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Anteprima inchieste di Report: l’emergenza italiana (la mafia, la sanità e il covid)

Questi i servizi che andranno in onda questa sera

Lo stato della sanità in Italia

L’emergenza covid è finita, almeno mediaticamente, ma non nei contagi: il tasso di positività ha fatto un balzo in avanti in questi giorni, mentre per fortuna il numero dei morti è rimasto contenuto (ma comunque alto).

Ma se il covid è finito, non è finita l’emergenza nella sanità italiana: i pronto soccorsi sono allo sbando, basta andare in uno di questi e vedere coi propri occhi la situazione. Che fine hanno fatto il miliardo e 400 ml stanziati per l’emergenza sanitaria?

In Italia ci sono pazienti che non sono riusciti a prenotare, in questi mesi, nemmeno un esame radiologico: la giornalista di Report Claudia Di Pasquale ha raccolto la testimonianza di Elena Codrea. Paziente oncologica dell’ospedale Umberto I con un problema collaterale con la chemio, in reumatologia l’hanno mandata a fare la MOC e, chiamando il CUP ha ottenuto come risposta “mi dispiace ma l’Umberto I non fa la MOC”. Non solo adesso, nemmeno tra sei mesi, come se questo esame non esistesse: alla fine la MOC è stata fatta dalla signora Codrea in un altro ospedale privato convenzionato. Dopo l’intervista Elena Codrea ha chiamato il CUP dell’Umberto I per prenotare una radiografia toracica: “non c’è disponibilità presso l’Umberto I, non c’è l’agenda aperta” è stata la risposta, al che la signora ha spiegato come, secondo l’oncologo questa cosa non fosse possibile. Chi ha ragione, il CUP o l’oncologo?
Antonella Salva, presidente dell’associazione La Fenice spiega a Report che in Italia esiste una legge, la 266 del 2005, che vieta agli ospedali di chiudere le agende (e di fatto non accettare più prenotazioni per specifici interventi). La realtà è all’opposto: il covid, racconta Antonella Salva, ha rubato posti a pazienti fragili, pazienti oncologici, pazienti cardiologici, “noi abbiamo avuto segnalazioni di pazienti oncologici tenuti cinque giorni in barella al pronto soccorso.”

Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano ha pubblicato un'anticipazione del servizio 

Se siete preoccupati nel vedere che la sanità pubblica soccombe alla logiche del business, stasera non guardate Report. Vi fareste il sangue amaro. Claudia Di Pasquale è andata a vedere che fine hanno fatto le risorse stanziate due anni fa, in piena emergenza Covid, per potenziare la rete ospedaliera, aumentare i posti letto di terapia intensiva e subintensiva e migliorare le condizioni nei pronto soccorso. Su un miliardo e 400 milioni di euro le Regioni hanno chiesto appena 335,5 milioni e la struttura commissariale anti-Covid ne ha trasferiti 250.

Il servizio è un viaggio angosciante nei pronto soccorso di Napoli dove i pazienti aspettano giorni e i medici scappano (come anche altrove), nel gigantesco trasferimento di risorse pubbliche attuato nel Lazio (due miliardi di euro solo nel 2020) a favore degli ospedali privati che hanno fatto la parte del leone nella gestione del Covid e non solo, nei ritardi della Lombardia che dopo tre-quattro ondate è ancora in fase di progettazione per alcuni degli interventi finanziati a suo tempo, nel disastro delle cure non Covid rimandate per l’emergenza che chissà quando saranno recuperate.

La scheda del servizio: IL PAZIENTE ITALIANO di Claudia Di Pasquale
Collaborazione Cecilia Bacci, Giulia Sabella

L'emergenza Covid è finita ma la sanità resta in stato di emergenza. I pronto soccorso sono al collasso, migliaia di visite e interventi sono stati sospesi, i medici sono in fuga dagli ospedali pubblici. Eppure, dopo la prima ondata, a maggio 2020 il Decreto Rilancio stanziava 1 miliardo e 400 milioni di euro per potenziare la rete ospedaliera italiana, aumentare il numero dei posti letto di terapia intensiva e subintensiva e per riqualificare i pronto soccorso. A distanza di due anni cosa è stato fatto?

