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Bad bank e mercato, la strada esiste

(Nota preliminare dovuta: questo post non è una marchetta ma solo una serie di considerazioni di buonsenso, a fronte di una iniziativa che sulla carta appare interessante)

Come segnala il Sole 24 Ore, sta per partire il progetto che vede coinvolte Intesa Sanpaolo ed Unicredit in quella che impropriamente è stata definita una bad bank ma che in realtà è qualcosa di molto più ambizioso: un esperimento che si colloca al confine del private equity, e che mira di fatto a disincagliare crediti fornendo mezzi finanziari e competenze per gestire ristrutturazioni aziendali.

A monte c’è una newco controllata da Kkr ed Alvarez & Marsal, che a sua volta controllerà un veicolo specializzato al quale saranno conferite le esposizioni di Intesa, Unicredit ed eventualmente altre banche interessate. Il veicolo acquisterà i crediti deteriorati pagandoli con emissione di proprie passività obbligazionarie. Obiettivo è quello di creare progetti di turnaround, cioè di ristrutturazione produttiva, delle aziende coinvolte. Sul piano finanziario, questo supporto potrà avvenire anche tramite aumenti di capitale, e non solo con erogazione di nuovo credito.

Sulla carta, l’operazione punta come detto a disincagliare crediti non tanto attendendo la svolta della congiuntura, che è condizione necessaria ma non sufficiente perché ciò avvenga, ma anche e soprattutto attraverso una attività di private equity in cui è centrale la ridefinizione dei piani industriali aziendali. Alcune considerazioni spicciole: quando si parla di crediti deteriorati occorre essere consapevoli che ve ne sono alcuni che sono recuperabili, il cui margine di recupero spesso dipende da un contestuale rilancio della missione aziendale. Diverso discorso per le sofferenze, per le quali occorre definire il recovery value del credito, al termine di un processo che è prevalentemente giudiziale o stragiudiziale, e che si conclude con la determinazione della perdita definitiva sul credito.

Ciò detto, sarebbe auspicabile la creazione di strutture simili a questa di Intesa ed Unicredit per tentare il turnaround delle imprese. Per quanto riguarda le sofferenze, invece, poco da aggiungere alla strada maestra di agevolare le rettifiche su crediti ed accelerare la giustizia civile. Non serve una bad bank pubblica, ripetiamolo: serve aver gli attributi per dire che alcune banche devono accorparsi ed essere gestite secondo una struttura centrale di categoria (qualcuno ha detto Bcc?) per gli aspetti di smaltimento dei crediti in sofferenza. Sono ambiti differenti di gestione dei crediti deteriorati, avendo presente che le varie categorie sono relativamente fluide (qui la distinzione di base) ma questa continua filastrocca sul “fallimento di mercato” che giustificherebbe un intervento pubblico a noi puzza, e non poco. Soprattutto leggendo notizie come questa. Ditelo agli editorialisti compulsivi di sistema.

Foto: Tax Credits, Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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