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Avvocatura: tre idee per riformare l’esame di Stato, contro la casta degli ordini professionali

Il punto di partenza è il banner di una nota agenzia specializzata nell'abilitazione di avvocato in Spagna, dove l’esame di Stato non esiste. Cliccandoci sopra si scopre che l’aspirante avvocato italiano può sostenere alcuni esami integrativi (facili, tipo i test con le “crocette”) e tornare in patria con l’iscrizione all’albo degli “abogados” sulla base della semplice presentazione del titolo. Il professionista “abogado”, una volta in Italia, potrà esercitare la professione iscrivendosi come “avvocato stabilito” nella sezione speciale dell’albo professionale. Tutto in regola, lo prevede una sacrosanta norma europea.

Non è difficile scoprire che gli abogados in Italia sono sempre di più, e questo a causa del sistema medievale che regola l’accesso alle professioni. Quasi inutili i tentativi di rinnovamento: gli ordini sono il vero il collo di bottiglia tra i giovani e la libera professione. Una delle caste più resistenti del nostro ordinamento, presente in tutti gli schieramenti politici come esempio di trasversalità perfetta. 

La presunta riforma di questa estate (DPR 137/2012) ha solo aperto alcuni varchi verso un sistema più moderno: tirocinio massimo di 18 mesi (per gli ordini che già lo prevedono), obbligo di assicurazione del professionista a tutela del cliente, separazione tra gli organi disciplinari e gli organi amministrativi nell'autogoverno degli ordini, pubblicità informativa.

Mesi di trattative con il ministero della Giustizia hanno prodotto un accordo che dovrebbe aprire alla concorrenza nel mondo delle professioni. Ma a dimostrazione che poco cambierà c’è il giudizio del Comitato unitario dei professionisti: “Il decreto è positivo perché dà un impulso di modernità ma ribadendo la centralità e la valenza del sistema ordinistico” (fonte: ilfattoquotidiano.it).

Il decreto ha salvato gli Ordini dall'abolizione automatica ma non ha affrontato il nodo dell’accesso alla professione, cioè la riforma degli esami di Stato. Abolirli non è possibile, perché previsti dall'articolo 33 della costituzione. Ma almeno che la loro gestione non sia più affidata agli Ordini, ossia a professionisti che devono decidere chi diventerà professionista.

E’ del tutto falso quanto sostiene la casta, cioè che l’esame di Stato serva a selezionare le competenze di domani e a garantirne la qualità. Vorrebbero farci credere che tutelano i nostri interessi evitando la concorrenza. L’esperienza invece si fa sul campo, esercitando la professione, e non con l’ennesimo esame (chi è laureato ne ha già sostenuto tanti) valutato diversamente a seconda della sede in cui si svolge.

Ecco alcune proposte per una riforma dell’esame di Stato:

1) Introdurre forti limiti alla discrezionalità delle commissioni. La prova scritta potrebbe essere organizzata come i test di accesso all’università: un certo numero di domande (2000/3000) note prima dell’esame, uguali per tutti, con risposte valutabili in modo oggettivo. Tempi di correzione quasi azzerati.

2) Commissioni d'esame aperte alla società civile, affiancando gli appartenenti agli ordini con i rappresentanti del mondo accademico e dei consumatori (solo per fare un esempio). Tentare insomma di limitare l’autoreferenzialità tipica degli ordini professionali.

3) Tirocinio obbligatorio, si, ma retribuito. E’ più probabile che in questo modo il praticante arrivi all’esame di Stato dopo un periodo di impiego in qualcosa di utile, e non solo come addetto alle fotocopie.

Occorre cioè farla finita con un esame usato da “calmiere” per l’accesso al mercato dei giovani professionisti.

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