Molti della diaspora si stabiliscono proprio in Svezia.

Momika è bollato come doppiogiochista e spregiudicato. Ma è tra quelli che si adoperano per i diritti delle minoranze caldee, curde e assire nel nuovo Iraq. Tra le perle, da capopartito incontra nel 2016 in Iraq l’arcivescovo siro-cattolico Youhanna Boutros Moshe e in Svezia nel 2017 l’arcivescovo della chiesa siro-ortodossa Benjamin Atas. Espatriato, avrebbe preso contatti con i Democratici svedesi, partito di estrema destra.

Difficile scremare verità e bufale su di lui (e sue). Nelle sue sparate riecheggiano antichi risentimenti etnico-religiosi, ma oggi si dice non credente e rinnega la sua vecchia patria. Così si descrive nella pomposa presentazione su YouTube: «un pensatore e scrittore ateo illuminato che si ribella a tutto nella vita ed è scettico su tutto. L’Iraq non è la mia patria e non lo sarà mai solo perché sono nato lì per caso. La Svezia e la sua società sono la mia patria con orgoglio. Ma difendo tutti gli oppressi, ovunque si verifichi un’ingiustizia, la mia causa sarà lì».

Per lanciare una critica feroce all’integralismo tratta in maniera impietosa il Corano: infarcisce con maiale (vietato nella dieta islamica), prende a calci, calpesta, brucia. Lo fa di fronte alla moschea centrale di Stoccolma durante la festa del sacrificio (eid al-adha) a fine giugno 2023, attirandosi l’odio globale. La moschea è nota per passate controversie come sermoni antisemiti e integralisti e frequentazioni di jihadisti. Nel 2013 tre attiviste Femen entrano e si spogliano per protesta.

L’altro protagonista nelle cronache per aver bruciato il Corano è il danese Rasmus Paludan. Nasce nel 1982 e fonda nel 2017 il partitino di estrema destra Stram Kurs (alla lettera “linea dura”), ostile a immigrati e islam. Avvocato di tendenza libertaria, insegna per un periodo all’università. Per i suoi proclami viene persino espulso da Nye Borgerlige, formazione di destra populista. Inscena provocazioni con disegni di Maometto e copie del Corano: messo sotto scorta, affronta dei processi. Le sue apparizioni scatenano disordini in varie città.

Un uomo prova ad accoltellarlo nel 2020 ad Aarhus. Le autorità gli negano l’ingresso a Malmö, città svedese distante qualche chilometro di mare da Copenhagen. Ma approfitta della cittadinanza concessa per il padre svedese (paradossale per un politico anti-immigrati): tra 2020 e 2022 il suo tour in Svezia infiamma i sobborghi più caldi. Nel 2023 alza il tiro: a fuoco il Corano ogni venerdì, giorno di preghiera per l’islam.

A gennaio davanti all’ambasciata turca di Stoccolma mette in difficoltà la Svezia che vuole entrare nella Nato dopo la guerra del presidente russo Vladimir Putin all’Ucraina. I turchi già indispettiti per l’asilo concesso a curdi considerati “terroristi” per mesi fanno pesare il veto. Le clamorose proteste di Momika e Paludan sono inaccettabili per il regime di Erdogan che si erge a difesa del tradizionalismo islamico. Mentre la disinformazione accusa il governo svedese di appoggiare i roghi. L’indignazione islamica stimola la duttilità occidentale.

Il Consiglio dei diritti umani dell’Onu adotta una risoluzione contro l’incitamento all’odio. Papa Francesco intervistato da un giornale degli Emirati si dice «indignato e disgustato». Putin mentre riceve una copia del Corano in Daghestan si erge a defensor fidei: ricorda che in Russia la dissacrazione è reato mentre altri Paesi non rispetterebbero la religione.

Riprende quota il lobbying dell’Organizzazione della cooperazione islamica, che da anni fa pressione per criminalizzare blasfemia e islamofobia a livello internazionale appiattendole su razzismo e propaganda di odio. Con rischi concreti per la libertà di espressione e di critica di chi esprime idee anche solo non allineate all’ortodossia islamica come laici, apostati, non credenti.

Lo dimostra l’applicazione di questo approccio nei Paesi dominati dal confessionalismo islamico: innumerevoli casi di brutalità, uccisioni e condanne (anche a morte). Il primo ministro svedese, il moderato Ulf Kristersson, si dissocia ma ricorda che il Paese garantisce la libertà di espressione: non può vietare le proteste, seppure offensive.