 

I respiratori della Philips

Il servizio di Giulio Valesini si occuperà dei respiratori difettosi che la Philips lo scorso anno ha ritirato dal mercato, perché emettevano sostanze nocive (una schiuma fono assorbente potenzialmente tossica): tra i respiratori ritenuti pericolosi per la salute dei pazienti ci sono anche quelli non invasivi usati in epoca covid in ospedali, come il Trilogy, ma anche il modello E30 approvato in emergenza nel 2020 proprio per il coronavirus. Il management della Philips sapeva da tempo del particolato, ma non ha avuto problemi a dare l’E30 ai malati, salvo includerlo nelle recall dal mercato finita la seconda ondata covid.

“Noi non abbiamo mai portato dispositivi che sapevamo potessero i pazienti” spiega a Report Jan Kinpen, Chief Medical Officer della Philips: tra i modelli ritirati c’erano Trilogy ed E30, che erano in uso, “ma abbiamo lasciato decidere ai medici se continuare o meno il trattamento con questo device.”

Philips ha aspettato troppo, prima di ritirarli dal mercato, vendendo tante macchine privilegiando il fatturato alla salute dei pazienti? “La sicurezza dei pazienti è sempre al centro di quello che facciamo, quello su cui si è basata la reputazione di Philips.”
FDA, l’ente governativo statunitense di controllo dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha rivelato a maggio di aver ricevuto, solo nell’ultimo anno, più di 21mila segnalazioni di incidenti seri tra cui 124 decessi, associati ai difetti di questi dispositivi, mentre Philips fino al 2021 ne aveva segnalato soltanto 30 di casi.

Sono dati parziali quelli della FDA, perché le segnalazioni devono essere sottoposte a controlli e perizie per accertare le vere cause, ma anche su queste perizie ci sono perplessità.

Lo racconta Jeanne Lenzer, collaboratrice del British Medical Journal: “FDA richiede di segnalare solo ciò che ha causato o contribuito a causare la morte o l’evento avverso grave. Secondo lei a chi spetta decidere se un dispositivo ha effettivamente causato la morte di un paziente? Il medico del paziente? La FDA? No è il produttore del dispositivo che spesso si autoassolve.”

Sempre a proposito di controlli, a inizio anno la Philips ha inviato dei test preliminari su questi dispositivi alla BFARM, l’ente sanitario tedesco che l’Europa ha delegato per vigilare sul caso: secondo BFARM i risultati sono rassicuranti. Anche la ERS la società europea dei medici per la respirazione, dichiara che non c’è bisogno di sostituire questi device e il nostro ministero si adegua e dirama una circolare che è un copia e incolla del parere dell’ente sanitario BFARM e delle raccomandazioni dell’ERS.

Quest’ultimi spiegano a Report che si deve mettere sul piatto da una parte il rischio di questi dispositivi e dall’altra parte il danno nell’interrompere il trattamento e la bilancia pende dal rischio nell’interrompere il trattamento, perché il rischio è ipotetico – racconta il prof. Winfried Randerath dell’ERS. Ma nemmeno lui ha visto i dati, “perché non siamo tossicologi” ammette, ma i dati sono stati resi noti alle autorità sanitarie.

Randerath ha risposto a Report sui suoi potenziali conflitti di interesse con Philips, ma è terminato spiega il medico: ma nello scorso 25 aprile è la stessa Philips a smentire a Randerath: i risultati dei test divulgati dall’azienda stessa sono preoccupanti, alcuni esami sulla schiuma falliscono per genotossicità. La multinazionale ha condotto i test su un numero esiguo di macchinari, alcuni solo su una macchina, altri su 5, non il massimo della rappresentatività come test.

