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Animal hoarding, gli accumulatori seriali di animali

L'amore distorto che diventa vero e proprio maltrattamento degli animali domestici è un problema in via di diffusione e i bersagli più colpiti sono cani e gatti. Ecco cos'è la “sindrome di Noè”.

di Sara Stulle

 

Gli americani lo chiamano animal hoarding mentre noi possiamo definirla “sindrome di Noè”. Si tratta di un fenomeno non più così raro che somiglia a quello degli accumulatori seriali, con il dettaglio non trascurabile che l’accumulatore in questione non raccoglie oggetti, ma animali. I casi denunciati sono solo la punta dell’iceberg di quello che sembra agli esperti un problema ben più diffuso ma relativamente facile da nascondere, dato che coinvolge, il più delle volte, persone che vivono in una situazione di grave isolamento sociale.

Secondo una ricerca statunitense condotta da Gary Patronek alla fine degli anni Novanta – considerata come uno degli studi più interessanti e ancora attuali sull’argomento – i bersagli dell’accumulatore sarebbero principalmente i gatti, seguiti dai cani, mentre solo piccoli numeri riguarderebbero animali da fattoria o esotici. I suoi dati hanno rivelato che su 54 accumulatori il 76% era di sesso femminile e quasi il 50% superava i sessant’anni, mentre solo l’11% era più giovane dei 40 anni. In quell’occasione si registrarono anche rarissimi casi di accumulatori di animali che vivevano in famiglia con bambini, ma per più del 70% queste persone vivevano sole, erano vedove o divorziate. La media di animali detenuti: 39 per ogni caso di accumulo. In quattro situazioni più gravi si sono registrati più di 100 animali per caso.

Il disturbo da accumulo “tradizionale”

Il disturbo da accumulo (DA), recentemente inserito nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders nella macrocategoria del Disturbo Ossessivo Compulsivo e correlati, è caratterizzato da un’incapacità del soggetto di liberarsi degli oggetti, anche se senza alcun valore, tanto che in molti casi si tratta di vera e propria immondizia. La difficoltà è dovuta al bisogno percepito di conservare oggetti e anche al disagio nell’atto di liberarsene. L’accumulo causa inevitabilmente una congestione della casa, con conseguente aggravamento delle condizioni igienico sanitarie.

Secondo la definizione data da Amanda Reinisch in Understanding the human aspects of animal hoarding un accaparratore di animali è descritto come qualcuno che ha accumulato un gran numero di animali e che:

1) non riesce a fornire standard minimi di alimentazione, igiene e cure veterinarie;

2) non agisce sul deterioramento delle condizioni degli animali (comprese malattie, fame o morte) e sull’ambiente (sovraffollamento grave, condizioni estremamente insalubri);

3) spesso non è a conoscenza degli effetti negativi dell’accumulo sulla propria salute e benessere e su quella degli altri membri della famiglia. “Come nell’accumulo tradizionale anche in questo caso l’accumulatore non riesce a fermarsi dall’accumulare, lotta costantemente con la sua autostima e con la ricerca di uno scopo nella vita, riempie ogni minimo spazio fino a rendere inabitabile un’abitazione”.

Il fatto che si tratti di esseri viventi e non di oggetti inanimati di poco o nessun valore rende il problema più complesso e pericoloso. “L’aspetto più ingannevole dell’animal hoarding – chiarisce la psicologa Chiara Lignola nel suo saggio L’accumulo di animali, una tipologia particolare di accumulo – è che può essere scambiato per un comportamento dettato da un profondo sentimento di amore per gli animali e non come un disturbo mentale. La difficoltà nel riconoscere questo disturbo ancor prima del trattarlo è che gli accumulatori non scelgono deliberatamente di maltrattare i loro animali: il loro scopo è salvarli, tenerli al sicuro e assisterli ma gli esiti ai quali arrivano sono proprio nella direzione opposta ai loro nobili scopi.

Tra le credenze degli accumulatori di animali troviamo infatti spesso assunti quali ‘io so comunicare con gli animali’, ‘solo io posso salvarlo’, ‘gli animali mi scelgono’. Tra le conseguenze dell’accumulo di animali troviamo infatti grave trascuratezza, fame, malattia e persino la morte degli animali accumulati. Nonostante il fallimento evidente dei loro intenti, gli animal hoarder mettono in atto tentativi ossessivi per mantenere e addirittura aumentare il numero di animali accumulati, portando così al peggioramento delle condizioni di vita degli animali stessi”.

Secondo la dottoressa Lignola, alcuni aspetti centrali caratterizzano questo speciale tipo di disturbo di accumulo: l’incapacità di fornire gli standard minimi di igiene, spazio, nutrizione e cure agli animali, l’incapacità di riconoscere gli effetti di queste mancanze, i tentativi ossessivi di accumulare nuovi animali nonostante il progressivo peggioramento della situazione e la negazione o la minimizzazione dei problemi.

