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Austerità: la cura resta rigorosamente letale. Il caso del Portogallo

Qualche numero aggiornato sulla situazione delle finanze pubbliche portoghesi, per ricordarci che la crisi esiste, persiste e sussiste, e che i nodi arriveranno presto al pettine della Grande Coalizione tedesca in via di formazione. 

Con il termine “crisi”, però, sarebbe utile indicare non quella economica ma quella che la alimenta, e cioè le misure di austerità europea, che stanno determinando un classico avvitamento dei conti pubblici un po’ ovunque, non solo da noi. In effetti, nei numeri e nella situazione portoghese si coglie una certa aria di famiglia.

Giorni addietro sono stati resi noti i dati relativi allo stock di debito pubblico portoghese. Secondo l’agenzia nazionale di gestione del debito, lo stock di passività pubbliche, escluse quelle legate alle imprese controllate dallo stato, ad agosto era di 207,4 miliardi, dai 188 di un anno prima. Secondo la banca centrale, che include nel computo anche le passività delle imprese pubbliche, il rapporto debito-pil a giugno era del 130.9%, dal 123,7% al 31 dicembre 2012. L’indebitamento totale del Portogallo, pubblico e privato, a fine giugno era al 452% del Pil (avete letto correttamente), contro il 434% di un anno prima.

Dal versante del deficit pubblico, i conti del periodo gennaio-agosto mostrano numeri interessanti, nella loro crudezza e disfunzionalità. Ad esempio, le entrate totali crescono del 6,4% su base annua, in larga parte a causa del rialzo delle aliquote Irpef deciso in gennaio. Altra gente che non ascolta Alesina & Giavazzi, e che non riesce a tradurre il verbo Fare nella propria lingua, evidentemente, tapini. Forse perché il taglio di spesa era già fallito in precedenza, chissà. E di gente simile c’è piena l’Europa, pensate.

Entrate da imprese in rialzo del 6,1%, altra cosa piuttosto agghiacciante, dato l’andamento del Pil portoghese, e gettito Iva in puntuale calo anche laggiù (del 2,1%), a causa della contrazione della spesa delle famiglie. Più interessante la dinamica della spesa pubblica, che nei primi otto mesi del 2013 cresce dell’1,8% sullo stesso periodo dello scorso anno. Di questa, l’aumento per la spesa corrente è del 4,1% annuo, frutto pressoché esclusivo della decisione della corte costituzionale portoghese, che ha ordinato la restituzione ai pubblici dipendenti delle due mensilità che erano state tagliate dal governo. Come si nota, non è solo l’Italia ad avere problemi di controllo della finanza pubblica a seguito di decisioni supreme.

Il governo di Lisbona cercherà di compensare questa restituzione attraverso non meglio specificati piani di fuoriuscite volontarie di pubblici dipendenti, perché pare che la corte costituzionale non sia d’accordo neppure con l’ipotesi di licenziamenti nel pubblico impiego. A questo punto non è difficile immaginare dove andrà a parare la Troika, nei “suggerimenti” dopo l’ultima revisione dei conti pubblici portoghesi. Nel frattempo, visti gli enormi vincoli a toccare la spesa corrente, che si fa? Semplice: si uccide la spesa pubblica in conto capitale, a meno 27% annuale, e si effettuano tagli lineari sugli acquisti della P.A. Tutto già visto, altrove.

Ma non basta, ahimè: la spesa per pensioni è in forte aumento ed i contributi al sistema della Sicurezza Sociale stagnano a causa della situazione drammatica del mercato del lavoro. Come i più perspicaci tra voi avranno intuito, chi non lavora non versa contributi, e la Sicurezza Sociale entra in apnea. In aggiunta a ciò, sulla spesa pensionistica pesa altra sentenza della corte costituzionale, che ha ordinato al governo di restituire ai pensionati la mensilità che era stata loro tolta in una precedente manovra. E quindi, che si fa? Il governo centrale effettua trasferimenti compensativi alla Sicurezza Sociale, per prestazioni di welfare e pagamento delle pensioni. Ma questa è pur sempre spesa pubblica. Discorso analogo per l’aumento di spesa legato ai maggiori sussidi di disoccupazione, per i motivi detti sopra.

Su questi ultimi, che sono e restano stabilizzatori automatici, il governo ha deciso di agire riducendo gli assegni di disoccupazione, da gennaio di quest’anno. Peraltro la spesa, in questo comparto di welfare, appare in frenata, ma non per miglioramenti congiunturali quanto perché i beneficiari degli assegni di disoccupazione stanno riducendosi a causa della perdita dei requisiti, che vengono meno dopo uno o due anni, a seconda dell’età. Decorso questo periodo di tempo, i disoccupati di lungo periodo che non hanno trovato lavoro sono soli con se stessi. Possono comunque ingannare il tempo leggendo le prescrizioni di economisti che ritengono che il taglio dei sussidi di disoccupazione serva ad attivare la ricerca del lavoro. Purtroppo, in condizioni del genere, questo precetto pare non valga, ma sono dettagli. Per piegare la spesa pensionistica il governo portoghese ha poi introdotto riforme che limiteranno gli assegni pensionistici futuri, oltre a tassare i trattamenti superiori alla sontuosa cifra annua di 4.014 euro.

In breve, ad nauseam: l’austerità avvita il paese su se stesso, il rapporto debito-Pil si autoalimenta e raggiunge la soglia della non sostenibilità, che a sua volta rischia di richiedere default ai titoli di stato e rinegoziazione degli aiuti della Troika.

P.S. Se volete leggere una spiegazione (di fonte rigorosamente accademica, peraltro) del perché la cura è e resta letale, leggete questo commento di Ugo Arrigo, ormai entrato a pieno titolo nel Club degli Eretici. E buona fortuna a tutti.

 

Foto: Pedro Ribeiro Simoes/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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