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Bolla su bolla, la Cina riavvolge il nastro

Tornano le centrali a carbone e si riapre il rubinetto del credito immobiliare: Pechino fa due pesanti passi indietro e trascina con sé il mondo

 

Due notizie provenienti dalla Cina segnalano e confermano che la strada per il cambiamento è lastricata di buone intenzioni, e che gli elementi inerziali in ogni sistema economico sono tali da rendere estremamente problematico invertire la rotta. Ovviamente, la cosa non riguarda solo Pechino ma il genere umano, con buona pace dei grandi affrescatori di futuro.

Prima notizia dalla Cina: il caso Evergrande, lo sviluppatore immobiliare che sta affrontando, avvolto dalla nebbia, la ristrutturazione del proprio gigantesco debito, è solo la punta dell’iceberg di un modello di sviluppo “pigro”, basato sulla scorciatoia dei moltiplicatori immobiliari.

Il contagio immobiliare fa paura

Mentre il numero di developer in crisi sta crescendo inesorabilmente, lasciandosi alle spalle problemi con prestiti in sofferenza a carico del sistema bancario pubblico e aspiranti proprietari immobiliari a cui non si può negare la casa dei loro sogni, pena sommovimenti sociali, il regime si è accorto che il passaggio dal freno all’edilizia all’acceleratore ai settori ad alta innovazione e valore aggiunto, cioè quella cosa che si chiama transizione, rischia di causare enormi problemi.

Che fare, quindi, per evitare problemi sociali e vuoti d’aria nella crescita, proprio ora che la medesima ci serve per fare redistribuzione e spalmare la prosperità? Si fa una cosa che gli anglosassoni chiamano “more of the same“, cioè si ripete il passato.

Ecco quindi che il regolatore finanziario cinese torna sui propri passi e allenta il credito ipotecario, che aveva invece deciso di stringere per controllare la bolla immobiliare e farla sgonfiare dolcemente. Le banche, di conseguenza, nell’ultimo trimestre dell’anno potranno accelerare la concessione di mutui.

Non solo: potranno anche liberare liquidità cedendo i mutui presenti sui propri libri contabili, creando quindi margini per concedere nuovi crediti. A inizio di quest’anno il regolatore aveva invece vietato la cessione, anche cartolarizzata, di tali crediti proprio per frenare la crescita dei prestiti. In pratica, uno spettacolare ritorno al passato. E infatti, guarda la coincidenza, a settembre il mercato cinese delle cartolarizzazioni immobiliari residenziali è ripartito di slancio. Chi lo avrebbe mai immaginato, vero?

Non è detto che queste misure basteranno: al momento restano operanti vincoli e divieti per grandi progetti, mentre il mercato obbligazionario domestico è pressoché congelato nell’emissione di nuovi bond legati all’immobiliare, dopo il caso Evergrande.

Più credito immobiliare

La decisione del regolatore è avvenuta a fine settembre, con l’abituale incontro di catechismo con i regolati, durante la quale si è convenuto di “mantenere congiuntamente lo stabile e sano sviluppo del mercato immobiliare e salvaguardare i legittimi diritti e interessi dei consumatori immobiliari”. Ricordiamo che al momento ci sono 1,6 milioni di cittadini cinesi che hanno versato acconti per immobili che Evergrande ha promesso di costruire.

Nel frattempo, le vendite dei primi cento costruttori immobiliari cinesi sono crollate a settembre del 36% su base annua, garantendo un pestone al freno della crescita cinese, già provata dall’esplosione dei costi di energia (tra poco ne parliamo) e delle materie prime. Qualsiasi cosa accada a un settore, quello immobiliare, che pesa per circa un terzo del Pil, rischia di causare danni rilevanti a tutta l’economia.

Quello che sta accadendo in Cina è semplicemente un caso di bolla immobiliare che gonfia una bolla finanziaria, che retroagisce sulla prima. Con buona pace delle “griglie” poste alle banche per concedere credito ai costruttori. Ovviamente, quello che succede in Cina non resta confinato alla Cina, e già i mercati finanziari globali festeggiano la notizia dell’allentamento creditizio immobiliare. Ché del doman, non vi è certezza. O forse l’abbiamo, quella certezza: la bolla prosegue, imperterrita, e batte il semidio Xi Jinping e i suoi piani quinquennali.