La scheda del servizio: FINO ALL'ULTIMO RESPIRO di Giulio Valesini, Cataldo Ciccolella
Collaborazione Eleonora Zocca e Lidia Galeazzo

Il marchio Philips è sinonimo in tutto il mondo di alta qualità e design. Televisori, stereo, rasoi elettrici: il meglio dell’elettronica di consumo che ha fatto la fortuna della multinazionale olandese. Un colosso da quasi 20 miliardi di euro di fatturato l’anno che presidia anche il settore dei dispositivi medici. Ma i bilanci dorati adesso sono minacciati da possibili risarcimenti milionari: per anni Philips ha venduto dei respiratori, che aiutano i pazienti con l’apnea del sonno, contenenti però una schiuma fonoassorbente che si degrada e può finire nelle vie aeree. Il materiale oltre al particolato irritante emette anche composti organici volatili dei quali si stanno testando potenziali effetti cancerogeni. Ora l’azienda sta rimpiazzando tutti i dispositivi per tutelare gli utenti, ma si è trattato di un incidente di percorso o di una colpevole negligenza? E soprattutto come è stato possibile che questi dispositivi siano stati usati per curare numerosi pazienti Covid-19? Report ha provato a far luce sul caso.

 

Quanti vaccini abbiamo preso e cosa ne facciamo adesso?

Sta per esplodere un problema grosso in Italia e in Europa – racconta il conduttore Sigfrido Ranucci nell’anteprima del servizio dove si farà il punto sulla campagna di vaccinazione in Italia (quanti vaccini abbiamo comprato alla fine?) e sullo stato della sanità italiana.
Partiamo dai vaccini: ad oggi sono stipati nei container all’aeroporto di Pratica di Mare, centro nevralgico della logistica militare: i container sono tutti frigoriferi e contengono le fiale di Pfizer (conservate a -80 gradi), Novovax, Moderna (questi a -22). Le consegne delle case farmaceutiche non si fermano e il magazzino capace di contenere fino a 30 milioni di dosi e continua a riempirsi: da qui poi le dosi sono inviate alle regioni, nel culmine dell’emergenza c’erano spedizioni giornaliere invece adesso, per il fatto che le vaccinazioni sono diminuite, si parla di una spedizione ogni due settimane - racconta a Report uno dei militari. Il magazzino continua a riempirsi perché, almeno una volta a settimana, ci sono arrivi dalle case farmaceutiche: a Pratica di Mare c’è circa il 50% della capacità nazionale di vaccini, si parla di 15 ml di dosi.
Ma ne abbiamo veramente bisogno di tutti questi vaccini (visto che con la fine delle restrizioni e degli obblighi vaccinali, la campagna di fatto si è fermata)?

Andiamo in Polonia, a Varsavia, dove con soli 200 casi e 5 morti al giorni il covid sembra un lontano ricordo, così le dosi si accumulano e il governo non si accontenta di rinviare le spedizioni, le vuole proprio interrompere: “la nostra campagna vaccinale è praticamente finita, non abbiamo bisogno di tutte queste dosi” racconta un funzionario a Report. Così da marzo la Polonia ha smesso di pagare, utilizzando la clausola di forza maggiore che è presente nel contratto e che per noi è legata all’attuale situazione in Ucraina.

Ma non è che la Polonia sta sfruttando la guerra in Ucraina per non pagare: “non è una scusa” rispondono dalla Polonia “la guerra sta avendo un grosso impatto sulla nostra economia.”

Nel frattempo in Europa e anche in Italia le dosi si stanno accumulando e, per evitare di dover buttar via questi vaccini, molti le donano ai paesi poveri, a cui però arrivano troppo a ridosso della data di scadenza. Manuele Bonaccorsi ha intervistato la direttrice della farmacia territoriale della ASL 1 di Roma, che rassicura sul tema: anche per un tema etico, tutte le dosi sono controllate, non le si fanno scadere, la campagna vaccinale non è terminata. Sulle scatole, però, le date di scadenza indicate non sono valide: “i vaccini hanno avuto una riclassificazione delle scadenze” spiega la direttrice. Anche il governo è consapevole di aver comprato troppi vaccini: in una lettera che la struttura commissariale ha inviato alle regioni lo scorso marzo, l’ex commissario Figliuolo spiegava come il surplus delle dosi sarebbe stato donato ai paesi in difficoltà, un bel gesto di solidarietà che però arriva in ritardo.

“A livello europeo stiamo donando vaccini con scadenze molto ravvicinate” racconta a Report la responsabile Oxfam Sara Albiani “secondo i dati dell’Unicef nell’ultimo mese del 2021 circa 100 ml di dosi donate non sono state somministrate perché erano con delle scadenze troppo basse.”

