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Banco Popolare di Bari | Destino silenzioso, cinico e Bari

Tra le molte situazioni di crisi e criticità di cui soffre il diversamente solido sistema bancario italiano, c’è una grande banca del Mezzogiorno che sta facendo arruffare il pelo ai suoi azionisti, per motivi che ormai abbiamo imparato a conoscere: l’assenza di un vero e proprio mercato secondario dove trattare le azioni medesime.

Che poi, a ben vedere, altro non è che l’ennesimo caso di analfabetismo finanziario su cui hanno campato generazioni di cosiddetti manager ma anche altrettanti politici. Ora che il mondo è cambiato, l’ecosistema è divenuto improvvisamente ostile ed in molti cercano di reagire cercando disperatamente la leva del freno di emergenza del mondo, per poter scendere.

La banca in questione è la Popolare di Bari. Al momento non risulta avere ufficialmente problemi ma sta avviandosi alla trasformazione in società per azioni, circostanza che impone maggiore trasparenza sotto molti aspetti gestionali. Oltre ad essere comunque coinvolta nel processo di deterioramento degli attivi che ha sin qui segnato il nostro paese (vi è piaciuto questo understatament, vero?), e di conseguenza trovarsi costretta a procedere a riduzioni del valore delle proprie azioni, non quotate. E qui arrivano i dolori, visto che molti azionisti hanno solo nell’ultimo anno preso coscienza del fatto che anche le azioni di banche popolari cooperative esprimono il valore del capitale proprio aziendale (incredibile, signora mia, chi l’avrebbe mai detto?), e di conseguenza si sono ritrovati più poveri.

Tutto è cominciato lo scorso anno, quando la banca ha effettuato una importante operazione di ripulitura del proprio bilancio, che ha determinato un risultato economico ampiamente negativo. Nel corso dell’assemblea dei soci dello scorso 24 aprile, è stata ratificata la decisione del management di procedere a ridurre il valore delle azioni da 9,53 a 7,50 euro, con un bel taglio del 21%. I circa 70 mila azionisti della banca hanno improvvisamente realizzato che i certificati rappresentativi del capitale proprio di una cooperativa possono anche deprezzarsi. A dirla tutta, qualche abilissimo socio si era reso conto di questa eventualità della vita alcune settimane prima, ed era riuscito a rivendere le proprie quote attraverso il sistema di scambi interni della banca. Dopo il 24 aprile, l’incazzatura è progressivamente montata, per evidenti motivi.

In molti vorrebbero dirigersi verso l’uscita, ma sono incastrati dall’assenza di un vero mercato. Le sedicenti associazioni dei consumatori sono scese in campo e si va verso qualcosa che dovrebbe essere un ultimatum alla banca, con scadenza a fine mese, per aprire un tavolo negoziale. Nel frattempo, lo scorso 18 ottobre, anche la Consob si è accorta del problema e prima di tornare a dormire ha raccomandato alle banche non quotate di creare una piattaforma di mercato dove sia possibile scambiare le azioni. Sagace. Quello che forse agli azionisti della Popolare di Bari non è chiaro è che sulle quotazioni insiste un elemento fondamentale ed uno di illiquidità. In astratto è possibile rimuovere il secondo, ma il primo tende a persistere. Tra le richieste del comitato degli azionisti c’è poi quella di poter fruire di un allungamento dei tempi per il rimborso di mutui stipulati con la banca, definito dal comitato dei soci un’iniziativa fondamentale “per ridare ossigeno ai risparmiatori e alle imprese, evitando allo stesso tempo alla banca il rischio di avere un credito deteriorato che svaluti l’attivo”.

Ora, a parte il fatto che l’allungamento dei termini di pagamento rappresenta già evidenza di deterioramento della qualità dell’attivo della banca (basterebbe conoscere il concetto di valore attuale netto ma chiediamo troppo, oggettivamente), questa richiesta fa affiorare il sospetto che vi siano mutuatari che hanno messo le azioni della banca a garanzia del fido, ed ora si trovano a rischio di dover integrare la garanzia. Sarà così? Abbiamo una nuova “sindrome veneta” di affidamenti con acquisto di azioni della banca, magari avvenuto non contestualmente alla richiesta di fido, per non avere problemi con la vigilanza? Sarà andata così? Ah, saperlo. Quello che invece sappiamo è che a giorni si conoscerà il prezzo a cui gli azionisti potranno esercitare il diritto di recesso conseguente alla trasformazione in Spa della popolare, ed è piuttosto improbabile, per usare un eufemismo che quel prezzo possa essere superiore all’ultima valorizzazione delle quote (7,50 euro). Nel frattempo, si attendono notizie della semestrale 2016. Utile inoltre ricordare che la Popolare di Bari a giugno 2015 ha effettuato un aumento di capitale, in cui è stata anche offerta ai soci la possibilità di sottoscrivere obbligazioni subordinate Tier II con cedola 6,50% e scadenza 2021. Le azioni di nuova emissione sono state offerte in opzione ai soci al prezzo di 8,95 euro. Sigh.

Quello che conta è che l’attuale prezzo di 7,50 euro per azione è superiore al valore del patrimonio netto, mentre (come dolorosamente sappiamo) le altre banche quotate hanno multipli che sono meno della metà. Abbiamo l’impressione che l’avvicinarsi di questo giorno del giudizio sia alla base dell’attivismo di alcuni deputati pugliesi che, trasversalmente agli schieramenti di provenienza, nei giorni scorsi hanno cercato di far passare un emendamento in ambito di legge di Bilancio per impedire di fatto la trasformazione della popolare barese in Spa, innalzando il requisito patrimoniale che innesca tale trasformazione. Nel frattempo la Procura di Bari indaga e Banca d’Italia ha in corso dall’estate un’ispezione. Lo sentite, qui dalla stalla, il lontano scalpiccio dei buoi? Ribadiamolo: quanti dei soci erano effettivamente consapevoli di cosa significhi partecipare al capitale di una banca? Ora resta una rabbia crescente, e tra non molto forse l’inarrestabile nostalgia per i bei tempi andati, quando le banche potevano ricomprarsi azioni proprie, senza fare troppo baccano. Sottovoce, come direbbe la nuova campagna istituzionale della Popolare Bari. Forse il silenzio è destinato a durare ancora poco. E comunque, dalla banca hanno fatto sapere che la svalutazione delle azioni

«Non l’abbiamo determinata noi, ma è stata resa indispensabile dopo che attraverso un decreto del governo siamo stati obbligati a diventare una società per azioni»

Eh. La realtà è interpretazione, dopo tutto, non oggettività.

Lettura complementare fortemente consigliata, su Banca Popolare di Bari: questo post di Fabio Bolognini ed anche questo, sulla storia della banca che decise di lanciarsi in uno shopping forsennato di altri istituti, anche con aiutino di sistema in caso dell’acquisizione della dissestata Tercas.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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