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Bonn due, in Afghanistan l’immutato scenario della propria guerra

Riunendosi a Bonn per parlare d’Afghanistan la diplomazia internazionale ha applicato alla perfezione una delle regole del poliziesco classico: il ritorno dell’assassino sul luogo del delitto. La città tedesca aveva ospitato nel 2001 l’avvìo del sostegno all’Enduring Freedom. La sua riproposizione è parsa un déjà vu aggravato da dieci anni d’occupazione militare che quel Paese sta pagando più con distruzioni che ricostruzioni. Mentre la popolazione conta 60.000 vittime. In Germania accanto all’establishmen mondiale (cento nazioni, mille delegati fra cui sessanta ministri degli esteri) non poteva mancare Hamid Karzai, il simbolo della “democrazia” riportata in terra afghana dalla missione Isaf. E’ stato lui a lanciare ai convenuti il monito per il proseguimento degli aiuti: “La solidarietà, il vostro sostegno saranno cruciali in modo che noi potremo conservare gli obiettivi conseguiti e continuare a rivolgerci alle restanti prove”. Chiede altri 10-12 anni d’intervento che costerebbero ai bilanci delle nazioni promotrici cifre spaventose. Solo gli Stati Uniti hanno dirottato finora nelle guerre afghane e irachena quattromila miliardi di dollari. Nel ritorno a Bonn Hillary Clinton ha cercato di riversare sugli alleati i futuri impegni di spesa, pur sapendo che ciascun governo è alle prese con le ristrettezze della crisi.

Il Segretario di Stato americano ha omesso di ricordare come il Fondo Monetario Internazionale, finanziatore per conto della Banca Mondiale del programma di aiuti all’Afghanistan da un certo periodo di tempo l’ha bloccato e non è detto che lo rifinanzierà. Ha speso dunque parole di facciataL’altro argomento che di fatto non è stato trattato per l’assenza di due attori fondamentali – Taliban e Pakistan - sono gli scenari di guerra e di possibile pace. I primi proseguono con una destabilizzazione del territorio che la Nato continua a nascondere sebbene i fatti parlino da soli. E’ di ieri l’ennesimo attentato a Kabul, stavolta contro fedeli sciiti riuniti per le celebrazioni dell’Ashura. Dal 2009 i talebani sono diventati i protagonisti assoluti della scena e infliggono alle Forze Isaf colpi durissimi sul versante militare, sia con attacchi e ritirate secondo i canoni della guerriglia, sia con veri e propri assedi di caserme, compound, palazzi e luoghi simbolo della stessa capitale. Così una ventina di mesi or sono, mentre il generale Petraeus sfoderava enfaticamente nuovi piani offensivi, la Cia avvicinava e corteggiava alcuni leader della Shura di Quetta e della Rete di Haqqani per patteggiare un accordo. Medesimi tentativi li ha praticati Karzai che non si fidava dei protettori statunitensi di cui evidentemente temeva abbandoni o peggio.

Il presidente pashtun pensava che sua testa potesse venire offerta, metaforicamente o fisicamente com’è accaduto al fratello-trafficante, per qualche nuova soluzione. Comunque non se n’è fatto nulla. I negoziatori pensavano di quietanzare i talebani con qualche seggio alla Wolesi Jirga e il controllo di alcune zone. Ma gli uomini col turbante non ragionano da semplici Signori della Guerra intenti a trarre profitto da uso della forza, oppio epasthunwali. Puntano al potere come nel quinquennio in cui lo gestirono. Il segnale che fossero stanchi di chiacchiere a vuoto l’hanno dato in maniera perentoria lo scorso settembre uccidendo Rabbani, l’ex presidente incaricato del dialogo col gruppo considerato più… malleabile. Per ora la pacificazione è stata archiviata. Gli strateghi americani avrebbero dovuto almeno tenere buono l’alleato pachistano, che invece in Germania ha dato forfeit per vecchi e nuovi conti in sospeso. Recente lo smacco subito dalle Forze Nato che sul confine afghano gli hanno ucciso 24 militari, poi nell’aria c’è sempre la polemica sulla dibattuta copertura data da Islamabad ai combattenti talebani concentrati nella zona nord-occidentale oltreché gli strascichi dell’operazione Abbottabad contro Bin Laden. Certo militari come Zia ul-Haq e Musharraf alla Casa Bianca piacevano più dell’attuale leadership pakistana, ma tant’è. Tornare sul luogo del delitto non sembra ispirare scenari diversi. 

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.197) 7 dicembre 2011 18:20

    Probabilmente è un accostamento involontario però: « La sua riproposizione è parsa un déjà vu aggravato da dieci anni d’occupazione militare che quel Paese sta pagando più con distruzioni che ricostruzioni. Mentre la popolazione conta 60.000 vittime.»

    Leggendo la frase virgolettata e anche il seguito riguardo i soldi spesi e la ricostruzione mi chiedevo se 60 mila vittime possono essere ricostruite e in che modo, forse si può costruire una bella lapide per i morti e per gli amputati una bella protesi come quella del noto centometrista, per i bambini che sono saltati sulle mine (magari mine italiane molto colorate fatte apposta per i bambini) chissà cosa vuol dire "ricostruzione", magari una mamma con un bel rossetto offerto dai paesi democratici o forse 100 metri di bende per coprire le parti di corpo che non ci sono più.

    Mi chiedo cosa si può fare con i soldi, come si può rimediare a 60 mila vittime.

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