L’identikit dell’accumulatore di animali

L’animal hoarder tipo è una donna sola di mezza età o anziana. È disoccupata e, oltre a vivere sola, è una persona socialmente isolata con un basso livello di istruzione. Le ricerche mostrano che le donne rappresentano una percentuale che va dal 70 all’83% degli animal hoarder. In alcuni casi le ricerche hanno mostrato che il problema può riguardare persone con un elevato livello di istruzione e in grado di vivere una vera e propria doppia vita, senza far nascere sospetti in familiari e colleghi.

Nel 2012 gli studiosi Frost e Steketee hanno definito tre possibili tipologie di animal hoarder che ancora oggi vengono utilizzate per classificare i casi:

Il caregiver. Accumula animali e se ne prende cura come fossero parte della famiglia, fino a quando non accade un evento spiacevole nella sua vita, come la morte del partner o la perdita del lavoro. A quel punto non è più in grado di occuparsene. In genere questo è il tipo di accumulatore che, per la sua situazione e le sue mancanze nei confronti degli animali, tende a minimizzare più che a inventare scuse.

Il salvatore. La sua è una vera e propria missione. Vuole salvare gli animali e crede di essere l’unico a poterlo fare. Questo è il tipo di accumulatore che non dà mai animali in adozione perché nessun altro potrà mai essere abbastanza per i “suoi” animali. Spesso la sua paura che gli animali muoiano o si trovino in difficoltà si traduce in una situazione di cattività molto spiccata dei suoi animali al fine di evitare che possano incorrere in qualche periodo. In genere questo accumulatore è integrato in una rete di animalisti che lo aiutano in quanto salvatore. Non è in grado di rifiutare le richieste di prendere in carico altri animali, ma col tempo il numero cresce e lui non riesce a garantire standard di benessere minimi.

Lo sfruttatore. Per lui gli animali sono solo un mezzo per raggiungere un guadagno economico. Non ha empatia, non è interessato agli animai e per questo non se ne cura. È un manipolatore, inventa scuse e giustificazioni false, può avere un aspetto credibile. Questo è il prototipo del gestore dei cosiddetti “canili lager”.

Animal hoarding e sindrome di Münchausen per procura

Come riportato dall’ottimo dossier Quel salvare che fa male scritto da Ciro Troiano (criminologo, specializzato in psicologia giuridica e psicopatologia forense, responsabile dell’Osservatorio Nazionale Zoomafia) per LAV, un aspetto poco approfondito ma potenzialmente rilevante nella Sindrome di Noè “è quello relativo al Disturbo Fittizio per procura, meglio conosciuto come Sindrome di Münchausen. Si tratta della produzione intenzionale di una patologia o della sua induzione in un soggetto passivo. Quando il soggetto passivo è un animale da compagnia si parla di Münchausen by pet”. Chi soffre di questa sindrome induce una malattia o un infortunio alla vittima per farla credere malata. Si prende cura della persona, generando un muto rapporto di cure e “amore”.

Nel dossier si legge anche che “sono diversi i casi descritti in letteratura scientifica riguardanti la vittimizzazione di gatti, cani e cavalli. Rari i casi registrati in ambito animal hoarding, tuttavia i criteri diagnostici suggeriscono che l’incidenza di tale disturbo possa essere più alta. Personalmente abbiamo avuto modo di seguire il caso di un’accumulatrice rientrante nella tipologia dei caregiver sopraffatto che presentava segni di comorbilità tra disturbo di accumulo di animali e la sindrome di Münchausen per procura, anche se con diagnosi non accertata”.

Le cause

Secondo Chiara Lignola, “non esiste un modello esplicativo soddisfacente del DA quando questo ha per oggetto gli animali”. Si parla di un possibile ruolo dell’attaccamento disfunzionale con le figure di accudimento primarie, o di una ricerca di compensare le proprie relazioni fallite con l’attaccamento verso gli animali.

“Come messo in luce da Patronek e Nathanson, anche se i percorsi verso l’animal hoarding possono essere differenti, gli animali sembrano, comunque, rappresentare il fulcro dei tentativi di riparare a delusioni e carenze nelle relazioni significative della storia della vita; chi, come gli animali, non può rifiutare la ‘cura’, può facilmente diventare prigioniero delle cure o, nel caso degli sfruttatori, uno strumento per appagare i propri bisogni. Gli animali, dunque, rappresentano la soluzione per appagare il desiderio di avere legami affettivi significativi, tenuto a freno dalla paura paralizzante di un rifiuto e di un abbandono da parte dell’uomo”.

 

Fotografia: Scott Granneman – Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

Questo articolo è stato pubblicato qui

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