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 Home page > Tribuna Libera > Berlinguer, la questione morale e le punte dei forconi

Berlinguer, la questione morale e le punte dei forconi

Sono andato a rileggermi una celebre intervista. Quella che Enrico Berlinguer concesse ad Eugenio Scalfari nel 1981 e nella quale il Segretario dell'allora Partito Comunista esprimeva tutta la sua preoccupazione per la "questione morale"; per il degrado affaristico e clientelare, già allora ben avviato, della nostra politica.

 "La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro ...".

Potrebbero essere state dette oggi quelle parole; era lucidissimo Berlinguer nel diagnosticare i mali del suo tempo e nel pronosticare, in mancanza di cure che non vi sono state, quale sarebbe stato il loro decorso.

Solo su un punto la visione del Segretario del PCI pare risentire dei tre decenni che sono trascorsi da allora; non è più attuale, e forse non lo era già, la sua ottimistica fede nella diversità del proprio partito rispetto agli altri.

"Primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato" diceva Berlinguer per mettere in luce il differente approccio della sinistra alla gestione della cosa pubblica."Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi" continuava poi, prima di terminare quella parte dell'intervista con queste parole che solo la sua personalità poteva, forse già a quel tempo, salvare dalla retorica: “In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi”.

“A spartire con gli altri ogni minuto frammento dell’economia pubblica ci siamo stati anche noi” direbbe oggi Berlinguer con il fiele in bocca, “ e il nostro partito è dominato da una casta, spesso costituita da parenti di ed amici di, che lascia poco o nessuno spazio alle voci nuove”. Amarissimo lo immagino terminare: "A cena coi faccendieri come gli altri ci siamo andati  anche noi; sulle auto blu andiamo come gli altri e sulle poltrone dei consigli d’amministrazione, con loro sediamo anche noi. Alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrati in modo pessimo, ci siamo stati noi”.

Quel che emerge dalle inchieste di Monza, con milioni di euro, acquisiti (sembra) dagli esponenti locali del PD nel più mafioso dei modi, grazie al proprio controllo del territorio, e destinati (pare, certo, pare) a comprare l’assenso dei vertici nazionali del partito alle operazioni di recupero dell’area Falck, sono l’ennesima dimostrazione di quanto poco qualunquismo vi sia nel “son tutti uguali” che è ormai sulla bocca di moltissimi italiani.

Anche i più accesi sostenitori della sinistra, ormai da decenni, hanno rinunciato a rivendicare l’onestà della propria parte; la differenza orgogliosamente rivendicata da Berlinguer è oggi ridotta ad un misero “i nostri sono meno ladri degli altri”.

Io non credo che destra e sinistra siano uguali, ma non perché attribuisca particolari doti morali ai dirigenti nazionali, e ancor più locali, del PD. Se non sono ladri, e non posso davvero pensare che Bersani o Bindi lo siano, non hanno però troppe difficoltà a frequentare soggetti che, scusate il bisticcio di parole, per delle persone per bene dovrebbero essere infrequentabili.

Quel che mi fa guardare a sinistra, nella mia speranza, sempre più flebile, di un rinnovamento, è il fatto che il PD abbia ancora una base sana, fatta di militanti per cui l’onestà rimane un valore.

A questa base, che rappresenta il meglio, oggi, della nostra società e ai meccanismi di democrazia interna che il PD si è pur dato tocca il compito di ripulire perlomeno una parte della nostra politica. In fretta, prima che tutto salti e non restino che macerie.

Parlando d’inchieste giudiziarie (e davvero è un argomento che non mi appassiona; che tratto solo perché attorno ad esse ruota tanta parte della nostra vita pubblica), le sei procure che indagano sulla PX, Y o mettete voi il numero che volete, non stanno in realtà svelando nulla agli occhi degli italiani. Che Silvio Berlusconi dispensi milioni a destra e a manca (disinteressatamente, certo) è cosa ormai stranota, mentre la riduzione della politica a strumento per la risoluzione dei suoi guai personali  non è certo un mistero: è anzi la palese ragion d’essere del PdL.

Ai nostri compatrioti che ancora sostengono Silvio Berlusconi (pare lo faccia ancora, incredibilmente, uno su quattro di noi) certe cose non interessano minimamente. L’onestà per loro è del tutto prescindibile; la confondono con l’incensuratezza  e pensano, al più, che onesto sia chi rispetta la proprietà privata. Meglio che lo sia chi rispetta la loro.

