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Attacco all’articolo 41

Attacco all'articolo 41

Del ministro dell’economia non voglio parlar male (metti mai che mi quereli), però tre monti mi sembrano davvero troppi per la levatura politica dell’artefice del prossimo, durissimo attacco alla Costituzione, che mira a stravolgere l’articolo 41 della Carta.
 
Due colline dovrebbero bastare e avanzare, ritengo, perciò inviterei tutti a chiamarlo così - Duecolline - se solo, come ho detto, non temessi querele, giacché non ho soldi da buttare.
 
La crisi economica che prima non c’è e poi sì, secondo le veline del governo Berlusconi, è un ottimo pretesto, per gli alfieri del liberismo, per far pagare alla collettività le truffe e i guai di alcuni, e per plasmare la società e lo Stato secondo i dettami dell’ideologia economica (nonostante tutto) trionfante. Già nel discorso della "discesa in campo" Silvio Berlusconi rivendicava la liceità del «profitto»: oggi si scaglia contro una Costituzione che sarebbe datata perché non continene il termine «mercato».
 
Con il pretesto della crisi economica, il ministro Duecolline (mi è scappata), intende semplificare la vita di piccole e medie imprese mettendo mano, con legge costituzionale, all’articolo 41, quello che dice che «l’iniziativa economica privata è libera», ma anche che essa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
 

Sembra che a correre rischi di modifica siano proprio i «controlli opportuni», con tutto quel che può seguire in un Paese che ha già avuto prove della moralità e del sentire civico dei propri imprenditori, licenzianti, precarizzanti, delocalizzanti, sgravimploranti, inclini a ridere nel letto quando all’Aquila la terra trema o sorpresi al telefono per concordare lo smaltimento illegale di rifiuti industriali da sversare in campagna.
 
Ha fatto bene Mario Pianta, sul «manifesto» del 5 giugno, a ricordare che poco meno del 10% del prodotto industriale in Italia nel 2009 deriva dalle attività delle mafie. «Se il prodotto dell’industria è fermo ai livelli di dieci anni fa e diminuisce da quattro anni, il prodotto delle mafie continua a crescere e investe nuove attività, dal commercio alla finanza».
 
Le mafie sono, dunque, aziende potentissime all’opera nel Paese e hanno tutto da guadagnare dal rinnegamento dei «fini sociali» dell’attività economica come base della «sicurezza», «libertà» e «dignità» umana.
 
Le mafie, infatti, chiedono alla politica quelle leggi che consentono la loro crescita. «Si stanno introducendo la sanatoria sugli immobili non accatastati», spiega Pianta, «il condono edilizio in Campania, tagli a organismi di controllo ed enti locali, nuove misure [...] per la "libertà d’impresa" che azzererebbero altre regole e stravolgerebbero addirittura la Costituzione, per non parlare della legge sui limiti alle intercettazioni telefoniche».
 

Chissà se per non essere querelato, se mai mi verrà di parlar male di Tremonti, mi basterà far finta di essere al telefono, approfittando della legge contro le intercettazioni prossima ventura.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.166) 14 giugno 2010 12:46

    Il problema è fermare chi gli passa i conteggi. Bankitalia ha calcolato un -0,5% di PIL come effetto diretto della manovra Tremonti. La sua "manovra" sui dipendenti pubblici dovrebbe fruttare un taglio di spesa di 4 miliardi anno. Peccato che l’Inpdap (previdenza statale) prospetta un maggior esborso (pensioni,liquidazioni,ecc) di oltre 8 miliardi e minori entrate (contributi) di quasi 2 miliardi anno. Per non parlare dei proprietari di "case fantasma" che dovrebbero auto-denunciarsi rischiando l’abbattimento dell’immobile. Morale. Non c’è da meravigliarsi se la crisi (ex-ripresa) grava sull’economia del paese come Se Fosse STAGNAZIONE ... (=> http://www.vogliandare.it/nat/ps1.html )

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