Per intralciare i roghi anti-Corano non regge il divieto di accendere fuochi per il rischio incendi, smontato da Momika in tribunale. Nelle ultime comparsate Momika è con Salwan Najem, anch’egli iracheno e cittadino svedese dal 2005 dopo essersi trasferito nel 1998. Vanno a inizio settembre a Malmö: si scatenano disordini, centinaia di persone in piazza, automobili in fiamme e danneggiamenti. La città è dinamica e multietnica, ma pure turbolenta, con forte componente di migranti e giovani.

In risposta ai gesti di Momika e Paludan scoppiano violente manifestazioni nel mondo islamico e protestano Paesi non certo capofila dei diritti come Iran, Arabia Saudita, Turchia, Iraq, Marocco. I sostenitori del chierico sciita Moqtada al-Sadr occupano l’ambasciata svedese a Baghdad. Si accaniscono contro le bandiere, pure quella arcobaleno ritenuta simbolo occidentale: tipico dell’omofobia islamista. Si diffondono minacce e crescono i timori per la sicurezza nazionale nei Paesi nordici: la situazione è la «più grave dalla Seconda guerra mondiale», dichiara Kristersson.

La Danimarca annuncia la reintroduzione della legge anti-blasfemia contro il vilipendio dei testi sacri: una storica marcia indietro per un reato abolito dal 2017. Proprio il settimanale satirico Charlie Hebdo lancia ora un appello per fermare la controriforma. Molto combattivo è Jacob Mchangama, avvocato e intellettuale laico di madre danese e padre comoriano. Per lui «inchinarsi alle intimidazioni di Stati politicamente autoritari e religiosamente oppressivi costituisce un pericoloso precedente» che mina la democrazia.

Le progredite e laiche società scandinave sono in vetta per benessere, felicità, diritti civili e welfare grazie a decenni di socialdemocrazia. Ma oggi la Svezia vive una crisi: tra minoranze sempre più consistenti ma poco integrate, impoverite e abbandonate dalle istituzioni covano comunitarismo e fondamentalismo. Sebbene gli allarmi su presunte “no-go zones” dove sarebbe in vigore la sharia siano gonfiati da xenofobi, in certi sobborghi le problematiche ci sono.

Preoccupano le gang di giovanissimi, spesso su base etnica. La violenza cresce, il tasso di omicidi da arma da fuoco è schizzato tra i peggiori d’Europa. Il disagio ha un riflesso religioso: in certe zone moschee e imam sono tra i pochi riferimenti e si radica il tradizionalismo. Da queste cosiddette “aree vulnerabili” esce la maggior parte degli svedesi affiliati all’Isis. Su questo pasturano i partiti di estrema destra, che raccolgono consensi con un identitarismo ottuso e xenofobo. Le elezioni del settembre 2022 portano al governo Kristersson con il sostegno esterno dei Democratici svedesi, formazione sovranista con trascorsi neonazisti, che ha successo alle urne.

Momika e Paludan non sono certo l’ideale per difendere la libertà di espressione. Ma non devono per forza piacerci e non dobbiamo difenderli: il discorso è laicamente più ampio. Le leggi anti-blasfemia sono antimoderne: impongono norme religiose anche a quelli che non ci credono. Sono uno strumento politico regalato a capi religiosi e finiscono per silenziare il dissenso dentro e fuori le comunità.

Non si può paragonare la distruzione sistematica di libri a opera di regimi per cancellare le idee al gesto di un singolo per quanto esecrabile. Ed esiste una lunga tradizione di “profanazioni” artistiche o per protesta sociale. Mentre tengono banco Momika e Paludan, Firoozeh Bazrafkan – un’artista iraniana che vive in Danimarca – durante un’esibizione situazionista grattugia il Corano indossando una maglietta in cui si legge “Woman Life Freedom”, davanti all’ambasciata dell’Iran.

Se si vuole custodire una società laica e moderna la strada migliore non è la censura e l’autocensura per tenersi buoni fanatici, bulli ed esagitati. In un quadro democratico i fedeli hanno il diritto di praticare la propria fede, persino esprimendo idee per altri oscene, folli o illiberali. Chi non appartiene a una certa religione ha lo stesso diritto di esprimersi, dibattere e criticare.

In alcuni Paesi invece donne, persone Lgbt+, atei che lottano contro discriminazioni fondate sui testi sacri sono bollati come blasfemi, quindi silenziati, aggrediti, imprigionati e persino uccisi dalle autorità o dalla teppa che vuole fare “giustizia”. In alcuni Paesi la copia di un libro stampato miliardi di volte vale più della vita – reale, pulsante e irripetibile – di una persona. Questa è la vera bestemmia.

Valentino Salvatore

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