Gli stati non sono liberi di donare i vaccini, che hanno pagato, liberamente, ma devono prima chiedere il permesso alle case farmaceutiche col rischio di allungare i tempi. Lo scorso 1 agosto a Tunisi arriva un carico di circa 1,5 ml di dosi di vaccino donate dall’Italia, le autorità locali organizzano perfino una piccola cerimonia di ringraziamento, ma un’inchiesta del collettivo giornalistico Behind The Pledge ha svelato che sarebbero scaduto dopo appena due mesi. Stessa storia in Nigeria dove, nel passato dicembre, il governo locale è stato costretto a gettare in discarica oltre 1 ml di dosi, appena donate e già inutilizzabili.

Abbiamo comprato troppe dosi e anziché buttarle noi le facciamo buttare ai paesi africani, così facciamo un’operazione di maquillage per rifarci la faccia..

La scheda del servizio: QUALCHE VACCINO DI TROPPO di Manuele Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale

 

Con il calo dei contagi e l’avvicinarsi dell’estate, la campagna vaccinale è entrata in una fase di stallo: quasi l’85% della popolazione, del resto, ha già ricevuto la terza dose, mentre la quarta è riservata al momento solo alle categorie più deboli. L’Italia, però, continua a comprare vaccini. Report ha scoperto il numero esatto di dosi acquistate dal nostro Paese: è una cifra enorme, che rischia di superare di molto il fabbisogno effettivo, e andare sprecata. Ma non è un problema solo italiano, tutto il continente si ritrova nella stessa situazione. Infatti, in Europa sta per scoppiare il caso dei vaccini anti-Covid, con una fronda di Paesi critici guidati dalla Polonia che punta a rompere i contratti miliardari con le case farmaceutiche.

 

Il ritorno dei gattopardi

Oramai non fanno più nemmeno finta di nascondersi i gattopardi: in Sicilia le ultime elezioni amministrative sono state vinte da un candidato del centro destra sponsorizzato e appoggiato da due ex politici condannati per mafia come Dell’Utri e Cuffaro. Non solo, nei giorni precedenti le elezioni due candidati di questa lista sono stati arrestati perché si erano messi in contatto con esponenti mafiosi, con l’ipotesi di reati di voler mettere in piedi uno scambio politico mafioso.

Report ha seguito la campagna elettorale in Sicilia: a due giorni dal voto, la festa di compleanno di una candidata è stata l’occasione di una passerella per l’ex presidente Cuffaro, rimasto “vasa vasa”.

È una degna persona – raccontano le persone presenti alla festa - certo c’è stata la condanna, ma ora non farà mai gli stessi errori di prima.

Di certo, scontata la condanna a 7 anni per favoreggiamento aggravato alla mafia, oggi Cuffaro torna all’usato sicuro, la Democrazia Cristiana: “può darsi che l’insieme di Cuffaro e Democrazia Cristiana funzioni ancora .. se il test andrà bene noi con la Democrazia Cristiana vogliamo partecipare alla costruzione di un rassemblement di centro che comprende Forza Italia, Italia Viva, penso che in quest’area moderata e centrista uno di quelli che potrebbe aspirare ad una leadership è Matteo Renzi.”

Lo stesso Renzi che, lunedì scorso, nell’intervista a Giorgio Mottola giurava che mai e poi mai Italia Viva sarebbe mai andata con Lagalla (dopo che due suoi esponenti avevano dato appoggio alla coalizione di centro destra).

La scheda del servizio: DEGNE PERSONE di Luca Bertazzoni
Collaborazione di Edoardo Garibaldi

 

Alla vigilia delle elezioni per il sindaco di Palermo, sono scesi in campo schierandosi a favore del candidato di centrodestra Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri, condannati in via definitiva il primo per favoreggiamento verso esponenti mafiosi e il secondo per concorso esterno in associazione mafiosa. L'inchiesta racconterà gli ultimi giorni di campagna elettorale a Palermo con gli arresti per scambio elettorale politico-mafioso a poche ore dal voto.

 

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

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