Per l’illusione, che sta svanendo, di uno sconto fiscale sono dipostissimi a veder saccheggiare lo Stato: sono i meno fortunati tra noi, quelli tanto ingenui da non capire neppure d’esser lo un sessantamilionesino dello stato; che i denari pubblici sprecati sono denari loro e che loro sarà pure, in un modo o nell’altro, il conto da pagare al malgoverno.

Sono ingenui, questi nostri connazionali, ma si sveglieranno presto anche loro.

Diceva Berlinguer, alla fine della propria intervista: “Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire”.

Tranne il numero dopo quella P, le parole del Segretario del PCI valgono perfettamente per l’oggi. Una sola differenza, rispetto ad allora: se “l’operazione” non riuscirà, il paziente, il Paese, non avrà davanti a sé alcuna lunga degenza.  Morirà, finanziariamente ed economicamente, molto, ma molto, in fretta.

Spero non si debba attendere allora, quando gli italiani, ingenui e no, avranno difficoltà a trovare di che infilzare sui rebbi delle forchette, per cambiare interamente la nostra classe politica. 

Fosse così, temo che molti si troverebbero a dover spiegare la propria differenza alle punte, non so fino a che punto metaforiche,  dei forconi.

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.132) 30 agosto 2011 15:10

    Politici si diventa per difetto e non per merito .

    Per questo le differenze tra i partiti possono anche sembrare poco rilevanti , però dire che PDL e PD sono la stessa cosa è una forzatura . E non lo sono per i motivi che tu hai elencato ,ovvero perché soprattutto non lo sono i rispettivi elettorati .
    Qui non c’entra il supposto "superiority complex" della sinistra , però è un dato di fatto che l’elettore di Silvio Berlusconi lo vota per quello che è e per quello che può garantire . Quindi nessuna meraviglia se ancora uno su quattro lo votano , per loro Silvio e i suoi "peccatucci" sono una garanzia .
    Non ci si può d’altronde neanche stupire se i mariuoli esistono anche nel PD .Quando una classe politica dirigente rimane al potere per decenni è il minimo che può succedere .
    Berlinguer ,persona che ho stimato tantissimo ,aveva intuito la deriva morale ed etica della politica italiana ma è stata una voce inascoltata perché tutti ,chi più chi meno , erano impegnati ad arraffare tutto il possibile .E ci siamo ritrovati cosi’.
  • Di pv21 (---.---.---.92) 30 agosto 2011 19:23

    C’era una volta >
    Cosa scriveranno i libri di storia sul Cavaliere di Arcore?

    Sarà l’elenco di promesse “sottoscritte”, di imprese “miracolose” e di riforme “epocali” che “cambiarono” il paese facendolo “più forte e più libero”.
    Si racconterà dei “complotti” orditi da finanzieri, magistrati e giornalisti post-comunisti che invano cercarono di fermare il “tedoforo” della competizione democratica.
    Le più autorevoli “fonti” internazionali saranno citate a testimonianza del prestigio e della credibilità dello “statista di rara capacità” che meritò più di un monumento.
    L’inimitabile tycoon, dalla “straordinaria squadra” di governo, che con “gran sacrificio” e la “convinta” fiducia di una maggioranza “responsabile” superò “meglio di altri” una crisi “planetaria”.

    Sarà di certo un’apologia di “amore e generosità” quella del magnate che “elargì” milioni di euro senza mai chiedersi “per chi e per cosa”.
    Del leader di una “realtà mediatica” fattrice di “ottimismo” e modello di “facile” successo.
    Di quel cuore che “grondò sangue” al solo pensiero di chiedere la "solidarietà" dei più ricchi.
    Il tempo non cancella mai le Voci dentro l’Eclissi di uomini esempio di rigore, coerenza ed impegno civile …

  • Di vittorio Cucinelli (---.---.---.240) 30 agosto 2011 22:17

    Tragico, l’eredità morale di Berlinguer Pertini non è stata raccolta da NESSUNO. Oggi nel PD prevale l’anima cupa della vecchia democrazia cristiana e nel manternere il potere per il potere leader di questo partito sono figure astratte, morte, inesistenti 

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