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Angela Merkel, leader di un’Europa immobile

Roma. Dopo il direttorio della settimana scorsa insieme a Nicolas Sarkozy, aveva annunciato di avere in mano la soluzione per la crisi dell’eurozona. Ma Angela Merkel rischia di presentarsi al vertice europeo del 23 ottobre soltanto con un pugno di mosche.

Il piano franco-tedesco per salvare l’Europa, è molto meno compiuto di quanto avesse lasciato intendere la stessa cancelliera, che proprio ieri ha definito "un sogno impossibile" l’idea di arginare in breve termine l’emorragia debitoria dell’Unione.
 
Parole inattese che hanno provocato ulteriori sconquassi in Borsa e che spingono ad interrogarsi sulle aspre critiche, oggi più che mai attuali, che Helmut Kohl rivolse in agosto alla sua delfina: "Dobbiamo dire di nuovo molto chiaramente dove siamo e dove vogliamo andare", aveva detto il riunificatore delle due Germanie avvilito dall’incertezza della cancelliera. Già, ma dove vuole andare la Germania? E l’Europa?
 
"Vorremmo tutti capirlo", spiega Gian Enrico Rusconi, docente di Scienze politiche presso l’Università di Torino, "ma credo che le oscillazioni di Frau Merkel siano lo specchio fedele dell’incertezza del popolo tedesco in questo grave periodo di crisi: temono di prendere il timone dell’Europa, perché questo significherebbe esplicitare la leadership e farsi quindi carico assoluto dei problemi del vecchio continente".
 
Professore, nel giro di una settimana Angela Merkel è passata dal decisionismo allo scetticismo. Perché?
 
Nonostante fosse una sorte di corpo estraneo giunto al potere grazie a un’operazione della nomenclatura, la cancelliera aveva dato l’impressione di saper governare. La congiuntura della crisi e la caduta della Grecia hanno invece indotto la Merkel, che è un politico molto sensibile al Popolo, a un’indecisione speculare a quella della gente tedesca.
 
Ci parli di questo dilemma.
 
La Germania è attraversata da spinte contrastanti che si riflettono nella politica della cancelliera. Da una parte c’è la tentazione di esplicitare la leadership tedesca in Europa e prendere per mano le sorti dei Paesi membri in posizione dominante.
 
E dall’altra?
 
Dall’altra c’è l’effetto collaterale di questo “outing”, che constringerebbe il Paese a governare la crisi debitoria e a fare scelte difficili di cui poi si ritroverebbe a rispondere in prima persona.
 
Ma se la Germania non individua il tipo di ruolo che vuole recitare, non si rischia che l’Europa resti ancora in cerca d’autore per molto tempo?
 
L’alternativa è galleggiare, navigare a vista proprio come è accaduto fino a oggi. Il vero problema è però che i tedeschi non hanno interlocutori altrettanto credibili e autorevoli nell’Unione Europea. Nicolas Sarkozy è in questo senso un personaggio sintomatico. La Francia era stata interventista, decisionista, conflittuale fino al punto da metter in difficoltà la Nato.
 
E viceversa la Germania aveva scelto un atteggiamento reticente, assenteista, ripiegato su se stesso. Ora però il Presidente francese è giunto all’autunno del suo mandato e si rifugia nell’ombra della Merkel per nascondere la sua debolezza interna. E alla Germania è rimasto in mano il pallino, che allo stesso tempo è un cerino.
 
Ma perché la Merkel teme così tanto di prendere in mano l’Europa?
 
Di riflesso al popolo tedesco, l’elaborazione del passato è per la Merkel un’operazione tuttora in corso. La Germania del Dopoguerra ha scelto di imboccare la via dell’industriosità e del basso profilo. La voglia di tranquillità è ancora prevalente e c’è la percezione che una leadership troppo marcata in campo europeo sia un sacrificio troppo grosso. I tedeschi spesso negano di essere ancora prigionieri della storia del Novecento, ma in un momento di confusione come quello che stiamo attraversando, le loro resistenze sono in realtà abbastanza evidenti. I nodi irrisolti sono in qualche modo tornati al pettine.
 
Eppure sul fronte interno, la cancelliera si è mostrata parecchio agguerrita contro i banchieri che protestano vivacemente contro la decisione di ricapitalizzare le banche. Salvo poi apparire parecchio irresoluta sulla questione del debito greco.
 
Angela Merkel si trova anche in questo caso stretta tra due diversi desiderata. Da un parte l’opinione pubblica europea e l’establishment degli altri Stati membri che spesso ne hanno contestato l’eccessivo rigore verso chi ha trasgredito a scapito di quella solidarietà che è il patto fondativo dell’Unione europea. Dall’altra c’è l’impatto consistente della Germania più autocratica, che la costringe a difficili operazioni di equilibrismo tra solidarietà e senso alto della politica, e linea dura contro gli Stati europei in difetto.
 
Teme che i costi della crisi ricadano sul suo elettorato che non sembra da tempo troppo entusiasta delle sue politiche.
 
Anche la Merkel è sensibile al Popolo. Vuole evitare che i costi per fronteggiare la crisi europea ricadano in modo sproporzionale sui tedeschi. Per questo non forza, o lo fa soltanto a tratti. Spera nella collegialità di decisioni che purtroppo poi non arrivano.
 
Decisionista e impaurita al contempo. Come spiegare d’altra parte il tête-à-tête con Sarkozy che ha scatenato persino le rimostranze italiane?
 
L’indecisione porta a imboccare più strade allo stesso tempo, che spesso portano a destinazioni diverse. Sul debito greco non si decide perché tutti aspettano una decisione dell’Europa. Ma viceversa, se la Germania non decide, non c’è una possibile decisione dell’Europa. La verità drammatica è una sola: Angela Merkel non ha nessun competitor in grado di stimolare i processi decisionali di un Paese costretto a essere leader suo malgrado.

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