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Argentina, splende il sol del peronismo

L'inatteso risultato di Sergio Massa al primo turno delle presidenziali argentine, conferma che il peronismo è vivo e lotta assieme al default

 

Dopo l’inatteso (da quasi tutti i sondaggisti) risultato del primo turno delle elezioni presidenziali argentine, con il ministro dell’Economia, Sergio Massa, al primo posto davanti a quello che sembrava il favorito, l’anarco-capitalista Javier Milei, sono iniziate le congetture sul ballottaggio del 19 novembre e l’analisi del risultato.

Come è possibile, si chiede un soggetto mediamente razionale, che il ministro dell’Economia che ha presieduto (assieme ai suoi predecessori) alla discesa agli inferi del paese, con inflazione al 140%, una povertà che sta avanzando in modo angosciante e il sostanziale azzeramento delle riserve valutarie (oggi l’Argentina vive a credito anche di quelle), possa ambire a diventare presidente di questo cumulo di macerie e, soprattutto, trovi una maggioranza disposta a votarlo?

TACCHINI D’ARGENTINA

Personalmente, essendo a mia volta soggetto mediamente razionale (o forse presuntuoso) mi sono invece chiesto come è possibile, leggendo il cosiddetto programma di Milei, che i tacchini votassero entusiasti per anticipare il Natale? A dirla tutta, Milei a un certo punto ha iniziato una parziale retromarcia, ad esempio promettendo un drastico taglio dei ministeri, da 18 a 8, come da manuale del perfetto populista, ma al contempo assicurando che i dipendenti pubblici in esubero non sarebbero stati licenziati ma “ricollocati”. Oppure promettendo che i tagli ai sussidi, che sarebbero la via maestra per tentare di risanare il paese, non avrebbero pesato sulle tasche degli argentini. Ricordava i grillini di un tempo, quelli che volevano risanare il debito pubblico mettendo all’asta su eBay le auto blu. Che nostalgia.

A dirla tutta, ricorda soprattutto l’ascesa di Berlusconi, fatte le debite proporzioni. Milei non è un miliardario concessionario pubblico, a cui guardare sospirando mentre si proclama “lui ce l’ha fatta, potrà arricchire anche noi”, e amenità del genere. E in effetti, Il Berlusconi del 1994 lavorò di desistenze, alleandosi con un partito secessionista ma che non avrebbe disprezzato, come second best, vedere dirottati al Nord i sussidi pubblici, e con un partito post fascista con robusta rappresentanza tra piccoli bottegai e pubblici dipendenti. Non si inventa mai nulla, alla fine.

Sergio Massa ha fatto il suo, con uno sprint disperato verso il traguardo, fatto di esenzioni dall’imposta sul reddito delle persone fisiche e mance per tutti, realizzate spingendo la stampante della banca centrale più in là. Mance elettorali pari all’1,3% del Pil, si calcola. Una “manovra”, e anche piuttosto corposa. Fatta “attingendo” non al deficit, come si direbbe nella terra degli avi di molti argentini, ma direttamente all’inchiostro delle stampanti della banca centrale.

Massa ha mobilitato la base elettorale del peronismo, come ben rappresentato in questa analisi di Bloomberg: sindacati e “picchettatori” del pubblico impiego, gli scioperanti compulsivi in nome della “giustizia sociale”. Piuttosto efficace, sul piano della comunicazione della paura, la cartellonistica stradale che mostra il costo del biglietto dei mezzi pubblici con una presidenza Milei: un aumento di venti volte.

E pazienza che i sussidi erga omnes siano esattamente quello che porta un paese, e l’Argentina in particolare, alla perdizione. Hanno un bello sgolarsi, il Fondo Monetario internazionale e le altre istituzioni economiche internazionali, quando chiedono che i sussidi vadano ai realmente bisognosi, siano “targeted“. Alla fine, tutti sono bisognosi, lo impone la campagna elettorale crudele. E si riparte con un altro giro di giostra.

IL WELFARE È MORTO, VIVA IL WELFARE

Massa ha poi avuto buon gioco ad ammonire gli argentini che in gioco ci sono scuole, pensioni, salute e sussidi, che la destra vuole distruggere. Anche qui, non vi suona vagamente familiare? Un welfare devastato e che si sta sbriciolando, ormai ridotto a testimonianza di era passate, ma che viene usato come barricata contro l’assalto del Male.

Sei recessioni in un decennio: è il record argentino. E il peggio deve ancora arrivare. Come finirà? Ovviamente, male. Se poi la domanda è riferita al ballottaggio, il compito di Milei è decisamente in salita, visto che una sua eventuale presidenza dovrebbe trovare alleanze parlamentari con quegli stessi soggetti che ha apostrofato nei peggiori modi. Peronismo è anche il risultato della corsa del governatore della Provincia di Buenos Aires, dove risiede il 38% della popolazione argentina, che ha visto la trionfale rielezione di Axel Kicillof, già ministro dell’Economia di Cristina Fernandez de Kirchner, malgrado lo scandalo del suo capo di gabinetto che sorseggiava champagne con una modella a bordo di uno yacht al largo della costa meridionale spagnola. Sono dei francescani incompresi, anche loro.

Massa ha promesso che lavorerà per la creazione di una coalizione ampia, oltre il confine del peronismo, forse perché è uno stato di necessità, ma inutile farsi illusioni: noi italiani conosciamo anche troppo bene le vie del trasformismo, anch’esse infinite. Peronismo è un tratto culturale, prima che politico. E l’ammaccata ma sempre presente Cristina ha già detto che occorre respingere le richieste del FMI. Verrà rottamata? Credeteci. Il peronismo cambia per restare fedele a se stesso. Del resto, se ancora così tante persone tragicamente impoverite si presentano alle manifestazioni elettorali intonando il loro credo “a Peron e a Evita”, un motivo ci sarà. O forse è un sortilegio e una allucinazione collettiva.

Dal 20 novembre gli argentini torneranno alle loro angustie e al loro impoverimento, in attesa che la Cina presti al presidente Massa gli yuan per rimborsare il Fondo Monetario internazionale. Il tasso e le condizioni di quei prestiti resteranno segreto di stato, e vissero tutti infelici e scontenti. In attesa che all’orizzonte spunti un nuovo simbolo di speranza, di quelli che prendono la motosega per gli “sprechi” rigorosamente altrui, con il loro populismo ancora più deforme e grottesco di quello incumbent. E i giornali italiani continueranno a segnalare le ascendenze italiane del protagonista pro tempore della tragica farsa. Un quadro incredibilmente familiare, non trovate?

Photo by Palácio do Planalto from Brasilia, BrasilCC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Questo articolo è stato pubblicato qui

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