Contrordine, compagni: più carbone

Poi abbiamo la seconda parte di questo “ritorno al futuro” Made in China. Forse ricorderete che, solo poche settimane addietro, Pechino lucidava le proprie credenziali ambientaliste annunciando che non avrebbe più costruito centrali a carbone fuori dalla Cina. In effetti, avremmo dovuto leggere con maggiore attenzione il neppure troppo sottinteso, visto che oggi il regime annuncia di voler costruire più centrali a carbone e suggerisce che potrebbe anche rivedere i tempi di abbattimento delle emissioni.

Va da sé che, con un annuncio del genere, la COP26 sul clima che sta per tenersi a Glasgow rischia di essere una scatola vuota. In un comunicato della Commissione nazionale cinese per l’energia, si legge che

Dato il ruolo predominante del carbone nella dotazione di risorse ed energia del paese, è importante ottimizzare lo sviluppo di capacità di produzione di carbone, costruire avanzate centrali elettriche a carbone come appropriato in vista dei bisogni di sviluppo e continuare a smantellare in modo ordinato le centrali a carbone obsolete. L’esplorazione domestica di petrolio e gas sarà intensificata.

Ricordiamo che la Cina ha sin qui previsto il picco di emissioni di CO2 al 2030 e il net zero al 2060. Secondo alcune analisi, ciò avrebbe significato chiudere 600 centrali a carbone. Ora questa decisione rimette tutto in discussione. La Cina è quindi finita in una crisi energetica come quella che attualmente colpisce i paesi occidentali, e l’Europa nello specifico, esacerbata dal fatto che i tetti ai prezzi delle forniture di elettricità rendono antieconomica la generazione e causano quindi blackout e blocchi alla produzione. Tutto iniziò con i limiti alle centrali a carbone posti per migliorare le condizioni dei cieli cinesi in vista delle prossime olimpiadi invernali.

Tra status quo e grande futuro

Quindi, per riassumere: la Cina sta vivendo una doppia crisi di transizione, a cui risponde tornando a condotte e incentivi che stava tentando di superare o ridimensionare. Una reazione piuttosto caratteristica, propria dell’agire umano. Ma gli effetti saranno di ampia portata globale.

Per il momento, quindi, il mondo resta con una serie di auspici e fantasie, come i piccoli reattori modulari che Emmanuel Macron vuole sviluppare (ed esportare) con obiettivo 2030, o come la carbon capture e storage o le ultra batterie che mettono fine ai problemi di discontinuità e immagazzinamento delle energie rinnovabili.

Intanto, Joe Biden preme da mesi sull’alleato saudita, imbrigliato da Mosca nel cartello allargato Opec+, per aumentare la produzione petrolifera e calmierare i prezzi, in modo da permetterci di dire che l’attuale inflazione “è transitoria” e proseguire la nostra rivoluzione verde.

Nel frattempo, Vladimir Putin gioca con l’Europa promettendo più gas quando la nuova pipeline Nord Stream 2 sarà stata certificata e messa in esercizio, mentre deride “gli intelligentoni di Bruxelles” che, in nome di un principio antitrust, da sempre contrastano i contratti di fornitura di gas di lungo termine, del tipo ritira o paga (take or pay). Noi restiamo in attesa di prese di posizione strutturate da parte della fustigatrice d’Occidente, Greta Thunberg, assurta ormai a simbolo vivente della faciloneria idealistica populista con cui si ignora la complessità. I mercati finanziari, alla prese col greenwashing ESG, festeggiano le bolle cinesi.

Un presente che non passa

È la transizione, stupidi. Lo aveva scritto anche John Maynard Keynes, nel Trattato sulla riforma monetaria, nel 1923, usando la celeberrima frase poi così citata a sproposito nei decenni a venire. Sostituite “politici” a “economisti”, e tutto sarà ancora più chiaro:

Questo lungo periodo è una guida fuorviante agli affari correnti. Nel lungo periodo saremo tutti morti. Gli economisti si assegnano un compito troppo facile e inutile, se durante stagioni tempestose sanno solo dirci che quando la tempesta sarà passata l’oceano tornerà calmo.

Avete notato la comune radice etimologica fra transizione e transitorio? Tra terra promessa ambientale e inflazione secondo i banchieri centrali? Alla fine, i due termini restano pur sempre parenti stretti, e promettono di portare con sé protratte difficoltà e disillusioni.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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