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Bitcoin, la media e il coltello cadente

Criptovalute martellate come da attese dalla carneficina dei mercati finanziari ma c'è chi, indefesso, continua ad accumulare, mettendo sul conto dei propri connazionali

 

La fase di forti turbolenze sui mercati finanziari, conseguenza del rialzo dei rendimenti e del crescente rischio di stagflazione, porta con sé un inevitabile corollario: gli attivi più rischiosi soffrono di più. Incredibile, vero? Tra essi, il settore tecnologico in senso lato, soprattutto quello di realtà aziendali che fanno pochi utili ma promettono mirabilie in un futuro più o meno remoto.

All’aumentare dei rendimenti, che entrano nel tasso di sconto di tali utili promessi in un futuro più o meno remoto, il valore attuale di quegli utili si abbatte sino a diventare quasi invisibile, e con esso la capitalizzazione di borsa, che altro non è che il valore attuale del flusso di utili e dividendi e di un cosiddetto “valore terminale” dell’azienda.

Vi presento il BitNasdaq

Tutto ciò pedantemente premesso, e come ho già segnalato mesi addietro, anche le criptovalute seguono l’andamento dei titoli della tecnologia, affossandosi. Bitcoin e compagnia in questi giorni hanno toccato livelli di prezzo del 50% circa inferiori ai massimi dello scorso novembre. La correlazione a 90 giorni tra bitcoin e indice Nasdaq si è avvicinata a 0,70, valore storicamente molto elevato.

Ora, dato l’andamento dei mercati, che stanno facendo fior di vittime tra imbonitori e venditori di olio di serpente, non dovremmo stupirci di questo andamento delle criptovalute. Come segnalavo nell’ormai lontano gennaio, il cosiddetto oro digitale si comporta come tale. Nel senso che, al crescere dei rendimenti reali, cioè al netto dell’inflazione, mostra di soffrire come l’oro di solito soffre e, trattandosi della “moneta” di una tecnologia eternamente promettente di ricadute industriali dirompenti ma i cui utili sono molto di là da venire, soffre anche come proxy della tecnologia a utili futuri e futuribili.

In questo contesto di mercato, che altro non è che una gigantesca ritirata di quella liquidità che aveva sollevato anche i relitti dal fondo del mare, tutto procede come dovrebbe attendersi chiunque sia in possesso dei rudimenti del valore attuale. In queste fasi, che quelli bravi e/o gli affabulatori chiamano di “market regime change” o cambio di paradigma, c’è comunque chi pensa di trovarsi di fronte una epocale opportunità di accumulare sulla debolezza, in attesa che tutto riparta.

Potrebbe anche accadere, per carità. Resta da capire quale è la capacità di sopportazione degli investitori, inclusi quelli che sentenziano che “il mercato non capisce”, o che è “irrazionale”. Come diceva il buon vecchio John Maynard Keynes, il mercato può restare irrazionale più a lungo di quanto un investitore riesca a restare solvibile.

Tra i credenti nella teoria del “tenere”, cioè hold che è diventato hodl, ci sono gli investitori in criptovalute. Anzi, loro sostengono che ogni fase di debolezza serva a espellere i “dubbiosi” e consolidare la chiesa dei credenti, in attesa che le quotazioni ascendano al cielo. Tra tali credenti c’è il presidente di El Salvador, Nayib Bukele, che da tempo coglie (si fa per dire) l’opportunità di ribassi per comprare bitcoin. Ovviamente non con soldi propri ma con quelli dei suoi connazionali.

Buy the dip

Cosa avvenuta puntualmente anche ieri. “Buy the dip“, al solito, come vale per i fedeli delle meme stocks, che pare siano stati ben tosati in attesa che si compia la beata speranza. In questi casi, quando il mercato rimbalza anche lievemente, parte il solito trenino di “visto? Era un’opportunità d’acquisto”. Dopo di che, si torna alle proprie occupazioni, il mercato torna a scendere, e Bukele compra.

A questo punto, sulla base della ricostruzione di quantità e prezzi di acquisto, così come annunciati dal presidente, e sotto l’ipotesi di nessuna vendita da trading, c’è chi si è preso la briga di controllare quale potrebbe essere il profilo di utili e perdite del Salvador.

