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Arabia Saudita e Donne | L’ONU e quel pasticciaccio brutto sui diritti

In questa ingiustificabile vicenda la seppur azzeccatissima citazione “Cuiusvis hominis est errare, nullius nisi insipientis” appare quanto mai benevola e fin troppo elegante per definire la performance che si è consumata di recente alle Nazioni Unite. Sbagliare sarà anche umano ma perseverare, ripetutamente, sembra infatti che non sia più diabolico. Sembra proprio che per alcuni stati membri stia diventando una prassi consolidata. Perché come accadde già nel 2015, a certi paesi delle Nazioni Unite non bastava aver commesso l’errore di mettere l’Arabia Saudita, paese notoriamente estraneo all’applicazione e al rispetto dei diritti umani, a capo della Commissione delle Nazioni Unite proprio per occuparsi di quei diritti umani.

Serviva andare oltre la tragicomicità del collocare la classica volpe a guardia del pollaio, e rendersi ridicoli come nemmeno le famose tre scimmiette sarebbero state capaci di fare una seconda volta. Lo sbaglio — non incidentale ma presumibilmente voluto se non addirittura calcolato — di alcuni paesi che a voto segreto hanno contribuito alla scandalosa elezione dell’Arabia Saudita alla ‘Commissione ONU sullo status delle donne’ diventa quindi un eufemismo, tanto impareggiabile è invece la sfacciata scempiaggine. Specie se si pensa al complesso di questa istituzione che si occupa essen­zial­mente delle lotte alla disparità di genere e della tutela dei diritti delle donne a livello internazionale.

Serve davvero ricordare qual è lo stato attuale dei diritti umani o dell’uguaglianza di genere in questa monarchia islamica assoluta? La domanda sorge spontanea perché alcuni di questi stati membri, al momento della votazione che ha determinato l’elezione dell’Arabia Saudita presso queste importanti commissioni, sembra abbiano completamente trascurato gli aspetti basilari per esprimere un loro giudizio, anche solo vagamente assennato. Tanto per ribadire semmai servisse, prendano quindi nota che in Arabia Saudita si prescrive la pena di morte non solo per reati quali l’omicidio, lo stupro, la rapina armata, il traffico di droga, come purtroppo accade anche in altri paesi, ma anche per stregoneria, adulterio, sodomia, omosessualità, e ovviamente, alla faccia del diritto alla libertà di pensiero e coscienza, per apostasia. Nelle piazze di Ryad scorre sangue all’ordine del giorno. Basta essere atei per essere equiparati a “terroristi” ed è sufficiente esprimere critiche alla religione per finire pubblicamente frustati o addirittura decapitati.

Siamo ancora alla punta dell’iceberg perché riguardo proprio alle donne, dalla nascita sempre sottomesse a un maschio che ne controlla l’esistenza e ne autorizza ogni condotta, in Arabia Saudita non possono spostarsi in autonomia, non possono studiare, lavorare, guidare, curarsi, praticare sport, e fino a poco tempo fa, nemmeno andare in bicicletta o votare. Tutto ciò, neanche a dirlo, per un’interpretazione rigida di precetti religiosi islamici. Stando così le cose c’è un’altra domanda che sorge altrettanto spontanea e che ogni individuo con a cuore i diritti dovrebbe porsi.

Quali sono le reali intenzioni di questi paesi membri che sponsorizzano regimi violenti e liberticidi al palazzo di vetro? A naso non sembrano affatto buone. Perché se l’aver nominato un paese come l’Arabia Saudita a queste delicate commissioni sui diritti umani è un grossolano errore che probabilmente pagheremo in un tempo futuro comunque determinato, ciò che spaventa davvero e merita una profonda riflessione è l’incessante svilimento dei diritti umani attraverso scelte abbondantemente deplorevoli. Scelte politiche che vengono fatte in base agli interessi e ai calcoli soprattutto economici dei singoli stati, a scapito dei diritti e degli individui. Va in scena la svalutazione continua e persistente dell’autorevolezza dell’intera organizzazione delle Nazioni Unite. Se lo scopo dell’ONU è ancora quello di sostenere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a beneficio di tutti gli individui, è evidente che da un po’ di tempo qualcosa non sta funzionando come dovrebbe. Su tutta la linea.

Paul Manoni

Questo articolo è stato pubblicato qui

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