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Anna Politkovskaja: penne contro pistole

Anna Stefanovna Politkovskaja, giornalista russa assassinata il 7 ottobre 2006.
Familiari e collaboratori sostengono la tesi di omicidio politico. “Come si può uccidere qualcuno armato solo della sua penna?”

Anna Stefanovna Politkovskaja, giornalista russa famosa in tutto il mondo per i suoi reportage sugli orrori della guerra in Cecenia, è stata assassinata il 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo a Mosca con quattro colpi di pistola al petto e uno alla nuca.

La pista seguita è quella di un omicidio eseguito da un killer professionista a contratto. Familiari, collaboratori ed opinione pubblica internazionale sostengono la tesi di omicidio politico.

L’inchiesta ha portato all’arresto di più di dieci persone fra cui alcuni ex funzionari dei servizi di sicurezza e un leader ceceno a capo di un’organizzazione criminale. Ad oggi le conclusioni delle indagini sono ancora parziali e suggeriscono la mancanza di volontà politica nell’individuare i responsabili dell’assassinio.

Il giorno successivo alla morte, il computer della giornalista è già nelle mani della polizia così come altro materiale dell’inchiesta alla quale stava lavorando, incentrata sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al primo ministro Ramsan Kadyrov. I funerali si svolgono il 10 ottobre alla presenza di oltre mille persone ma senza nessun esponente del governo. “Come si può uccidere qualcuno armato solo della sua penna?” si chiede una sua sostenitrice.

Una carriera in prima linea all’insegna del coraggio, spesa interamente per i diritti umani, la libertà e la democrazia. Testimone scomoda di orrori che vive anche sulla propria pelle. Un impegno che le è valso numerosi premi ma anche arresti e minacce, oltre la separazione dal marito, che affermerà “impossibile vivere sulla sommità di un vulcano”. Nata a New York nel 1958, figlia di diplomatici russi, curiosa e un po' secchiona, si laurea nel 1980 in giornalismo presso l’Università di Mosca con una tesi sulla poetessa proibita russa Marina Cvetaeva. Inizia la sua carriera a Izvestija nel 1982 proseguendo a Obscaja Gazeta. Nel 1998 si reca per la prima volta in Cecenia e dal 1999 inizia a collaborare per la Novaja Gazeta. Una penna che non si limita al giornalismo passivo. La Politkovskaja decifra e racconta la Cecenia articolo dopo articolo, numerosi i rilievi sul posto e una raccolta infinita di testimonianze. I suoi articoli consentono di leggere in successione le cronache di una guerra poco conosciuta che confluiscono in un reportage più ampio sulla Russia contemporanea. Solo Anna riusciva a far capire come è cambiata e cosa è oggi la Russia.

Per lei esisteva solo un unico giornalismo quello teso a perseguire una verità che colpisce dritto allo stomaco, arriva al cuore e si imprime nella memoria, grazie al vigore del suo stile e alla grande sensibilità nello scandagliare l’animo di vincitori e vinti. Si era appassionata alle vicende cecene non solo come cronista: nel dicembre 1999 è lei ad organizzare, durante un bombardamento, l’evacuazione dell’ospizio di Grozny, mettendo in salvo 89 anziani. Nel 2001 è perfino costretta ad abbandonare il paese e fuggire a Vienna.

I viaggi in Cecenia sono sempre più frequenti, visita ospedali e campi profughi, intervista militari e civili e si adopera per sostenere le famiglie colpite dalla guerra. Dal filo diretto con le vittime nascono i suoi articoli. Fiumi di inchiostro che non risparmiano forti critiche ai metodi impiegati dalle forze russe che spesso si traducono in abusi sulla popolazione civile, appoggiati in silenzio dai primi ministri ceceni e sostenuti da Mosca.

La giornalista si trova spesso ad assolvere anche il ruolo di negoziatrice privilegiata come è accaduto per i fatti del Teatro di Dubrovka a Mosca, quando il 23 ottobre 2002 una cinquantina di terroristi ceceni prende in ostaggio il teatro con all’interno circa 700 persone. Anna si reca sul posto per mediare e la sua presenza garantisce che la situazione non degeneri. Eppure Putin, allora Presidente della Federazione, rifiuta ogni mediazione e dopo 48 ore le forze speciali russe assaltano il teatro. Tutti i terroristi vengono uccisi a causa del gas impiegato nell’operazione di salvataggio, dove perdono la vita anche 130 ostaggi.