Lo hanno fatto i giornalisti di FT-Alphaville. Secondo la loro ricostruzione, Bukele avrebbe sin qui speso 101,5 milioni di dollari per 2.280 bitcoin. Ai prezzi del 9 maggio, quella posizione varrebbe 72,6 milioni di dollari. Una stima alternativa ma numericamente coerente la trovate a questa pagina. Al momento, la minusvalenza teorica è di circa il 30%.

Come commentano ad Alphaville, El Salvador è un paese con un Pil pro capite di circa 3.800 dollari, riserve valutarie per circa 4 miliardi di dollari, pari a tre mesi di importazioni, un rapporto debito pubblico e Pil dell’85% (e qui s’impone un filo di invidia), che sin qui ha perso circa 28 milioni di dollari col bitcoin.

Nel frattempo, tra otto mesi scadrà una obbligazione in dollari per 800 milioni. Negli intendimenti di Bukele, il paese avrebbe emesso un bitcoin-bond per un miliardo di dollari, legandone metà alla criptovaluta, e avrebbe fatto marameo a quegli uccelli del malaugurio del Fondo Monetario Internazionale.

Di quel bond io non ho mai capito l’utilità per l’investitore, che ha la possibilità di comprarsi direttamente la criptovaluta ma transeat. Il lancio del cripto-bond viene rimandato di mese in mese e con esso tutti i fantasmagorici programmi di investimento in criptovalute, inclusa la “miniera” alle pendici dei numerosi vulcani salvadoregni. Per ora Bukele è impegnato a ridurre il numero di morti ammazzati nel paese, a seguito di scontri tra gang, a colpi di arresti di massa. Non esattamente un gran biglietto da visita, per il paese che vuole diventare il cripto-hub del mondo.

La bitcoinizzazione che non lo era

Ma come procede la bitcoinizzazione del Salvador? Quel processo che prevedeva l’adozione di una app, Chivo (letteralmente, “figo”), incentivata con 30 dollari di bonus d’installazione, pari a circa l’8% del salario minimo di un mese, sconti dell’8% alle stazioni di servizio, un fondo statale di ben 150 milioni di dollari ufficialmente destinato a compensare le (esose) commissioni della rete bitcoin e, soprattutto, lo status di mezzo legale di pagamento?

Uno studio, condotto con interviste in presenza a 1.800 cittadini del Salvador, mostra che a usare l’app sono soprattutto soggetti giovani, di istruzione media superiore e con accesso al sistema finanziario formale. Con buona pace dell’obiettivo di inclusione finanziaria dei non bancarizzati delle zone remote.

L’app non viene praticamente usata per le rimesse degli emigrati, o meglio i pochi che la usano inviano dollari; le aziende che accettano pagamenti in bitcoin sono le maggiori e procedono subito alla conversione. Vista la volatilità, continua a non essere chiaro come il bitcoin potrà mai diventare mezzo di pagamento.

chivo
 

Quindi, si direbbe filotto: acquisti diretti in perdita, ancora niente bitcoin-bond, uso del bitcoin come mezzo di pagamento pressoché nullo.

In attesa di essere sconfessato dai fatti, ribadisco la chiave di lettura: le criptovalute sono le figlie illegittime dell’ubriacatura di liquidità prodotta dalle banche centrali negli ultimi lustri. Solo che non si può dire perché va in direzione opposta alla narrazione e alla mistica della protezione dalla svalutazione e dello svilimento (debasement) operato dalle banche centrali.

Non sono prive di valore, tuttavia: il valore sta negli occhi di chi le scambia, e questa funzione è destinata a proseguire anche in ipotesi di trend ribassista di lungo termine. Solo che, a parte i cripto-credenti, si smetterà di usarle come parte di allocazione di portafoglio e si passerà a fare trading in via prevalente. Come per GameStop e affini, giusto?

Resta questo affascinante tiro alla fune tra visioni: da un lato, come detto, l’acquisto sulla debolezza o buy the dip; dall’altro, l’antico detto dei mercati finanziari, che invita a non cercare di afferrare un coltello in caduta. Nel mezzo, i cripto-credenti. Che, in odor di santità, potrebbero procurarsi delle stigmate da questa ricorrente pioggia di lame.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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