Oltre agli articoli anche diversi libri, nel 2002 pubblica A small corner of Hell ennesima denuncia dell’incubo ceceno: migliaia di civili torturati, rapiti e uccisi da forze cecene e autorità federali russe. Proprio per il suo impegno, si ritrova spesso ad essere minacciata di morte. È il settembre 2004 quando subisce un tentativo di avvelenamento mentre si sta recando a Beslan, dove un gruppo di separatisti ceceni ha sequestrato oltre 1200 persone in una scuola. Colpita da malore e in fin di vita, l’accaduto non verrà mai chiarito. “Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano. Non mi considero un giudice, io sono una giornalista che descrive quello che succede a chi non può vederlo”. Nel 2006 viene messa a tacere per sempre. A fronte dei numerosi interrogativi intorno alla sua morte, la giustizia russa non è riuscita a fornire alcuna risposta. L’attività di due anni e quattro mesi di indagini, quattro mesi di processo e tre ore di camera di consiglio si è conclusa con un nulla di fatto. I quattro imputati sono stati assolti per insufficienza di prove, tra cui Sergei Khadzhikurbanov ex dirigente della polizia moscovita, i fratelli ceceni Dzhabrail e Ibragim Makhmudov e l’ex colonnello sei servizi segreti Pavel Riaguzov. Mentre rimane ricercato all’estero Rustan, il terzo fratello Makhmudov. L’obiettivo di condannare le persone implicate nel delitto appare sempre più lontano dopo questo processo opaco e ambiguo, affidato ad una corte militare e proibito ai giornalisti, con ritardi nelle indagini e prove inquinate. I ripetuti insabbiamenti non fanno altro che rafforzare l’ipotesi di un deliberato sabotaggio.

Dal 2000 al 2010 si contano anche altri giornalisti uccisi in Russia. Se Anna Politkovskaja è stata assassinata a causa del suo lavoro, il modo migliore di farla rivivere è rileggere i suoi articoli. Nell’ultimo vengono descritti i campi di concentramento per i condannati ceceni: abusi e discriminazioni, interrogatori, accuse fittizie e torture.

La Cecenia e i suoi retroscena, le politiche oppressive del regime russo, il banditismo e la guerra civile, i lettori della Novaja Gazeta hanno appreso articolo dopo articolo quanto quella guerra fosse sporca esattamente come tutte le guerre. “Qui non ci sono angeli. O uccidi, o vieni ucciso. A un certo punto ti chiedi: come mai dura così tanto? Quanta gente ancora bisogna uccidere? Questa guerra si basa sul principio di responsabilità collettiva. Tutti i ceceni sono colpevoli”. Questa cosiddetta responsabilità collettiva si manifesta ad ogni livello, esplosioni e bombardamenti non sono sufficienti, gli abitanti vanno terrorizzati con operazioni punitive di massa seguendo una precisa strategia di pulizia etnica. Operazioni speciali, che comprendono stupri, uccisioni, rapimenti e torture che si concludono con corpi bruciati e calcinati perché qui vige il detto “nessun corpo, nessun problema”. Terreni cosparsi di pezzi di corpi umani ai quali i familiari accorrono con la speranza di riconoscere i loro cari. Famiglie abbandonate a se stesse, il loro destino è di non avere nessuna informazione o aiuto. Squadroni della morte che garantiscono che il conflitto continui perché le provocazioni sono l’essenza stessa della vita politica. È quello di cui hanno bisogno le autorità.

Nadezhda nikogda, la speranza non muore mai, con gli stessi occhi vigili di Anna di chi ha scelto di non arrendersi, attendiamo il nuovo processo in seguito alla riapertura del caso nel 2009. Verità e Giustizia. Questo chiedeva Anna Politkovskaja, questo chiediamo noi.

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